Salviamo i nostri Marò

Salviamo i nostri Marò
I nostri due militari devono tornare a casa

Siamo contro ogni genere di Discarica nel nostro Territorio!

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venerdì 22 marzo 2013

Caso Marò, Latorre e Girone oggi rientrano in India.



Il governo italiano ha richiesto e ottenuto dalle autorità indiane l’assicurazione scritta riguardo al trattamento che sarà riservato ai fucilieri di Marina e alla tutela dei loro diritti fondamentali. Alla luce delle ampie assicurazioni ricevute, il governo ha ritenuto l’opportunità di mantenere l’impegno preso in occasione del permesso per partecipare al voto, del ritorno in India entro il 22 marzo.



 UNA NAZIONE CHE VENDE I SUOI MILITARI NON MERITA LA LORO FEDELTA'.
VERGOGNA!
 I NOSTRI MARO' DEVONO RESTARE CASA!

mercoledì 19 dicembre 2012

Il Coraggio della Bambina e del Gigante, #SENZAPAURA


Giorgia Meloni e Guido Crosetto #senzapaura #primariedelleidee


Domenica 16 novembre 2012, ore 10, Auditorium della Conciliazione, Signori e Signore, è iniziata la rivoluzione nazional-popolare della Destra Italiana, protagonisti indiscussi il Gigante e la Bambina.
La sala gremita, commessi che tentavano di bloccare il flusso della gente curiosa di ascoltare, giovani e vecchi militanti politici con storie e appartenenze differenti uniti nel nome di una rivoluzione delle IDEE, entusiasmo e rammarico per il fallimento di un progetto, voglia di rivalsa e di partecipazione, questa è stata la manifestazione "Le primarie delle Idee".
Scrosci di applausi durante gli interventi di Guido Crosetto prima e di Giorgia Meloni poi, cuori scalpitanti, soddisfazione per aver visto uomini e donne del territorio parlare delle specificità dei temi da affrontare, poca retorica e poco populismo, tanta rabbia e tanta voglia di rivalsa.
Tra le quattro mura dell'Auditorium della Conciliazione, si è respirata aria nuova, lontana anni luce dalla vecchia An dei Colonnelli, degradati a soldati semplici, e dalla Forza Italia delle Convention del '94.
L'aria è stata quella della rivoluzione di chi milita, di chi lotta, di chi protegge il proprio territorio, la propria autonomia, la propria terra.
Alla fine dei giochi che bello sentire l'Inno di Mameli, cantato non con le corde vocali, ma col cuore di gente che crede nella buona Politica, con la P maiuscola, di quella amica che di fa arrabbiare, che ti fa sentire parte di una comunità, che ti da soddisfazioni e delusioni.
"E' impossibile disse l'orgoglio. E' rischioso disse la ragione. E' inutile disse l'esperienza. Allora proviamoci disse il CUORE."
Pronti a tutto, con Giorgia Meloni!
#SENZAPAURA
di Umberto Garbini.
Oltre 5000 persone alle "primarie delle idee"
 
Oltre 5.000 persone hanno partecipato all’evento ‘Le primarie delle idee’ organizzato da Giorgia Meloni e Guido Crosetto all’Auditorium Conciliazione di Roma. Un pubblico colorato e pieno di entusiasmo: dagli ‘scugnizzi’ della Giovane Italia Napoli Centro Storico (arrivati cantando ‘o surdato nnammurato’) a personaggi della 'Roma bene' come la contessa Pacelli, passando per esponenti di onlus, associazioni, terzo settore e presidenti del mondo produttivo. Tanti cittadini con la voglia di confrontarsi sul futuro del centrodestra. E 'Le primarie delle idee' hanno conquistato la piazza virtuale: 30mila persone l’ora (per 3 ore di evento) da 15 diversi Stati hanno seguito la diretta streaming sul sito www.giorgiameloni.it, mentre circa 150.000 utenti hanno potuto seguire la diretta Twitter e interagire portando addirittura 2 hashtag fra le tendenze Top 10 in Italia, ovvero #primariedelleidee e #senzapaura.

Particolarmente suggestivi e applauditi i video proiettati nel corso della mattinata all’interno della sala e sui 10 schermi installati nel foyer, dedicati a chi è rimasto fuori dalla sala a causa dell’esaurimento dei posti. In uno di questi c’era anche il presidente del Pdl, Silvio Berlusconi, raccontato nei panni metaforici di Re Theoden de 'Il Signore degli anelli', il monarca buono vittima di un sortilegio e mal consigliato da Vermilinguo e salvato dal mago Gandalf.
Molti i deputati e senatori seduti in platea, ma nessun generale né colonnelli: all'Auditorium della Conciliazione era presente un vero e proprio esercito di popolo, guidato da consiglieri regionali, assessori, consiglieri comunali e provinciali, sindaci e tanti militanti, pronti a guardare alle sfide che attendono l’Italia e alle scelte che il centrodestra dovrebbe fare per vincerle.
Insieme a loro erano presenti in sala anche deputati ed eurodeputati, tra i quali Fabio Rampelli, Basilio Catanoso, Giuseppe Cossiga, Giuseppe Moles, Gaetano Nastri, Deborah Bergamini, Enzo Rivellini, Mario Mauro, Alfredo Mantovano, Carlo Fidanza, Marco Scurria, Elisabetta Gardini, Marco Marsilio e l’ex presidente della Regione Lazio, Francesco Storace.




Patto tra il Gigante e la Bambina Crosetto-Meloni gridano tre «no»

La convention della componente più critica: «No al sostegno a Monti, no a Berlusconi candidato premier, no a un Pdl travolto dagli scandali»
L’articolo di Fabrizio De Feo su Il Giornale

Nel giorno delle primarie che dovevano essere e non sono state, Giorgia Meloni e Guido Corsetto lanciano il loro grido di battaglia. La strana coppia, « il gigante e la bambina», l’«articolo il» della politica italiana (tra i due ballano circa 40 centimetri di altezza), convocano le loro «Primarie delle idee», una manifestazione che punta a dare spazio a coloro che dentro il Pdl (o forse fuori?) vogliono dire no ad operazioni tecnocratiche lontane dalla volontà popolare e all’invadenza dell’Unione Europea, rivendicare l’orgoglio del centrodestra e puntare sulla partecipazione dal basso. La scommessa si rivela vincente, al meno in termini numerici e di riuscita della manifestazione. E la soddisfazione si legge negli occhi dei due protagonisti che un po’ stupiti osservano le quasi duemila persone stipate dentro l’Auditorium di Via della Conciliazione mentre un altro migliaio segue l’evento su uno schermo posto sulla grande via che porta a Piazza San Pietro, con la Meloni che ironizza: «O siamo noi, o è il Papa».
Crosetto, invece, prende spunto da un video sugli uomini di coraggio che si conclude con l’inevitabile riferimento al Signore degli anelli, per fare sfoggio di autoironia: «Viste le nostre differenze fisiche, direi che oggi qui si celebra l’alleanza tra gli uomini e gli hobbit. Non dico gli elfi perché so bene che erano troppo belli...». Un gioco che si conclude con l’ex sottosegretario alla Difesa che senza grande sforzo prende in braccio la Meloni. Ma al di là delle battute e del legittimo compiacimento per una convocazione popolare al di fuori dei consueti schemi di corrente o di partito, il fronte guidato dal «liberale» e dall’«identitaria» è pronto a fare sul serio e, se necessario, intraprendere una nuova avventura politica. «Non siamo qui per spartirci le poltrone né il potere» dice Crosetto. «Se avessimo voluto fare questo ci saremmo uniti a coloro che dopo averlo avversato, oggi chiedono a Monti di candidarsi leader del centrodestra. Mi fanno pensare a Mussolini che organizza una festa per Badoglio». Un sentimento antimontiano confermato e amplificato dai fischi che si levano dal pubblico quando sul maxi-schermo appaiono, in un video, le immagini del premier insieme a Silvio Berlusconi.  «Un centrodestra credibile o ha Scajola e Dell’Utri o ha me e la Meloni» attacca Corsetto. «La credibilità non la si guadagna cambiandone i colori o il nome, ma con le persone». In sala, ad ascoltare i due capofila del movimento, anche Mario Mauro, insieme a Francesco Storace, Alfredo Mantovano, Fabio Rampelli, Marco Marsilio, Giuseppe Moles, Deborah Bergamini e Marco Taradash. Ma anche gli europarlamentari Carlo Fidanza, Elisabetta Gardini (che conduce il dibattito) e Marco Scurria. Oltre a una presenza a sorpresa (ma non troppo): quella di Mario Vattani, già console italiano a Osaka (richiamato in patria dalla Farnesina per aver partecipato a un festival di rock identitario di Casa-pound) e ora interessato a un progetto che riporti al centro del dibattito la sovranità nazionale. Di certo dal palco vengono dettate condizioni chiare. Una minaccia di scissione riassumibile in tre secchi «no».
«No al sostegno a Monti», «no alla candidatura Berlusconi» a cui pure viene chiesto di continuare a lottare orgogliosamente e in prima persona, «no a un Pdl travolto dagli scandali». Condizioni non negoziabili. Perché come dice la Meloni: «Noi vogliamo un luogo dove poter lottare e trasformare i nostri sogni in realtà. Se quel luogo è il Pdl lo dobbiamo sapere subito. Perché se non lo è siamo pronti a costruirne noi uno nuovo. Con le idee e con chiunque voglia starci».
VIDEO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DI GIORGIA MELONI ALLE PRIMARIE DELLE IDEE 16 DICEMBRE 2012


 
LINK:
 
 

sabato 15 dicembre 2012

PRIMARIE DELLE IDEE




Carissimi,
in queste ore molte cose sono cambiate e c'è da presupporre che molte ancora  cambieranno, ma la nostra determinazione resta al suo posto, come uno scoglio in una  tempesta. Vogliamo ancora rifondare l'Italia e per  farlo è urgente cambiare il centrodestra.
Restiamo in prima linea per affermare la bellezza dell'impegno civile, contrastare le scelte personalistiche e le decisioni calate dall’alto, anteporre all’”io” il “noi”, combattere la cattiva politica, la logica dello scontro frontale che impoverisce la nostra comunità e non rinunciare a equità sociale,  meritocrazia, partecipazione, rinnovamento, futuro.
Grazie alla buona fede di ognuno abbiamo costruito un esercito di uomini liberi e un movimento di popolo presente in ogni angolo d'Italia.
Ora è il momento di schierarsi. Lo faremo il 16 dicembre alle 10 a Roma, presso l'Auditorium della Conciliazione, perché la storia di una grande nazione non abbia a subire battute d'arresto e i valori di cui siamo portatori possano aiutarla a crescere ed essere la casa accogliente per i suoi giovani.
La vergogna della mancata celebrazione delle primarie non ci scalfisce, sarebbero state uno strumento in più per togliere il terreno  sotto i piedi a chi vuole solo esercitare il potere, non ha coraggio, non ha idee  e non merita la nostra fiducia.
Sinistra in testa.
Sarà una bella domenica di luci, suoni, emozioni per riprendere slancio e affrontare, impavidi, le nuove sfide.
Vi aspetto, tutti e ciascuno, portate i vostri amici e ditegli che la via è tracciata e noi la percorreremo. Fino in fondo.
Evviva.
 
Giorgia Meloni.
 

venerdì 2 novembre 2012

Addio a Pino Rauti, simbolo del Msi.



Giovanissimo partecipò alla nascita del Movimento sociale italiano di cui fu anche leader. Aveva 85 anni. Assunta Almirante: «E’ stato uno dei grandi della destra italiana»

tratto da LA STAMPA

È morto Pino Rauti. L’ex segretario del Movimento Sociale Italiano, che avrebbe compiuto 86 anni il 19 novembre, si è spento alle 9.30 di questa mattina nella sua casa di Roma. Nel 1946, giovanissimo, contribuì alla nascita del Movimento.
“E’ stato uno dei bravi, dei grandi di questa destra”. le parole di Assunta Almirante, vedova di Giorgio Almirante, storico leader del Movimento sociale, che ha ricordato i guai giudiziari di Rauti, coinvolto nelle inchieste sul terrorismo stragista neofascista: “Molto ingiustamente è stato indicato come un uomo che aveva commesso errori che è stato accertato che non erano suoi, come la strage di piazza Fontana”. Per la vedova Almirante Rauti “è stato una persona di grande intelligenza, è stato indicato come il fondatore di Ordine nuovo ma era un uomo di partito come pochi ce ne sono stati”.

Il Presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, ha espresso «il più profondo cordoglio per la scomparsa di Pino Rauti, uomo politico che ha rappresentato una parte di rilievo nella storia della Destra italiana». «Parlamentare rigoroso, intellettuale di profonda cultura, Rauti - conclude - ha testimoniato con passione e dedizione gli ideali della nazione e della società che appartengono alla storia politica del nostro Paese. Ai familiari esprimo i sentimenti della più intensa vicinanza mia personale e della Camera dei deputati».

Il «fascista di sinistra», come è stato definito Giuseppe Umberto Rauti, nacque a Cardinale, in provincia di Catanzaro, il 19 novembre 1926. Fascista di sinistra in contrapposizione con il «fascismo di destra» incarnato da Giorgio Almirante, prima, e da Gianfranco Fini poi. L’attenzione di Rauti si concentrava, infatti, sulla socializzazione e sui temi dell’anticapitalismo e del terzomondismo interpretando, dal suo punto di vista, i motivi ispiratori del fascismo. Questo lo ha relegato per lungo tempo in una posizione minoritaria all’interno del Msi, partito che, giovanissimo, contribuisce a fondare alla fine del 1946. Nei primi anni cinquanta contribuisce a dare nuovamente vita all’organizzazione neofascista che rispondeva alla sigla FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria) insieme ad alcuni appartenenti alla corrente così detta «pagana» e «germanica» della prima organizzazione disciolta nel luglio del 1947.

Dopo due attentati a Roma, presso il Ministero degli Esteri e all’ambasciata statunitense, il 24 maggio 1951 furono condotti numerosi arresti nei confronti dei quadri di questa organizzazione, fra questi: Pino Rauti, Fausto Gianfranceschi, Clemente Graziani, Franco Petronio, Franco Dragoni e Flaminio Capotondi. Tra gli arrestati anche il filosofo Julius Evola, considerato l’ispiratore del gruppo. Il processo si concluse il 20 novembre 1951: Graziani, Gianfranceschi e Dragoni furono condannati a un anno e undici mesi. Altri dieci imputati a pene minori. Tutti gli altri vennero assolti. Tra loro Evola, Rauti ed Erra. Con la fine del processo si concluse definitivamente anche l’adozione della sigla FAR. Nel 1954, dopo la vittoria dei fascisti in doppiopetto e la nomina a segretario di Arturo Michelini, dà vita al centro studi Ordine Nuovo. Nel 1956 Ordine Nuovo esce dal MSI. Arriverà ad avere dai 2.000 ai 3.000 iscritti. Successivamente Giorgio Freda ed altri esponenti di estrema destra entreranno a far parte di Ordine Nuovo. Negli anni sessanta e settanta, il nome di questa organizzazione verrà usato per rivendicare una serie di attentati, ai quali Rauti si dichiarerà sempre estraneo. Nel maggio del 1965 l’istituto di studi militari Alberto Pollio organizza un convegno sulla «guerra rivoluzionaria», a Roma all’Hotel Parco dei Principi, che viene finanziato dallo Stato Maggiore dell’esercito: si trattava di un raduno fra fascisti, alte cariche dello Stato e imprenditori: Rauti presenta una relazione su «La tattica della penetrazione comunista in Italia». Il 16 aprile 1968 parte insieme ad altri 51 estremisti di destra (fra cui l’agente del SID Stefano Serpieri, Giulio Maceratini, Mario Merlino, Stefano Delle Chiaie, Franco Rocchetta) da Brindisi per un viaggio di istruzione sulle tecniche di infiltrazione, nella Grecia dei Colonnelli, a spese del governo greco. Con l’arrivo alla segreteria del MSI nel 1969 di Giorgio Almirante, Rauti e un gruppo di dirigenti rientrò nel partito, e alla guida del movimento restò Clemente Graziani.

Il 4 marzo 1972 il giudice Stiz di Treviso esegue mandato di cattura contro Rauti per gli attentati ai treni dell’8 e 9 agosto 1969. Successivamente l’incriminazione si estenderà agli attentati del 12 dicembre. Il 21 novembre 1973 trenta aderenti ad Ordine Nuovo vengono condannati dalla magistratura per ricostituzione del Partito Nazionale Fascista e viene decretato lo scioglimento dell’organizzazione. Nel 1974, con la rivoluzione dei garofani in Portogallo, viene scoperta l’organizzazione eversiva internazionale fascista Aginter Press con la quale ha stretti rapporti anche Rauti attraverso l’agenzia Oltremare per la quale lavora. Nessuna di queste inchieste ha mai accertato qualche reato a suo carico. Successivamente Pino Rauti fu inquisito per la strage di Piazza della Loggia a Brescia e in merito il 15 maggio 2008 è stato rinviato a giudizio. Assolto il 16 novembre 2010 in base all’articolo 530 comma 2 del codice di procedura penale (insufficienza di prove). Nelle richieste del pm Roberto Di Martino, per quanto concerne la posizione di Pino Rauti si afferma che la sua è una «responsabilità morale, ma la sua posizione non è equiparabile a quella degli altri imputati dal punto di vista processuale. La sua posizione è quella del predicatore di idee praticate da altri ma non ci sono situazioni di responsabilità oggettiva. La conclusione è che Rauti va assolto perché non ha commesso il fatto».
Nel 1972 Rauti viene eletto deputato alla Camera nelle file del Msi nel collegio di Roma, dove verrà sempre rieletto fino alle elezioni del 1994. È promotore di una stagione di rinnovamento dentro il partito, lanciando un quindicinale «Linea», e organizzazioni parallele, dal Movimento giovani disoccupati, ai Gruppi Ricerca Ecologica, e sostenendo i Campo Hobbit fu riferimento delle nuove generazioni del Fronte della Gioventù. La sua era detta la componente dei «Rautiani». Nel 1979, al XII congresso del MSI-DN, viene eletto vicesegretario. È animatore di mozioni congressuali come «Linea futura» (1977), «Spazio Nuovo» (1979 e 1982) e «Andare oltre» (1987). Il 14 dicembre 1987, al XV congresso del MSI a Sorrento, raccoglie quasi la metà dei consensi, insieme alla corrente di Beppe Niccolai, per l’elezione a segretario, ma è battuto da Gianfranco Fini, sostenuto dal segretario uscente e padre nobile del partito Giorgio Almirante, ormai gravemente malato.

martedì 9 ottobre 2012

Chi inventò lo Stato sociale? Il Fascismo.



di Giuseppe Brienza.
È stato presentato a Roma, al circolo culturale “L’Universale”, il libro di Michele Giovanni Bontempo Lo Stato sociale nel Ventennio (Pagine, Roma 2010, pp. 290, € 17). A documentare quanto è stato fatto per costruire nel nostro Paese le fondamenta di un welfare State sul quale si è appoggiata la Repubblica italiana (basti pensare all’Istituto nazionale di assistenza malattie, all’Opera maternità e infanzia, all’assistenza previdenziale e ospedaliera) sono intervenuti, oltre all’autore ed all’editore Luciano Lucarini, Fabio Torriero, Teodoro Buontempo, Adalberto Baldoni, Nazzareno Mollicone ed Egidio Eleuteri. «Chi ha promosso il welfare italiano, cioè quella politica sociale, economica ed industriale, che ha reso grande l’Italia anche all’estero? – si è chiesto Michele Bontempo – Non la sinistra, ma il fascismo durante il Ventennio. Una legislazione sociale che ha ripreso il welfare giolittiano». Seguendo l’indice del saggio pubblicato nella collana dei Libri del Borghese, il giovane giurista e funzionario dello Stato ha quindi descritto con precisione il cambiamento della società italiana negli anni che videro la nascita e l’affermazione del fascismo, soffermandosi soprattutto sulle leggi e sui provvedimenti riguardanti il Welfare. Da Lo Stato sociale nel Ventennio emerge, infatti, con estrema chiarezza, la profonda maturazione della società italiana che vide modificarsi radicalmente i rapporti alla base del lavoro, con datori di lavoro e lavoratori che assumono giuridicamente e socialmente diritti e obblighi reciproci.
Passando in rassegna i testi storici e le Gazzette Ufficiali dell’epoca, Bontempo esamina al principio del suo volume le principali dinamiche della società e dell’economia. Partendo da tale premessa analizza quindi le politiche intraprese dal governo Mussolini per agevolare la tendenza a “fare impresa”. Una tendenza che avrebbe poi salvato l’economia italiana dando vita al boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta. Tutto questo passando attraverso la promozione della politica sociale. Alla fissazione dell’orario di lavoro fa seguito l’ampia tutela per le donne (di questi anni il divieto di licenziamento per le gestanti) e i bambini. Non solo. Il saggio di Bontempo mostra molto chiaramente come il governo Mussolini abbia varato la prima normazione relativa all’igiene ed alla salubrità delle fabbriche.
Lo Stato sociale nel Ventennio, dunque, riporta coraggiosamente alla luce conquiste che non vengono insegnate a scuola e presentate dai media. È così che Bontempo ripercorre le radici del divieto di licenziamento senza giustificato motivo o senza giusta causa e degli istituti che garantiscono e regolano non solo la pensione ma anche le assicurazioni di invalidità, vecchiaia e disoccupazione. Il libro ricorda, infine, come sia proprio degli anni Trenta l’introduzione degli assegni per gli operai con famiglia numerosa e l’istituzione di strutture il cui fine è quello di assistere i poveri, i disabili e gli handicappati. Nel Ventennio – ha spiegato Bontempo – la conservazione del posto di lavoro era garantita e favorita da continui corsi professionali che avevano lo scopo di aggiornare i lavoratori.
A margine della presentazione del volume di Bontempo, il presidente dei «Circoli del Borghese», Biagio Ehrler, ha illustrato motivi e finalità di questa nuova iniziativa civica che, diffusasi nelle maggiori città italiane, come si legge nello Statuto, mira all’ambizioso obiettivo di «Aiutare la politica a rigenerarsi e i partiti a rinnovarsi», contrastando nel contempo il predominio culturale del “politicamente corretto” e della sinistra nel nostro Paese.

martedì 18 settembre 2012

ATREJU, PERISSA: ALFANO E MELONI INFIAMMANO I NOSTRI GIOVANI.

Marco Perissa, Angelino Alfano, Giorgia Meloni e Annagrazia Calabria - Atreju 2012
 
Ringrazio davvero di cuore Angelino Alfano e Giorgia Meloni che hanno chiuso insieme questa mattina la quattordicesima edizione di Atreju. Li ringrazio soprattutto perché insieme hanno entusiasmato i nostri ragazzi, dimostrando che c'è chi vive la politica con la testa e con il cuore. Questo è il PdL che noi vogliamo, quello delle idee, quello dei valori e quello è pronto ad accettare la sfida del nostro tempo senza paura. Ma il ringraziamento più sentito va ai tanti ragazzi che da tutta la nostra Italia hanno riempito questa festa, partecipando attivamente a tutte le fasi della nostra cinque giorni. Loro dimostrano che esiste ancora oggi una generazione senza paura, che sceglie di donarsi senza riserve, senza ricevere un euro, ma solo per amore verso un'idea e una comunità. Sono loro l'esempio migliore per questa Italia, troppo spesso lasciata alla sua disillusione davanti la crisi. La speranza riparte da Atreju"
E' quanto dichiara Marco Perissa, presidente nazionale della Giovane Italia.

lunedì 17 settembre 2012

“Il mio film sui crimini dei partigiani? Non lo inviteranno mai a Venezia”.



di Adriano Scianca.

Possibile che le 136 vittime di Codevigo facciano ancora paura? Possibile che i soldati della Guardia Nazionale Repubblicana, delle Brigate Nere, che i civili uccisi e talora torturati nella primavera del 1945 nei pressi del comune padovano, a guerra finita, da partigiani garibaldini non possano essere ricordati neanche nell’Italia del 2012? Sembra di sì, almeno a giudicare dalle difficoltà che il regista Antonello Belluco sta incontrando nel girare il suo “Il segreto”, pellicola dedicata proprio alla strage dimenticata commessa dai partigiani e ricordata recentemente solo da Gianpaolo Pansa. Pressioni, lettere minacciose, finanziatori che se ne vanno, materiali che non arrivano mai, una sfilza infinita di “no” e tante porte chiuse. Perché, spiega, «certi temi sono ancora tabù e io, che sono figlio di profughi istriani e ho conosciuto Toni Negri, lo so bene. Ma il mio non un film politico, si tratta solo di una storia d’amore che ha sullo sfondo quei drammatici fatti che nessuno vuole più ricordare. Sarà per questo che ci stanno rendendo la vita impossibile...».
Belluco, come vanno le riprese? Pare che ci sia qualche difficoltà...
“Qualche”? Stiamo facendo una fatica incredibile. Se le parlassi di tutte le vicissitudini capitate riempirebbe una pagina solo con quelle. Quando si scopre l’argomento del film dicono tutti di no per qualsiasi cosa, anche le più banali. Il coproduttore, poi, se n’è andato e ci ha lasciato nei guai. Molti politici mi hanno detto di aver avuto pressioni affinché il film non uscisse mai. Ho anche ricevuto due raccomandate dal figlio del partigiano Arrigo Boldrini, il comandante “Bulow” delle Brigate Garibaldi, nelle quali mi si intimava di non andare avanti...
E voi andrete avanti?
Certo. Nonostante tutto il film si farà. Non ci manca poi tanto.
Non è che ce l’hanno con lei perché fa film “revisionisti”, ammesso che questa parola sia così offensiva come dicono?
No, nella mia pellicola non c’è nessun discorso politico, il film parlerà di una storia d’amore, la strage fa solo da sfondo. Io parlo di una famiglia come tante, marginale, in cui, certo, si indossava la camicia nera. Ma questo non può essere considerato una colpa in sé, dato che a quell’epoca tutti portavano la camicia nera. Persino Arrigo Boldrini mi risulta l’abbia indossata...
Vero, nel settembre del 1939 entrò nella Milizia volontaria per sicurezza nazionale prima di passare con gli antifascisti. Magari è proprio per questo che non se ne può parlare.
Peraltro Boldrini ha guidato l’Anpi ed è stato parlamentare, è una figura intoccabile, parlare di certe storie significherebbe mettere in crisi l’Anpi  tutto un certo mondo. Anche se si è sempre dichiarato estraneo all’eccidio di Codevigo, era pur sempre il comandante di una brigata coinvolta in questa brutta storia. E questo non è l’unico argomento tabù. Io sono figlio di esuli istriani e avrei sempre voluto fare un film su quel dramma ma niente, è impossibile, si trovano tutte le porte sbarrate. Di certi argomenti non si vuol proprio sentir parlare.
Qualcuno le darà del “fascista”...
Guardi, Giorgio Almirante diceva che chi non ha vissuto il fascismo non può definirsi fascista, che il fascismo è un’esperienza storica conclusa e io sono d’accordo con lui. Non ho vissuto il fascismo, ho vissuto altri anni e altre problematiche. Quelli di Mazzola e Giralucci, altra storia su cui mi sarebbe sempre piaciuto girare una pellicola. Quelli di Toni Negri, con cui ho persino fatto un esame all’università. Le storie da raccontare al cinema sarebbero tante...
E perché non lo si può fare? L’egemonia di sinistra è ancora così forte?
Altrove non so, ma al cinema assolutamente sì. Non esiste possibilità di entrare se non si è dei loro e se non si propongono storie legate alla loro cultura. Nelle grandi spartizioni politiche, la cultura è sempre toccata alla sinistra. È stata una decisione a tavolino. Anche ai festival, lo vediamo in questi giorni,  girano sempre gli stessi nomi, è un turnover fra le solite facce: Bellocchio, Moretti, Amelio etc. Meglio rassegnarsi: film come il mio non andranno mai ai festival.

venerdì 31 agosto 2012

SENZA PAURA | Atreju 2012 | 12-16 Settembre

 
 
Carissimi, ritorna il fatidico appuntamento  con "Atreju", la festa nazionale della Giovane Italia, che anche quest'anno si svolgerà a Roma nel parco del Celio, dal 12 al 16 settembre
"#SenzaPaura" è il titolo scelto per questa edizione. Perché oggi più che mai vogliamo gridare che non ci stiamo, che non saremo noi ad uccidere i nostri sogni e  non saremo noi a lasciare il futuro nella mani di chi ha abusato del passato compromettendo il presente. Senza paura, quindi, per descrivere il moto d'orgoglio della generazione che, nonostante tutto, ogni giorno scende in campo per combattere la crisi, per uscirne e per concedere ai propri figli un'Italia migliore di quella che ha ereditato.

Il programma ancora in fase di elaborazione, come di consueto verrà svelato i primi giorni di Settembre e affronterà i temi caldi di questa stagione politica e sarà affiancato da tanta cultura, con gli aperitivi letterari che animeranno il tardo pomeriggio e tanta musica ed intrattenimento. Non mancherà il 'Premio Atreju', il riconoscimento che la nostra generazione dà a coloro che si sono distinti per aver vissuto la propria vita, professione o passione, con dedizione e coraggio, diventando esempio.
Sul nuovo portale modalità di partecipazione e informazioni. Per rimanere aggiornati vi chiediamo di seguire Atreju sui canali ufficiali e condividere le notizie:

Fb: Atreju -Pagina Ufficiale-

Twitter: @atreju2012
Atreju è la nostra festa, la possibilità di raccontare la nostra visione del mondo. Atreju è la nostra sfida, siamo certi che anche quest'anno saremo all'altezza!

Marco Perissa                                      
Presidente Nazionale della Giovane Italia. 
Annagrazia Calabria
Coordinatrice Nazionale della Giovane Italia. 

giovedì 2 agosto 2012

Giusva e le colpe della strage: "La verità? Fa troppa paura".



Caro direttore,

la strage di Bologna è avvenuta 32 anni fa, le indagini si sono concluse 25 anni fa e la nostra condanna è datata 20 anni. Fu una condanna atipica, dove la procura prima, e le corti poi, sostennero che le prove vere erano state nascoste dai servizi segreti e quindi bisognava per forza affidarsi agli indizi.

L'indizio principale era che le stragi in Italia le fanno per forza i fascisti, nel periodo in questione io e mia moglie eravamo i terroristi fascisti più noti, quindi... «non potevamo non sapere». La sentenza ammetteva che il quadro probatorio non era completo, e sostanzialmente rinviava a una «inchiesta bis» per individuare i tasselli mancanti. Il fatto è che i tasselli mancanti erano molti. La sentenza per la parte che riguardava noi ammetteva che nessun testimone ci aveva mai visti a Bologna, e che quindi non eravamo stati noi a portare la bomba dentro la stazione, ma sicuramente (per il ragionamento di cui dicevamo prima) facevamo parte del gruppo che tale strage aveva organizzato. Veniva rinviato alla «inchiesta bis» l'incarico di individuare gli effettivi esecutori materiali «in loco», individuare l'origine dell'esplosivo, individuare il movente, e individuare i mandanti. Come dicevo, da quella promessa di «inchiesta bis» sono passati 20 anni, e nulla è stato trovato. La cosa, comprensibilmente, crea un certo nervosismo.

Chi ama la vecchia sentenza grida alla luna che il processo non riesce ad andare avanti perché io non confesso chi sono i miei mandanti e gli altri della banda. In linea strettamente teorica potrebbe essere una ipotesi. Però poi di ipotesi se ne possono fare altre, ad esempio che l'inchiesta non riesce ad andare avanti perché sin dall'inizio marcia nella direzione sbagliata. Questa cosa iniziò a dirla pubblicamente Cossiga già nel 1998, quando con Francesca andammo a trovarlo sperando potesse darci informazioni utili per ridiscutere il nostro processo. Ci disse che fogli «firmati e bollati» non ne aveva, ma che la vera pista su Bologna era quella palestinese. Sono passati altri 14 anni, e nel silenzio di molti, alcuni storici dilettanti (nel senso positivo del termine, ossia di gente che fa le cose per passione, non per tornaconto) hanno iniziato a studiare una materia difficilissima, il terrorismo arabo in Italia. Non se ne sa niente, non esistono libri esaustivi né niente. Ma il terrorismo arabo in Italia ha fatto più di 60 morti, e più di 300 feriti. Ma non se ne parla mai, non c'è mai una commemorazione, mai un servizio rievocativo in televisione, mai una lapide da nessuna parte, mai una associazione dei parenti delle vittime. Quando il presidente Napolitano ha istituito la giornata a ricordo delle vittime del terrorismo, nell'elenco preparato dagli uffici del Quirinale non c'era nessuna di queste 60 vittime.

È su questo silenzio che, assieme ad alcuni di questi «storici dilettanti», stiamo ragionando. Silenzio sulle vittime, e sempre scarcerazioni in tempi fulminei dei vari palestinesi arrestati. Che è un po' quello che sta succedendo ancora oggi, quando l'Italia, non importa chi in quel momento sia al governo, cede sempre ai ricatti del terrorismo filo-arabo, e paga tutti i riscatti e non arresta mai nessuno. Dopo che si è scoperto che fisicamente presenti a Bologna c'erano due terroristi dell'estrema sinistra tedesca legata al terrorismo palestinese, è ovvio che le persone ragionevoli si pongano il dubbio se c'entrino qualcosa. È ovvio che se si scopre che tra le vittime di Bologna c'era un giovane dell'Autonomia Operaia romana, le persone ragionevoli si ricordano che solo pochi mesi prima, a Ortona, tre capi dell'Autonomia Operaia romana erano stati arrestati mentre trasportavano un potente missile terra aria per conto di un certo Saleh, dirigente del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina che abitava a Bologna. Viene spontaneo, alle persone semplici, domandarsi se per caso, come era successo pochi mesi prima nelle Marche, anche il 2 agosto a Bologna dei giovani romani stessero aiutando i loro amici palestinesi a trasportare un carico di armi. Se poi ci aggiungiamo che dal carcere in Francia il capo dei terroristi filopalestinesi dell'epoca, Carlos lo Sciacallo, in diverse interviste ha ammesso che la sua «Organizzazione» quel giorno era presente alla stazione di Bologna... Carlos dice che un loro trasporto è stato boicottato dagli americani o dagli israeliani per rovinare i buoni rapporti tra i terroristi palestinesi e i nostri servizi segreti (lo ha scritto diverse volte, e questa tesi è stata confermata da almeno due dirigenti palestinesi ormai in pensione, ma nessuno sembra stupirsene). Cossiga prima di morire in diverse interviste aveva parlato anche lui di un «incidente», ma lo riteneva casuale. 

Un funzionario dei servizi segreti civili italiani fu il primo, mi pare già nel 1981, a dire che si trattava di un incidente, ma venne messo a tacere, e tutto sommato fu facile parlo perché risultava iscritto alla P2. Licio Gelli, senza tutti i ragionamenti e i riscontri che invece aveva fornito Cossiga, parla anche lui da 30 anni di un «incidente», seppure in una maniera un po' grossolana. Io, storico dilettante più scarso degli altri, ancora non ho nessuna convinzione certa su ciò che è accaduto a Bologna. Mi rendo conto però che certi argomenti creano preoccupazione. Mi sembra un buon segno. Però ci vorrà ancora tempo, tanta pazienza e un pizzico di coraggio per avvicinarsi se non alla verità, almeno al contesto della verità.

(di Giuseppe Valerio Fioravanti - fonte: www.ilgiornale.it)

martedì 31 luglio 2012

In Ricordo di Giuseppe Santostefano.


Giuseppe Santostefano
Il governo antifascista Rumor, nel luglio del 1970, decise di spostare lo storico capoluogo della Regione Calabria da Reggio a Catanzaro assegnando ad essa la sede dell’Assemblea Regionale. I sindacati e i partiti politici cittadini, tranne il Partito Comunista Italia e il Partito Socialista Italiano, diedero vita ad una rivolta popolare, organizzando per il giorno 15 luglio uno sciopero generale. Alcuni manifestanti, radunati davanti alla Prefettura, furono subito caricati dalle Forze di Polizia. I primi feriti. Nel giro di poche ore la città di Reggio Calabria fu completamente bloccata e isolata. Erette le prime barricate all’imbocco delle strade statali e autostrade. Numerosi ferrovieri aderirono allo sciopero, abbandonando i convogli in maniera tale che nessun treno potesse proseguire la corsa. La stessa sera, poco prima della mezzanotte, i carabinieri ritrovarono in via Logoteta, una traversa di Corso Garibaldi, il cadavere di Bruno Labate, operaio e frenatore delle Ferrovie dello Stato, iscritto al sindacato Cgil. Il primo caduto della rivolta di Reggio. Il sindaco, Pietro Battaglia, fu costretto a tirarsi indietro, consegnando al Movimento Sociale Italiano la guida dei rivoltosi e dare continuità alla rivolta contro un regime definito nemico del popolo reggino. Il 17 settembre dello stesso anno, le Forze di Polizia assaltarono il quartiere Sbarre, roccaforte dei “Boia chi Molla” guidati dal sindacalista della Cisnal Ciccio Franco. Arrestato e deportato nel carcere di Bari. Un altro reggino, Angelo Campanella, quarantacinque anni, autista dell’azienda Municipale di trasporti e padre di sette figli, fu colpito mortalmente da un proiettile sparato dalle Forze di Polizia mentre rientrava a casa. Solo nel marzo del 1971, grazie ai rastrellamenti e alle perquisizioni a tappeto, le Forze di Polizia riuscirono a portare l’ordine in città. Alle elezioni politiche del 1972, i reggini, votarono in blocco il Movimento Sociale Italiano eleggendo Ciccio Franco Senatore. A distanza di un anno, dal trionfo del partito di Giorgio Almirante, i comunisti diedero un segnale della loro presenza politica assassinando uno dei più attivi sindacalisti della Cisnal, Giuseppe Santostefano. Il 31 luglio del 1973, durante un comizio del Partito Comunista Italiano, Giuseppe Santostefano, cinquant’anni anni, fu aggredito violentemente da un gruppo di militanti della sinistra extraparlamentare. Morì poche ore dopo in ospedale senza mai riprendere conoscenza. La sua morte sancì la definitiva sconfitta per la città di Reggio.


sabato 28 luglio 2012

Italia? Invidiabile la Spagna al confronto.


Espacio de Las Artes, Santa Cruz (Lanzarote)
di Maurizio Blondet.

Di ritorno dalle Canarie: se devo valutare da quest’angolo della Spagna che ho visto, penso che quel Paese sia meglio attrezzato dell’Italia di fronte alla crisi, e che si solleverà prima di noi. Anche là vige il disprezzo per i politici e la politica; cresce, persino più che da noi, la consapevolezza dei privilegi e del parassitismo delle burocrazie pubbliche, il che è un buon segno divitalità politica della popolazione, che mette sotta accusa i salari sicuri degli statali mentre nel settore privato la disoccupazione è alle stelle. Ma visto come stiamo messi noi, vorrei fare il cambio. Ecco alcuni motivi:

Infrastrutture

D’accordo, durante il boom edilizio (causato dai tassi eccessivamente bassi che l’euro «germanico» ha chiesto per indebitarsi, e dalla banche tedesche, rigurgitanti di capitali, che li hanno offerti in eccesso agli iberici) s’è costruito troppo, ed ora è scoppiata la bolla edilizia. Ma ciò che colpisce, è la quantità e la qualità delle infrastrutture progettate ed attuate dalla «politica». Se i politici spagnoli hanno rubato, non si sono tenuti tutto loro; hanno anche attrezzato il Paese per la modernità. Strade extra-urbane nuove fiammanti a Lanzarote, autostrade a quattro corsie (e gratis) a Tenerife; non una buca nell’asfalto, non un lampione bruciato, e ovviamente non un cartello perforato da gragnuole di proiettili (tipico del folklore in Sicilia e Calabria). Nella capitale Santa Cruz, che è pur sempre una cittadina di nemmeno 230 mila abitanti, grandiosi spazi culturali firmati da archistar (tipico l’auditorium ideato da Calatrava, e lo Espacio de Las Artes dello svizzero Herzog) che possono non piacere, ma testimoniano l’impegno dei pubblici poteri per la cittadinanza, ospitano mostre, biblioteche, teatri.

Due aeroporti che non sono affatto cattedrali nel deserto, anzi frequentatissimi da voli internazionali (arrivano 5 milioni di turirsti – che poi tornano, al contrario di quelli che vengono in Sicilia). Immensi parcheggi sotterranei publici, che da noi non si sono mai fatti perchè «il Comune non ha i soldi» o «il comitato di quartiere si oppone» o non ci si mette d’accordo sulle mazzette. Un sistema-modello di trasporti pubblici: la piccola capitale canaria ha una metropolitana leggera nuova fiammante (del 2004, finanziata da Fondi UE) che tocca tutte le zone che contano, e fa’ capolinea all’Intercambiador: ossia alla grande stazione dei bus («guaguas», nel gergo locale), su sei livelli con scale mobili, da cui si può raggiungere qualunque villaggio dell’isola a prezzi popolari dopo aver lasciato l’auto nel parcheggio sottostante, che basta a 1400 veicoli.

Come dire che questo Interscambiador è una delle installazioni che mi ha più colpito? Fate un confronto mentale con una stazione di corriere o anche dei treni in Italia, dove arrivino e partano, come qui, 3500 bus al giorno: immaginate le cartacce e le cicche per terra, la polvere (e peggio) che si addensa negli angoli, gli odori di urina; immaginate i barboni che dormono sulle panchine, i mendicanti molesti, o i personaggi più loschi e pericolosi che, nelle ore notturne, abitano le stazioni italiane. Immaginate, perchè qui è l’esatto contrario: nella monumentale hall i pavimenti sono lucidi; il bar-ristorante offre bocadillos e tapas invitanti (io ci ho mangiato un pasto completo per 10 euro), anzichè quelle oltraggiose cartilagini di prosciutto risecchito che vengono vendute a peso d’oro nelle nostre stazioni da qualche innomina entità che «s’è aggiudicata l’appalto». I gabinetti pubblici, ovviamente usatissimi dai passeggeri di ogni nazione e livello sociale, sono unospecchio, benchè gratuiti. Non ne ho mai trovato uno reso inservibile con occlusioni di carta igienica cacca e piscio, com’è regola da noi. Misteriosamente, nelle loro pareti mancano del tutto le scritte oscene che tanto rallegrano i cessi pubblici italioti. Miracolo, gli addetti alle pulizie fanno effettivamente i lavoro per cui percepiscono il modesto salario pubblico, e li vedi sempre in giro con scopino e scopa a raccogliere anche una sola cicca.

Immaginate i bus? Come minimo, direte voi, avranno l’aria scalcinata, rotta e bisunta di quelli di Roma (si sa, ci sale tanta gente, il Comune è in rosso), perchè dopotutto parliamo di isole arretrate e marginali di un Paese meno ricco e sviluppato del nostro. Macchè: i «guaguas» sembrano tutti nuovissimi, in perfetto stato di manutenzione, con aria condizionata funzionante. Ogni mattina, prima di partire, passano sotto il lavaggio-auto comunale lì a fianco, alla vista di tutti.

E non basta. Il Cabildo (l’antico Consiglio) ha mandato due emissari a Bruxelles per chiedere soldi per costruire dal nulla una linea ferroviaria. Siccome Madrid ha tagliato i finanziamenti, i due inviati di Tenerife sono andati a chiedere all’Europa di coprire il buco: dopotutto è un progetto europeo, che il Cabildo ha presentato ed è stato approvato in sede UE, e che sarà completato coi fondi europei: esattamente come la giunta della Sicilia o delle altre regioni meridionali, che non riescono ad usare i fondi europei per incapacità progettuale, o se li fanno ritirare per malversazioni (1); o che nemmeno li chiedono, perchè che gusto c’è a fare opere pubbliche su cui non si possono estrarre tangenti perchè Bruxelles ti controlla?

Taccio, per non farla troppo lunga, delle infrastrutture immateriali e culturali; dal Wi-Fi in tutti i bar e ristoranti al museo della Natura, che vale una visita non solo perchè espone parecchie mummie del popolo guancio (i nativi delle Canarie), ma per godersi un esemplare di gestione museale limpida e interessante, con tanto di «laboratori» affollati di scolari che fanno piccole sperimentazioni e imparano facendo, sotto la guida di maestri e maestre. Taccio dell’università di La Laguna, nient’affatto periferica nel sistema di studispagnolo (che il governo sta per rendere più severo, avendo annunciato che il livello di istruzione deve mgliorare). Taccio delle spiagge tutte libere e gratuite, fornite dall’amministrazione cittadina di docce, spogliatoi e Wc. Edella polizia sempre presente e visibile sulle strade urbane ed estraurbane invece che imboscata negli uffici.

A Lanzarote, l’edilizia è basata su un modulo della casa tradizionale elaborato dall’artista locale Manrique, da cui nessun costruttore si discosta con fantasiosi villini da geometra; tale architettura è basata su muri bianchi immacolati, mai bruttati da graffiti e firme di dementi come da noi; dovrei parlare delle auto che si fermano – non rallentano, si fermano – appena fai l’atto di voler attraversare la strada sulle striscie. Perspicua, e per un italiano stupefacente, l’assenza di cumuli di monnezza per le strade, di discariche improvvisate nelle scarpate, e l’assenza di vandalismi tipo cabine telefoniche spaccate e smerdate.

In una parola, vige in Spagna quella civiltà che ormai è un costume in tutta Europa, salvo che in questa Italia fiera del suo sedimento incancellabile divolgarità.

Anche il Re senza tredicesima

Tra le misure per affrontare la crisi del debito statale, il governo Rajoy ha sospeso (ossia tagliato) la tredicesima di tutti i dipendenti pubblici. Anche la sua; anche dei membri del governo, anche dei 350 deputati e dei 266 senatori, non esclusi gli ex parlamentari pensionati. Nessuno l’aveva chiesto al Rey: ebbene, il chiacchieratissimo Juan Carlos s’e tagliato sua sponte di 20 mila euro l’anno l’emolumento, l’equivalente della sua tredicesima. Dunque oggi il Rey, la più alta istituzione dello Stato riceve, 271.842 euro lordi annui; risulta così che un qualunque governatore italiota di regione arraffa più del redi Spagna; il direttore generale della Rai, quel tal banchiere Gubitosi messo lì da Monti, ci costa come due re e mezzo.

Il principe di Asturia, l’erede al trono, s’è tagliato 10 mila euro, in quanto il suo emolumento è esattamente la metà di quello paterno, 135.921 euro. Il capo della Real Casa, che ha il rango e il soldo di un ministro, s’è ridotto anche lui lo stipendio nella stessa proporzione dei membri del governo. Niente a che vedere con quelli che godono i direttori della Real Casa italiana, detta Quirinale, di cui basta ricordare i 2 milioni di euro l’anno, più appartamento e ufficio permanente sul Colle, dell’immarcescibile Gaetano Gifuni.

El Rey de Espana è notoriamente molto criticato per i suoi lussi, per il suo amore delle gonnelle, e per le sue cacce all’elefante in compagnia di una cacciatrice bianca che sarebbe la sua amante. D’accordo, ma a metà luglio, l’84enne Juan Carlos è partito per Mosca ad incontrare Vladimir Putin a capodi una delegazione di ministri e imprenditori iberici. Scopo del viaggio, raccomandare la partecipazione delle industrie spagnole nel progetto di TGV russo (Mosca-San Pietroburgo a 300 all’ora) che costerà 17,5 miliardi di euro. Già, perchè la Spagna possiede il know-how allo stato dell’arte: le sue linee ad alta velocità sono operative già da 25 anni, ed oggi il TGV ispanico (che si chiama AVE, Alta Velocidad Espanola) dispone in Spagna della più grande rete ad alta velocità d’Europa, e seconda solo alla Cina: 2665 chilometri. Fu il governo socialista di Felipe Gonzales a lanciare questo grande progetto strategico per l’economia spagnola; un governo che rubava come quello diCraxi, si disse; ma che fece i compiti a casa. E non si ha notizia dicontestazioni dal basso, tipo No-Tav. Oggi, le imprese spagnole dell’alta velocità si sono aggiudicate il progetto per il treno Mecca-Medina, una linea che i sauditi pagheranno 6,7 miliardi di euro.

I costi della politica

Il governo ha tagliato del 50% il sussidio di disoccupazionee dopo il sesto mese; ma ha anche tagliato del 20% le sovvenzioni ai partiti politici e ai sindacati (che si aggiunge al 20% già tagliato da Zapatero), del 30% il numero dei consiglieri degli «ayuntamientos», del 5% le paghe degli statali a cui ha decurtato i permessi sindacali e i giorni «di libera disponibilità». Tali misure incontrano un diffuso favore della cittadinanza, consapevole (l’ho già detto) che la crisi mette in questione i «privilegi» del settore pubblico, nonchè la corruzione e l’impunità delle caste politiche; privilegi e stipendi e impunità che tuttavia non hanno alcuna dimensione paragonabile a quella dei pubblici italiani. Sul quotidiano ABC ho letto un commento durissimo contro i 266 senatori «che non servono a niente» e prendono – udite udite – 2813 euro al mese, a cui il commentatore unisce «una sovvenzione annuale per ogni partito, che per i due partiti maggiori ammonta rispettivamente a 3,5 milioni e a 1,5 milioni per il 2012», che però non vanno agli individui ma ai partiti; uno scandalo che il commentatore invita a «trattare con l’ascia».

La mente corre ai 200 milioni di euro che i partiti italiani si incamerano ogni anno, a dispetto di un referendum che glieli ha negati; e prende la voglia diabbracciarli, quei poveri senatori sotto accusa per 2800 euro mensili.

Anche in Spagna le «autonomie» regionali spendono e spandono – dicono gli spagnoli – senza controllo, e le più battagliere (prima fra tutti ovviamente la Catalogna) si sono opposte ai tagli del governo, minacciando ritorsioni (la Catalogna, elezioni anticipate); i governanti di Asturie e Canarie hanno annunciato che non taglieranno la tredicesima ai «loro» dipendenti. Ladifferenza con la situazione italiana sta non solo nella levità delle cifre dei presunti sprechi (niente di paragonabile ai 5 miliardi di debiti della Sicilia in bancarotta, o i 70 complessivi contratti dai nostri comuni, o l’inaccertabile debito miliardario di Roma Capitale, inaccertabile perchè nascosto dietro bilanci truccati), ma anche nell’ostilità che le «autonomie» stanno riscuotendo in quanto, appunto, autonome nella spesa.

«Questi governi autonomici si sono mutati in un ariete contro gli interessi nazionali – ha scritto l’editoriale di ABC – mostrano il lato oscuro di un autonomismo che si pensa come non dovessero mai sorgere problemi difinanziamento». Le Regioni come il Lato Oscuro della Forza: come vorremmo aver sentito almeno una volta simili valutazioni in Italia.

Da questi sparsi esempi si può vedere che i governi spagnoli i compiti a casa li hanno fatti, nel complesso, molto prima di noi; ed il Paese ha le infrastrutture e la cultura per eventualmente ripartire. Se non riuscirà, sarà essenzialmente perchè è sbagliata la cura imposta dalle Merkel, è sbagliato l’euro, è sbagliato il metodo di assoggettare i bisogni finanziari del Paese sovrano agli umori dei «mercati». E forse, perchè quello che stiamo vivendo un capolinea della storia, in cui l’Europa – con tanta storia dietro – è smarrita e non sa più che fare.

L’immane disoccupazione giovanile degli spagnoli è forse un sintomo diquesta fase terminale, additando un futuro di lavoro raro e precario per le masse. Basterà dire solo che i giovani spagnoli stanno reagendo con l’emigrazione di massa. E dove emigrano? Sì, 117 mila in Germania e 86 mila negli Usa; ma 368 mila in Argentina, 179 mila in Venezuela, 94 mila in Messico, 44 mila in Cile, persino 89 mila a Cuba, più che negli Stati Uniti. Insomma il vasto mondo di lingua ispanica fa’ da ammortizzatore sociale, ed è inutile far notare cosa vuol dire emigrare in un Paese dove si parla la tua lingua-madre: significa andare a fare non solo le pulizie e gli scaricatori ma fare, poniamo, il giornalista, far valere la propria laurea e le proprie qualificazioni, inserirsi nei piani alti del Paese ospite. Andare in Argentina e in Venezuela è pur sempre sfociare in quella grande «Spagna dell’anima» che dura ancora, di quel mondo che continua a vedere Madrid come la sua patria capitale. Significa non perdere i contatti con la patria di tutti. Significa poi più facilmente ritornare a casa, se riparte la crescita; laddove i nostri giovani italiani che emigrano, i migliori, non tornano più ed a hanno ragione.

È un effetto forse imprevisto di quel che resta negli spiriti del grande impero spagnolo su cui «non tramontava mai il sole». Ma l’argomento – l’impero spagnolo – è così importante, che merita presto un nuovo articolo.

1) Dai giornali di metà luglio: «l’Unione Europea ha sospeso il trasferimentodi 600 milioni di fondi alla regione siciliana, motivando questa decisione con la cattiva gestione degli appalti e l’inadeguatezza dei controlli. (…) In una dura relazione di poche settimane fa i magistrati contabili avevano scritto di“eccessiva frammentazione degli interventi programmati” (troppi soldidistribuiti a pioggia anziché investiti su pochi obiettivi-chiave), di “scarsa affidabilità” dei controlli, di “notevolissima presenza di progetti non conclusi”,di “tassi d’errore molto elevati” tra “la spesa irregolare e quella controllata”,di “irregolarità sistemiche relative agli appalti”». (…) «Tra il 2000 e il 2006 l’isola ha ricevuto 16,88 miliardi di fondi europei pari a cinque volte quelli assegnati a tutte le regioni del Nord messe insieme. Eppure su 2.177 progetti finanziati quelli che un anno fa, il 30 giugno 2011, risultavano conclusi erano 186: cioè l’8,6%. La metà della media delle regioni meridionali».