Salviamo i nostri Marò

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I nostri due militari devono tornare a casa

Siamo contro ogni genere di Discarica nel nostro Territorio!

martedì 25 settembre 2012

Riapertura della strada provinciale 56 ex 107 bis Scandale - Crotone.



Tratto ripristinato della strada provinciale 56 ex 107 bis Scandale-Crotone                     loc. Giammiglione

Esprimiamo piena soddisfazione per l’apertura della Strada Provinciale 56 ex 107 bis in località Giammiglione. Dopo un  anno di sollecitazioni verbali fatte al presidente Zurlo da parte nostra siamo riusciti a riappropriarci della nostra strada, arteria fondamentale che ci collega alla città capoluogo. La strada fu interrotta definitivamente nel mese di Febbraio scorso a causa delle forti piogge invernali, ma il cedimento del manto stradale fu dovuto anche dalla presenza di una falda acquifera sotterranea, (uno dei motivi per il quale la non si può costruire la famigerata mega discarica di rifiuti speciali).
Così come questo tratto è stato completato a loro dire “in tempi record”, ci auguriamo che anche il resto delle stradi provinciali vengano messe in sicurezza ridotte ormai  a mulattiere per l’incuranza degli ultimi anni. Su queste strade non solo si mette a rischio il buono stato delle auto ma anche la vita di conducenti e passeggeri.
Infine, ne approfittiamo per chiedere al sindaco Vasovino di mettere in sicurezza la strada interpoderale percorsa fino ad oggi, con tanti disagi, dai cittadini di Scandale in località Santa Domenica. Non vogliamo  che venga abbandonata a discapito dei proprietari di quei piccoli appezzamenti di terreno. Signor sindaco non aspettiamo i camion delle pale eloiche!             

Antonello Voce
Presidente circolo "Paolo Di Nella"
Giovane Italia Scandale.



Le foto sono di Area Locale.
 

lunedì 24 settembre 2012

La prevalenza del maiale.



Non bisogna farsi ingannare da quelle fotografie. Il martedì grasso della destra romano-laziale non è soltanto una mascherata tardo felliniana, non è un dramma satiresco: è uno stato dell’essere. E il segreto per comprenderlo sta nel maiale, nella maschera suina indossata sulla scena dai protagonisti maschili di una carnevalata che si può anche equivocare come parodia di un’epoca storica – l’antichità declinata nella penombra inconscia di riferimenti cinematografici moderni: dal toga party di “Animal House” alla lubricità di certi filmetti adolescenziali americani degli anni Ottanta – e che invece rinvia a significati più profondi. La scelta di una maschera obbliga al disvelamento del proprio sé. Il tradizionalista René Guénon utilizzò al riguardo parole illuminanti: “Le maschere di carnevale sono genericamente orride ed evocano il più delle volte forme animali o demoniache, tanto da essere quasi una sorta di ‘materializzazione’ figurativa di quelle tendenze inferiori, o addirittura ‘infernali’, cui è permesso così di esteriorizzarsi”. “Del resto – conclude il Guénon – ognuno sceglierà naturalmente fra queste maschere, senza neppure averne una chiara coscienza, quella che meglio gli conviene, cioè quella che rappresenta quanto è più conforme alle sue tendenze, sicché si potrebbe dire che la maschera, che si presume nasconda il vero volto dell’individuo, faccia invece apparire agli occhi di tutti quello che egli porta realmente in se stesso, ma che deve abitualmente dissimulare”. Questo spiega la presenza di maschere cornute e faunesche nelle celebrazioni primaverili dei paesi mediterranei, lì dove l’uomo (non il maiale) si riappropria di una funzione fecondatrice ancestrale e propizia l’uscita dal buio.
Di qui proviene, oggi, la facile impressione che il generone laziale di centrodestra (ma non solo quello) abbia trasceso il ciclo delle stagioni e abbandonato la finzione di un civismo politico ed esistenziale mal sopportato per troppo tempo: la liberazione notturna nell’indistinto, ove non vige più l’ordine delle regole solari, visibili e dunque responsabilizzanti, li ha precipitati nella più limpida autorivelazione. Maiali, dunque, nemmeno per libera scelta ma per una vocazione intima e occulta. Stabilito questo, ritrova forse senso la citazione antiquaria? I compagni di Ulisse tramutati in porci dalla maga Circe, costretti a grufolare nel suo orto, sono la condensazione simbolica della natura inferiore (“l’animale che mi porto dentro me”, cantò Battiato quando aveva voce), il vortice degli istinti bassi e vischiosi dell’uomo/verro. Del resto è noto a chiunque che il maiale non gode di ottima fama un po’ in ogni latitudine. L’imperatore Giuliano, nel Quarto secolo dell’èra volgare, spiegava così l’interdizione delle carni suine durante le feste patrizie in onore della Grande Madre: “… è bandito dal sacro cibo in quanto totalmente ctonio, sia per la forma, sia per il tipo di vita, sia per il carattere stesso del suo essere. (…) Questo animale non può guardare il cielo, non solo perché non vuole, ma anche perché, per natura, è tale che non può mai sollevare lo sguardo”. Triste condizione, quella del maiale. Ma non bisogna esagerare. La bestia è priva di colpa, come ogni fatto di natura. La porchetta è pur sempre un pasto gioviale e richiama il banchetto sacro dei popoli laziali che si radunavano sul Monte Albano per le feste. Se poi è ancora vero, come usa dire, che del maiale non si butta via niente, non c’è motivo di disperare per il futuro del generone di centrodestra.
di Alessandro Giuli.

domenica 23 settembre 2012

Un tè alla menta a casa di Evola.



Pubblichiamo un articolo di Ugo Franzolin, scomparso due settimane fa,  tratto dal libro “Gli articoli di Evola sul Secolo d’Italia. 1953-1964”, edito dalla Fondazione Evola e curato da Gianfranco Lami.

di Ugo Franzolin
(articolo tratto dal "Secolo d'Italia")

Con il congresso di Pescara nel Movimento Sociale Italiano del giugno 1965 vi furono i cambiamenti al vertice. Vinse il congresso Arturo Michelini, uno dei fondatori di quel partito, nato alla fine del 1946. In precedenza Michelini aveva comprato il quotidiano fiancheggiantore del movimento, Il Secolo d’Italia, proprietà del senatore Franz Turchi, suo fondatore.
Ne era il direttore dal 1964, ma fu chiamato a dirigerlo politicamente Nino Tripodi, un altro dei primissimi del Movimento Sociale, un intellettuale che si era segnalato tra i giovani più promettenti negli anni che precedono la Seconda guerra mondiale, avvocato e – negli anni Cinquanta – parlamentare. Chi però confenzionava materialmente il giornale e aveva quindi stretto rapporto con la redazione, era Cesare Pozzo, giornalista professionista, qualche anno dopo, senatore.
Un giorno Michelini mi chiama. Ero stato assunto al Secolo nel momento in cui il "Meridiano d’Italia", dove lavoravo aveva sospeso le pubblicazioni per trasferirsi da Milano a Roma. Mi avevano affidato la terza pagina che curai fino al 1967 quando passai al quotidiano "La Luna". Una pagina tradizionale, in più, una o due volte la settimana, una pagina monografica, letteratura, pittura, musica e storia.
“Ho qui un articolo di Evola”, mi dice Michelini, “scriverà per noi”. “Acquisto eccellente“, gli dico io, “un pensatore affascinante”, butto lì. Guardo Michelini, che mi guarda di sottecchi. “Sì, certo”, commenta, “ma io leggo i gialli, quando vado a letto la sera, prima di dormire e ho la testa piena delle cose che domattina dovrò fare, come, ad esempio, mandare i soldi alle federazioni, soldi che non ho e devo rifilare qualche balla per tirare avanti”.
Di Julius Evola, a dire la verità, non è che ne sapessi molto. Anzi, diffidavo un po’, come tutti quelli per i quali il fascismo, come nel mio caso, è stato prima un fatto di provincia – le realizzazioni – poi un fatto di guerra, “il sangue contro l’oro”, un semplificare che farebbe trasalire un intellettuale.
Dopo quattro o cinque articoli pubblicati come elzeviro, Evola mi invitò a casa sua per un tè. Abitava a Corso Vittorio.
Molto cordiale. Aveva un grave disturbo alla spina dorsale. Stava sempre seduto in poltrona. Gli feci visita quattro o cinque volte. Non so se gli interessassi. Forse sì, ma perché non avevo quasi niente delle sue letture, perché la mia testa, dopo cinque anni di guerra sui fronti e un anno di galera a San Vittore, era piena di immagini più che di speculazioni sottili.
Il tè era squisito. Glielo dissi. “Aggiungo foglioline fresche di mentuccia”, commentò, “e qualche fiore essiccato di ibisco, addolcendolo, come vede, con zucchero di canna, un dono che amici mi mandano dalla Germania”.
Mentre si sorseggiava il tè, Evola parlava, parlava. Aveva una voce bassa, musicale, due occhi che indagavano. Mi sembrò di capire che avesse studi esoterici, un’altra novità per me, sempre tenutomi lontano da esplorazioni misteriose, più amante dell’uomo che fa, spacca tutto, magari, ma che non sta lì a interrogare l’arcano, o vola in spazi siderali.
Un giorno, mentre Evola mi parlava della Parigi delle avanguardie nella quale viveva, qualcuno citofonò. Una signora che si occupava delle cose domestiche, venne a dire che un ragazzo chiedeva di salutare. Disse il nome, Adriano.
Entrò un giovane, poco più che ragazzo. Aveva una sua composta eleganza, un tratto signorile. Alla presentazione seppi che era il figlio di Pino Romualdi, che mi onorava della sua amicizia, conosciuto a Milano, vicesegretario del Partito Fascista Repubbicano. Conversammo un po’, ma dopo una decina di minuti dovetti salutare e andarmene perché mi aspettava il solito lavoro al giornale.
Prima di congedarmi invitai Adriano a collaborare alla mia pagina. Volevo ospitare dei giovani, voci nuove. Così fu, infatti. Diventammo amici. Io do del tu volentieri ai ragazzi, mi è più facile parlargli, e se loro fanno altrettanto, la cosa mi fa piacere. Eppure con Adriano ci fu sempre di mezzo il lei, anche se il rapporto era cordiale, affettuoso da parte mia e, oso credere, anche da parte sua.
Era preparatissimo, riflessivo, sempre disposto a riesaminare un concetto, ma con dei punti fermi, che erano ormai miei. Gli chiesi di Evola. “Sa”, gli dissi introducendo il discorso, “mi sembra un mago”. Adriano si mise a ridere. “Un po’ lo è”, rispose, “nel senso che sa sublimare intuizioni rare, al limite della visione onirica, il percorso misterioso della vita”.
Ricordo con rimpianto quel tempo. Evola è morto, Adriano, ancora giovanissimo, ci ha lasciati in situazioni tragiche, sul ciglio di una strada, dopo un incidente. Perché rimpianto? Ma perché allora, anche se da posizioni intellettuali diverse, per un proprio carattere, una propria storia personale era bello vivere, essere in attesa di un evento. Utopisti? Forse, ma la nostra utopia non era la carta di credito, o il telefonino, o la curva sud. Eravamo in attesa, ecco, ripeto. In attesa? Sì, certo, che i sentimenti tornassero.
Un giorno Evola mi disse: “Sa, la strada è lunga, interminabile”...

sabato 22 settembre 2012

L’oltraggio di Venezia e il Crocifisso di Vienna.



E’ difficile immaginare un oltraggio contro la fede cristiana più blasfemo e provocatorio di quello che si è avuto al Festival del Cinema di Venezia il 31 agosto con la proiezione del film Paradise Faith, Fede nel Paradiso, di Ulrich Seidl, film  che ha il suo punto culminante in una sequenza in cui la protagonista, l’attrice Maria Hoffstatter, si dedica all’autoerotismo utilizzando come strumento un crocifisso. E’ inutile entrare nei particolari, che sono raccapriccianti, ma sarà bene ricordare che per un cristiano non c’è simbolo più sacro del Crocifisso, che rappresenta Gesù Cristo, l’uomo-Dio, morto sulla Croce per redimere i peccati degli uomini. Tutta la fede cristiana si riassume nella predicazione di Cristo crocifisso.
 Lo scandalo di Venezia non è un episodio isolato, ma si inserisce in un quadro di cristianofobia dilagante. Lo spettacolo teatrale di Romeo Castellucci Sul concetto di Volto di Dio, messo in scena a Milano a gennaio, ha aperto quest’anno le danze. Il Festival di Venezia però è una ben più ampia cassa di risonanza, una vetrina internazionale, che ha visto accorrere giornalisti di tutto il mondo, per riferire senza alcuna indignazione della proiezione del film blasfemo, che ha avuto il premio speciale dalla Giuria.
La Santa Sede, il 12 settembre è intervenuta con un comunicato dal tono fermo: “Il rispetto profondo per le credenze, i testi, i grandi personaggi e i simboli delle diverse religioni è una premessa essenziale della convivenza pacifica dei popoli.” A dichiararlo è stato padre Federico Lombardi, portavoce della Sala Stampa Vaticana, che non si è riferito però alla blasfemia di Venezia, ma ad un altro film, Innocence of muslims, prodotto in America e considerato alle origini delle violente manifestazioni in Libia ed in altri paesi arabi.
 “Le conseguenze gravissime delle ingiustificate offese e provocazioni alla sensibilità dei credenti musulmani - ha scritto in una nota padre Lombardi – sono ancora una volta evidenti in questi giorni, per le reazioni che suscitano, anche con risultati tragici, che a loro volta approfondiscono tensione ed odio, scatenando una violenza del tutto inaccettabile“. Quanto è accaduto in Libia non sarebbe stato pianificato da mesi da Al Qaida in odio all’Occidente, ma sarebbe stato l’inevitabile conseguenza di “ingiustificate offese e provocazioni alla sensibilità dei credenti musulmani”. Ma perché non vengono definite “ingiustificate” le offese e le provocazioni alla sensibilità dei credenti cattolici come quelle del Festival di Venezia? Solo perché non provocano conseguenze, né gravissime, e neppure modestissime?

Ben pochi hanno ricordato che quanto è accaduto, nella città di Bengasi, è la conseguenza non dell’insulso film anti-Maometto, ma della politica franco-americana di cessione del Medio Oriente all’Islam, che, per nemesi storica,  ha avuto il suo momento principale proprio nel sostegno dato dalla Nato ai fondamentalisti di Bengasi contro Gheddafi. E se tutto il mondo ha protestato contro il film anti-islamico, che per ora è semi-clandestino, e presumibilmente non sarà mai proiettato, nessuno ha protestato contro il film anticattolico, che ha avuto tutte le luci della ribalta ed è destinato a larga circolazione, senza alcuna opposizione.
Il vero problema oggi è questo. Non esiste solo la persecuzione dei cristiani nelle terre di Islam, esiste anche la cristianofobia in Occidente. Ma soprattutto esiste l’arrendismo e la complicità dell’Occidente di fronte a questa cristianofobia. L’autolesionismo degli ambienti ecclesiastici fa parte purtroppo di questo sistema di complicità.

Il Beato Marco d’Aviano sulle colline del Kahlenberg, che dominano Vienna, brandiva il Crocifisso come strumento di lotta e di vittoria, per incitare i combattenti cristiani a liberare la città occupata dai musulmani. Oggi il Crocifisso è ridotto a strumento di sordido piacere da una società edonista che si autodistrugge consegnandosi all’Islam.
di Roberto de Mattei.

venerdì 21 settembre 2012

MA PERCHE' I REGISTI NON RACCONTANO I RISVEGLI?



Bocciata a Venezia e bocciata nelle sale, la Bella Addormentata di Marco Bellocchio ha risuscitato polemiche sul tema eutanasia e paraggi

 Marcello Veneziani - Dom, 16/09/2012

Bocciata a Venezia e bocciata nelle sale, la Bella Addormentata di Marco Bellocchio ha risuscitato polemiche sul tema eutanasia e paraggi.
Il regista ha detto ai cattolici che lo contestavano: avete tanti mezzi, perché non fate voi un film con la vostra versione del caso Englaro? Forse ha ragione.
Ma io rilancio a lui e al magico mondo del cinema un'altra proposta. Di film sul tema di staccare la spina ai malati terminali ne abbiamo visti già tanti. Ma è possibile che a nessun gran regista, sceneggiatore, produttore, attore, venga in mente e al cuore di portare al cinema qualche storia inversa, di condannati al coma irreversibile, a cui volevano staccare la spina, che si sono poi risvegliati? Vi dice nulla il caso di Salvatore Crisafulli, di Luca de Negris, di Luca Mongelli, di Terry Wallis che si risvegliò addirittura dopo 19 anni? Non si potrebbero fare grandi film su storie finite con una resurrezione imprevista, e non solo su eutanasie desiderate?
E ai film dedicati a coraggiosi aborti non si potrebbero affiancare film su Chiara Corbella o su Jenny e su Rosa e su Gianna e su altre ragazze che decisero di dare alla luce un figlio a prezzo della loro vita, capovolgendo sulla loro pelle il motto «mors tua vita mea»?
 Non sarebbero grandi storie, nobili, vere e struggenti, perché nessuno le racconta? È questo il conformismo che indigna e che sconforta, caro Bellocchio. Abbiate più coraggio e spirito libero, ma quello vero. Che sia anche per questo che mezzo cinema è in coma e che i film troppo scontati abortiscono in sala?

giovedì 20 settembre 2012

Villa Chigi Roma - Distrutta targa in memoria di Polo di Nella




"Lascia agli altri le vie dell'infamia: Piuttosto che vincere per mezzo di un'infamia, meglio cadere lottando sulla strada dell'onore"
(Corneliu Zelea Codreanu)

E' stata distrutta a martellate la targa di via Paolo di Nella riportiamo le dichiarazione di Giorgia Meloni e di Azione Universitaria Roma.
"Chi ha distrutto a martellate la targa di via Paolo Di Nella a Roma è un indegno. Spero vivamente che i responsabili di questo atto vigliacco siano individuati e mi aspetto una condanna unanime delle istituzioni e delle forze politiche. L’esempio di Paolo, ucciso a 20 anni da una cieca violenza politica, è forte e vive nei cuori di chi giorno prova a portare avanti le sue idee e le sue battaglie. Un simile gesto offende tutta la nostra città, la nostra Nazione e chiunque crede che la politica sia la forma più nobile di impegno civile"
Giorgia Meloni.
 
"Quello che si è consumato la scorsa notte a Villa Chigi è un atto di vandalismo e violenza che non può trovare alcuna giustificazione né tanto meno una spiegazione razionale. Il vortice di odio che quasi trent’anni fa uccise Paolo si abbatte oggi, con la medesima vigliaccheria, sulla targa che lo ricorda. Paolo era mosso dalla stessa passione e dallo stesso entusiasmo che animano migliaia di giovani impegnati quotidianamente sui territori, nelle scuole e nelle università per rendere migliore la nostra Nazione. Paolo è un esempio che nessuno può permettersi di infangare. Chiediamo al sindaco Alemanno e all’Amministrazione capitolina un’intervento immediato, per ripristinare subito la targa."
Azione Universitaria Roma. 
Il tuo sorriso è fermo li, è una pugnalata dritta al petto, Per chi quel giorno ti aggredi, per chi non conta proprio niente Per chi quel giorno sparí: maledetti dagli dei e da tutta questa gente...



Link:
Paolo Di Nella.

mercoledì 19 settembre 2012

IO SONO EUROPEO...

 
Sono nato qui dove è nata la civiltà, ho messo insieme le pietre a Stonehenge per avvicinarmi al cielo, ho costruito il Partenone e combattuto alle Termopili. Ho vinto con Costantino contro Massenzio e costruito un arco che è divenuto pilastro della storia.
Ho unito il quadrato, simbolo della terra, con il cerchio, simbolo dell'infinità del cielo per costruire l'ottagono del castello del monte. Ho vissuto lassù tra il grigio del castello di bamburgh, e riflettuto all'ombra del monastero benedettino di Subiaco.
Sono arso vivo per difendere le mie idee come Giovanna D'arco in Piazza del Mercato Vecchio.
Sono tornato a combattere la guerra di Cipro,ho poi raggiunto Apremont per raccogliere il bianco giglio nel campo dei ribelli. Sono tornato in Italia per vegliare sui fratelli del Monte Grappa.
Sono tornato a bruciare ancoro in piazza a Praga con Jan Palach per veder nascere dalle lacrime la primavera della Libertà.
Ho picconato il muro a Berlino per poter dire Io Sono Europeo, sono nato qui, dove è nata la civiltà, nell'Europa con il cuore senza rating.
 

martedì 18 settembre 2012

ATREJU, PERISSA: ALFANO E MELONI INFIAMMANO I NOSTRI GIOVANI.

Marco Perissa, Angelino Alfano, Giorgia Meloni e Annagrazia Calabria - Atreju 2012
 
Ringrazio davvero di cuore Angelino Alfano e Giorgia Meloni che hanno chiuso insieme questa mattina la quattordicesima edizione di Atreju. Li ringrazio soprattutto perché insieme hanno entusiasmato i nostri ragazzi, dimostrando che c'è chi vive la politica con la testa e con il cuore. Questo è il PdL che noi vogliamo, quello delle idee, quello dei valori e quello è pronto ad accettare la sfida del nostro tempo senza paura. Ma il ringraziamento più sentito va ai tanti ragazzi che da tutta la nostra Italia hanno riempito questa festa, partecipando attivamente a tutte le fasi della nostra cinque giorni. Loro dimostrano che esiste ancora oggi una generazione senza paura, che sceglie di donarsi senza riserve, senza ricevere un euro, ma solo per amore verso un'idea e una comunità. Sono loro l'esempio migliore per questa Italia, troppo spesso lasciata alla sua disillusione davanti la crisi. La speranza riparte da Atreju"
E' quanto dichiara Marco Perissa, presidente nazionale della Giovane Italia.

lunedì 17 settembre 2012

“Il mio film sui crimini dei partigiani? Non lo inviteranno mai a Venezia”.



di Adriano Scianca.

Possibile che le 136 vittime di Codevigo facciano ancora paura? Possibile che i soldati della Guardia Nazionale Repubblicana, delle Brigate Nere, che i civili uccisi e talora torturati nella primavera del 1945 nei pressi del comune padovano, a guerra finita, da partigiani garibaldini non possano essere ricordati neanche nell’Italia del 2012? Sembra di sì, almeno a giudicare dalle difficoltà che il regista Antonello Belluco sta incontrando nel girare il suo “Il segreto”, pellicola dedicata proprio alla strage dimenticata commessa dai partigiani e ricordata recentemente solo da Gianpaolo Pansa. Pressioni, lettere minacciose, finanziatori che se ne vanno, materiali che non arrivano mai, una sfilza infinita di “no” e tante porte chiuse. Perché, spiega, «certi temi sono ancora tabù e io, che sono figlio di profughi istriani e ho conosciuto Toni Negri, lo so bene. Ma il mio non un film politico, si tratta solo di una storia d’amore che ha sullo sfondo quei drammatici fatti che nessuno vuole più ricordare. Sarà per questo che ci stanno rendendo la vita impossibile...».
Belluco, come vanno le riprese? Pare che ci sia qualche difficoltà...
“Qualche”? Stiamo facendo una fatica incredibile. Se le parlassi di tutte le vicissitudini capitate riempirebbe una pagina solo con quelle. Quando si scopre l’argomento del film dicono tutti di no per qualsiasi cosa, anche le più banali. Il coproduttore, poi, se n’è andato e ci ha lasciato nei guai. Molti politici mi hanno detto di aver avuto pressioni affinché il film non uscisse mai. Ho anche ricevuto due raccomandate dal figlio del partigiano Arrigo Boldrini, il comandante “Bulow” delle Brigate Garibaldi, nelle quali mi si intimava di non andare avanti...
E voi andrete avanti?
Certo. Nonostante tutto il film si farà. Non ci manca poi tanto.
Non è che ce l’hanno con lei perché fa film “revisionisti”, ammesso che questa parola sia così offensiva come dicono?
No, nella mia pellicola non c’è nessun discorso politico, il film parlerà di una storia d’amore, la strage fa solo da sfondo. Io parlo di una famiglia come tante, marginale, in cui, certo, si indossava la camicia nera. Ma questo non può essere considerato una colpa in sé, dato che a quell’epoca tutti portavano la camicia nera. Persino Arrigo Boldrini mi risulta l’abbia indossata...
Vero, nel settembre del 1939 entrò nella Milizia volontaria per sicurezza nazionale prima di passare con gli antifascisti. Magari è proprio per questo che non se ne può parlare.
Peraltro Boldrini ha guidato l’Anpi ed è stato parlamentare, è una figura intoccabile, parlare di certe storie significherebbe mettere in crisi l’Anpi  tutto un certo mondo. Anche se si è sempre dichiarato estraneo all’eccidio di Codevigo, era pur sempre il comandante di una brigata coinvolta in questa brutta storia. E questo non è l’unico argomento tabù. Io sono figlio di esuli istriani e avrei sempre voluto fare un film su quel dramma ma niente, è impossibile, si trovano tutte le porte sbarrate. Di certi argomenti non si vuol proprio sentir parlare.
Qualcuno le darà del “fascista”...
Guardi, Giorgio Almirante diceva che chi non ha vissuto il fascismo non può definirsi fascista, che il fascismo è un’esperienza storica conclusa e io sono d’accordo con lui. Non ho vissuto il fascismo, ho vissuto altri anni e altre problematiche. Quelli di Mazzola e Giralucci, altra storia su cui mi sarebbe sempre piaciuto girare una pellicola. Quelli di Toni Negri, con cui ho persino fatto un esame all’università. Le storie da raccontare al cinema sarebbero tante...
E perché non lo si può fare? L’egemonia di sinistra è ancora così forte?
Altrove non so, ma al cinema assolutamente sì. Non esiste possibilità di entrare se non si è dei loro e se non si propongono storie legate alla loro cultura. Nelle grandi spartizioni politiche, la cultura è sempre toccata alla sinistra. È stata una decisione a tavolino. Anche ai festival, lo vediamo in questi giorni,  girano sempre gli stessi nomi, è un turnover fra le solite facce: Bellocchio, Moretti, Amelio etc. Meglio rassegnarsi: film come il mio non andranno mai ai festival.