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giovedì 31 maggio 2012

Mishima si uccise per ridare vita al Giappone.


di Stenio Solinas (Il Giornale)

Il 25 novembre 1970 un uomo si diede la morte nel Quartier generale dell’Esercito giapponese a Tokyo. Si chiamava Yukio Mishima, era uno degli scrittori più famosi e rispettati del suo Paese.

Con quattro membri di un’organizzazione militare da lui fondata, «La Società dello Scudo», dopo aver preso in ostaggio il generale-comandante, ottenne di arringare i soldati chiamati a raccolta nel cortile interno, e chiese loro di aiutarlo a rovesciare un sistema politico che, in virtù del Trattato di sicurezza nippo-americano del 1950 metteva le forze armate giapponesi sotto il controllo degli Usa. Un’umiliazione nazionale, dunque.

Quando i soldati cominciarono a schiamazzare contro il suo discorso, tendente anche a restaurare il potere dell’imperatore, e a irridere le sue parole, Mishima rientrò nell’ufficio e si uccise praticando il seppuku, il suicidio rituale dei samurai, prima di essere decapitato da uno dei suoi uomini. «Se riteniamoche sia importante vivere con dignità, come non dare lostesso valore alla morte? Nessuna morte è inutile» lascerà scritto.

Il giorno in cui Mishima ha scelto il suo destino è il bel film di Koji Wakamatsu, in gara per la sezione «Un Certain Regard». Jakuza da ragazzo, e per questo finito in carcere, poi autore di B-movies erotici e gangsteristici, Wakamatsu è dagli anni Settanta un regista sempre più interessante, politicamente legato ai temi della ribellione giovanile e del malessere sociale. Quattro anni fa con United Army, che raccontava il terrorismo internazionale dell’Armata rossa giapponese, fece scalpore al Festival di Berlino.

Nel film su Mishima, l’interesse sta nella contestualizzazione del suo gesto, la fine degli anni Sessanta sempre più segnati in Giappone dalla contestazione politica e nell’assoluta mancanza di demonizzazione. Come i militanti di estrema sinistra, anche Mishima voleva trasformare il Giappone per salvarlo. Significativo, in questo senso, è la ricostruzione del dibattito che oppose lo scrittore agli studenti occupanti l’università di Tokyo, il suo aderire alle cause della protesta, il suo schierarsi contro chi non voleva riconoscere che il sistema andava modificato con un ritorno al passato, la divinizzazione del potere imperiale come sola possibilità di opporsi ai valori occidentali.

«Perché gli studenti si battevano? Chi era il loro vero nemico? Perché Mishima decise quel gesto estremo? Come si deve morire? E per quale causa? Ogni domanda ne solleva un’altra e per cercare di rispondere ho deciso di fare questo film».

martedì 22 maggio 2012

Il Msi messo fuorilegge a posteriori. Il Colle che dice?



di Girolamo Fragalà (Secolo d'Italia)

Msi fuorilegge. Non siamo negli anni Settanta, quando tentarono di tutto per cancellare il partito di Almirante dal panorama politico italiano. Non siamo neppure nell’immediato dopoguerra. Siamo solo in presenza di una vicenda che, se non fosse grave, sarebbe grottesca. Tutto ha un limite.

E il limite, nello “scandalo” del console Mario Vattani, è stato superato – di molto – in un clima di colpevole silenzio. Perché il punto cruciale non è più la sua esibizione canora sul palco di Casapound ma la discriminazione di un’intera comunità politica. Vattani – prima richiamato dalla Farnesina, poi reintegrato dal Tar e ora di nuovo richiamato in Italia su decisione del Consiglio di Stato – è stato considerato “impresentabile” per la sua militanza missina negli anni Ottanta.

Il capo d’accusa: aver avuto un passato nel Fronte della Gioventù, ragion per cui – come si legge nel memoriale della Farnesina – la sua permanenza all’estero sarebbe «in palese contraddizione con le alte funzioni di rappresentanza dello Stato che è chiamato a svolgere». Vattani “condannato” per essersi iscritto all’organizzazione giovanile missina nel periodo in cui il segretario era Fini.

Parole che potrebbero riguardare tutti, a ogni livello. Una sorta di messa al bando a posteriori, secondo la quale – a rigor di logica – Fini non avrebbe potuto fare il presidente della Camera, La Russa il ministro della Difesa, Gasparri il capogruppo Pdl al Senato, Matteoli il ministro delle Infrastrutture, Alemanno il sindaco di Roma e la Meloni il ministro della Gioventù.

Il che ha provocato la protesta di chi ha vissuto le difficili ed esaltanti stagioni della destra, da Domenico Gramazio a Enzo Raisi e Bruno Murgia. Nessuna reazione invece dal Quirinale, di solito molto loquace.

C’è tempo per rimediare, meglio tardi che mai. Purché si rimedi.

lunedì 21 maggio 2012

“Mi sfrattano per essere stato un militante del Fronte della Gioventù”. Autodifesa di Vattani.



“Sarei curioso di sapere che cosa pensano del trattamento che mi sta riservando il ministero degli Esteri i molti personaggi politici provenienti dal Msi e poi da An, che hanno avuto incarichi di prestigio anche nei precedenti governi”. A parlare al Foglio è il console a Osaka, Mario Vattani, prima richiamato dalla Farnesina, poi reintegrato da una sentenza del Tar e ora di nuovo richiamato in Italia dopo una decisione monocratica del Consiglio di stato (la sentenza collegiale arriverà solo il 19 giugno): il tutto senza ancora alcuna decisione della commissione di disciplina e, in sostanza, perché quasi trent’anni fa faceva parte del Fronte della gioventù.

Il circo mediatico giudiziario si era messo in moto contro Vattani il 29 dicembre 2011, con un video pubblicato dall’Unità che lo ritraeva nella sede romana di CasaPound, sul palco, sotto pseudonimo, a cantare canzoni di gioventù. “Per poter ricorrere al Consiglio di stato”, spiega Vattani, “il ministero degli Esteri ha inserito una ‘considerazione a monte’ che al momento del ricorso al Tar non era stata usata”. Secondo la considerazione a monte, gli “elementi fattuali” che rendono Vattani colpevole – condannato senza processo – consistono nella sua militanza politica missina negli anni Ottanta. Questo renderebbe la permanenza all’estero del console “in palese contraddizione con le alte funzioni di rappresentanza dello stato che egli è chiamato a svolgere”, come si legge nella memoria della Farnesina. “Nel testo presentato al Consiglio di stato”, dice Vattani, “il ministero evidentemente considera incompatibile il passato nell’organizzazione giovanile del Msi con la rappresentanza dell’Italia all’estero. Ma nel periodo in cui io ero iscritto al Fronte della gioventù i segretari dell’organizzazione erano prima Gianfranco Fini – divenuto in seguito ministro degli Esteri – e dal 1988 Gianni Alemanno”.

Una campagna mediatico-giudiziaria senza precedenti, quella riservata al console, e riconosciuta come tale anche dal Tar, che nella sentenza del 5 aprile scorso dice che non bastano articoli di stampa e il video di un concerto per un decreto di richiamo. Il “clamore di stampa” suscitato da Vattani, e a lui imputato, secondo il Tar era in realtà dovuto alla sovraesposizione mediatica della vicenda da parte dei vertici del ministero. In sostanza la Farnesina si sarebbe danneggiata da sé, attribuendo enorme visibilità a una vicenda che per mesi non aveva interessato nessuno. “Invece di tenere conto dei fatti – dice Vattani – ci si basa sulla loro interpretazione da parte di alcuni giornali. Ma la cosa sconvolgente è che nessuno dalla Farnesina si è mai premurato di spiegare perché io fossi stato nominato a Osaka, o di fare un minimo cenno sul mio curriculum e sul fatto che conosco correntemente la lingua e la cultura giapponese”. Ora Vattani ha cinque giorni per traslocare a Roma, dopo il richiamo “urgentissimo” della Farnesina: “Farmi rientrare in cinque giorni, con una serie di impegni istituzionali già organizzati e centinaia di invitati, tra cui personalità politiche giapponesi, equivale a un gravissimo sgarbo nei confronti delle autorità giapponesi e a un grave danno d’immagine per l’Italia. E’ evidentemente un provvedimento vessatorio e punitivo che dimostra un accanimento quasi ideologico. Se è questa la lezione di diplomazia che mi si vuole dare…”.

di Giulia Pompili.