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Marzo 1994 – 31 Marzo 2013
«Nessuna
opera di grande respiro può compiersi nell’egoismo e nell’orgoglio.
Obbedire
è una gioia, perché una forma di dono, di dono illuminato.
Obbedire
è fecondo, moltiplica il risultato degli sforzi. Obbedire è un dovere, perché
il bene comune dipende dalla disciplinata unione delle energie.
La
società umana non è formata da un nugolo di zanzare accanite e irrequiete, che
si avventano nell’aria seguendo il loro interesse o il loro umore. Essa è un
grande complesso sensibile che l’anarchia rende sterile o pericoloso, mentre
l’ordine e l’armonia gli offrono possibilità illimitate.
Un
popolo ricco, composto da milioni di individui che siano però isolati
dall’egoismo, è un popolo morto.
Un
popolo povero, in cui ciascuno riconosca con intelligenza i propri limiti e i
propri obblighi verso la comunità e obbedisca agendo solidamente, è un popolo
vivo.
L’obbedienza
è la forma più elevata dell’uso della libertà. E’ una costante manifestazione
dell’autorità, l’autorità su se stessi – la più difficile di tutte.
Nessuno
è realmente in grado di dirigere gli altri, se non è prima in grado di
dirigersi da solo, di domare dentro di sé il destriero orgoglioso che
desiderava lanciarsi follemente nel vento dell’avventura.
Dopo
aver obbedito si può comandare, non per godere brutalmente del diritto di
scacciare gli altri, ma perché il comandare è una prerogativa magnifica quando
mira a disciplinare forza scalpitanti, conducendole alla pienezza del
risultato, fonte suprema di gioia».
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