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domenica 3 luglio 2011

L'Angolo Culturale...


Idee per l’Europa: 
la Rivoluzione Conservatrice.


La perlustrazione di quella galassia culturale e ideologica che è stata la Rivoluzione Conservatrice è diventata negli ultimi anni un punto importante della riflessione sull’Europa del XX secolo. Ernst Nolte, in un suo piccolo libro, intitolato La rivoluzione conservatrice nella Germania della Repubblica di Weimar, pubblicato da Rubbettino e curato da Luigi Iannone, svolge una rapida, ma esauriente indagine su alcuni dei protagonisti di quella stagione di pensiero. Che ebbe come comune fondamento una critica radicale alla società liberaldemocratica egemone in Occidente, esprimendo da una parte la volontà di restaurare la Germania – dopo il crollo del 1918 – nei suoi diritti mondiali e, dall’altra, una visione della storia anti-progressista. In questo senso, si può dire con Nolte che la Rivoluzione Conservatrice sia stata uno dei movimenti più rilevanti contro la modernità, ma che, al tempo stesso, gli sia mancata una vera ispirazione politica. Rimase una spinta intellettuale, certo importante, ma incapace di intercettare le motivazioni politiche che agitavano le masse. E senza masse, si sa, qualunque rivoluzione è difficilmente realizzabile.
Nolte sceglie di presentarci alcuni tra i maggiori rappresentanti di quel colto e innovativo movimento, inquadrandoli in brevi “medaglioni”, sintetici quanto esaustivi. Ma prima, lo storico tedesco fa una panoramica storica, cercando di inquadrare il retroterra da cui scaturirono le varie posizioni. E rileva che l’elemento più importante che accomuna quegli intellettuali, quasi tutti già attivi prima del 1914 e imbevuti di nazionalismo, fu senz’altro il trauma vissuto in occasione della Rivoluzione bolscevica.
Da una parte, essa scatenò il terrore in quanti – come Klages o Spengler – vedevano minacciata da vicino l’identità europea e rimasero fortemente impressionati dalla volontà di annientamento dell’Occidente proclamata da Lenin. Da un’altra parte, questo evento drammatico attirò l’attenzione e una certa simpatia da parte di alcuni, come Niekisch e per un periodJünger, che vedevano balenare a Oriente nuove possibilità politiche. Essi avvertirono la Russia sovietica come una macchina distruttiva che, finalmente, avrebbe contribuito a eliminare dalla scena il liberalismo e il mondo borghese, visti quasi sempre come il fulcro della decadenza della civiltà e l’avvento del dominio del mercantilismo economicista. E formulavano scenari in cui una Germania socialista e nazionalista avrebbe potuto affiancare l’URSS in un finale regolamento di conti contro l’Occidente capitalista.
In uno sguardo più generale, Nolte non manca di fare un cenno al fatto che gli ideali della Rivoluzione Conservatrice tedesca erano comuni a larga parte dell’Europa. E cita Enrico Corradini, che già all’inizio del Novecento aveva parlato per suo conto di “socialismo nazionale” ed aveva rovesciato l’idea marxista di lotta di classe, lanciandosi nella teorizzazione di una “lotta di classe” tra nazioni: le povere e proletarie – tra cui in primis l’Italia – contro le ricche che dominavano il mondo. Ma anche in Francia si muoveva qualcosa di singolare. Ad esempio, una certa alleanza tra Sorel, teorico della violenza rivoluzionaria fondata sul mito popolare, ma ostile al socialismo marxista, e Maurras, il leader dell’Action Française, movimento monarchico e reazionario. Intrecci strani, opposti che si toccavano, contaminazioni nuove. Era questo il terreno ideologico trasversale su cui si muovevano i rivoluzionari conservatori. Tra i quali figurava anche il Thomas Mann prima-maniera, che nelle sue Considerazioni di un impolitico, scritte durante la guerra, riprese tra l’altro la dicotomia spengleriana fra Kultur germanica, tradizionale e creativa, e Zivilisationoccidentale, decadente, priva d’anima, fondata su diritti astratti. Mann del resto, lo sappiamo, già col suo capolavoro sulla saga dei Buddenbrook, aveva manifestato una concezione pessimistica circa le sorti del mondo borghese-capitalista, afflitto da un’interiore malattia di disgregazione. Si trovò pertanto a condividere con naturalezza la prognosi infausta che formulò Spengler, col suo monumentale Tramonto dell’Occidente.