di Stenio Solinas (Il Giornale)
Il 25 novembre 1970 un uomo si diede la morte nel Quartier generale dell’Esercito giapponese a Tokyo. Si chiamava Yukio Mishima, era uno degli scrittori più famosi e rispettati del suo Paese.
Con quattro membri di un’organizzazione militare da lui fondata, «La Società dello Scudo», dopo aver preso in ostaggio il generale-comandante, ottenne di arringare i soldati chiamati a raccolta nel cortile interno, e chiese loro di aiutarlo a rovesciare un sistema politico che, in virtù del Trattato di sicurezza nippo-americano del 1950 metteva le forze armate giapponesi sotto il controllo degli Usa. Un’umiliazione nazionale, dunque.
Quando i soldati cominciarono a schiamazzare contro il suo discorso, tendente anche a restaurare il potere dell’imperatore, e a irridere le sue parole, Mishima rientrò nell’ufficio e si uccise praticando il seppuku, il suicidio rituale dei samurai, prima di essere decapitato da uno dei suoi uomini. «Se riteniamoche sia importante vivere con dignità, come non dare lostesso valore alla morte? Nessuna morte è inutile» lascerà scritto.
Il giorno in cui Mishima ha scelto il suo destino è il bel film di Koji Wakamatsu, in gara per la sezione «Un Certain Regard». Jakuza da ragazzo, e per questo finito in carcere, poi autore di B-movies erotici e gangsteristici, Wakamatsu è dagli anni Settanta un regista sempre più interessante, politicamente legato ai temi della ribellione giovanile e del malessere sociale. Quattro anni fa con United Army, che raccontava il terrorismo internazionale dell’Armata rossa giapponese, fece scalpore al Festival di Berlino.
Nel film su Mishima, l’interesse sta nella contestualizzazione del suo gesto, la fine degli anni Sessanta sempre più segnati in Giappone dalla contestazione politica e nell’assoluta mancanza di demonizzazione. Come i militanti di estrema sinistra, anche Mishima voleva trasformare il Giappone per salvarlo. Significativo, in questo senso, è la ricostruzione del dibattito che oppose lo scrittore agli studenti occupanti l’università di Tokyo, il suo aderire alle cause della protesta, il suo schierarsi contro chi non voleva riconoscere che il sistema andava modificato con un ritorno al passato, la divinizzazione del potere imperiale come sola possibilità di opporsi ai valori occidentali.
«Perché gli studenti si battevano? Chi era il loro vero nemico? Perché Mishima decise quel gesto estremo? Come si deve morire? E per quale causa? Ogni domanda ne solleva un’altra e per cercare di rispondere ho deciso di fare questo film».
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