Un nuovo schiaffo, un’inaccettabile chiusura. L’Alta Corte di Kochi ha respinto ieri il ricorso del governo italiano riguardante la giurisdizione da applicare ai marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone nel caso della morte di due pescatori indiani avvenuta il 15 febbraio scorso. L’udienza era relativa alla richiesta italiana di giudicare in patria i due fucilieri del San Marco ed è stata incentrata sulla contestazione delle accuse formulate dalla polizia indiana a carico dei nostri militari e sul fatto che i marò erano funzionari dello Stato italiano in servizio sulla petroliera ‘Enrica Lexie’. Circostanza che, sulla base del diritto internazionale affermerebbe la prevalenza della giurisdizione italiana con la conseguenza che i due militari dovrebbero essere giudicati in nel nostro Paese. Il giudice P.S. Gopinathan ha pubblicato una sentenza di 60 pagine nella quale il magistrato ha respinto gli argomenti dei legali della difesa che chiedevano di bloccare le accuse per mancanza di giurisdizione, e ha ribadito con asprezza la competenza indiana sulla vicenda, accogliendo tutte le tesi del Kerala e ratificando la legittimità dell’operato di polizia e giustizia keralesi. Nel dispositivo della sua sentenza Gopinathan ha definito l’uccisione dei due pescatori da parte dei marò a bordo della Enrica Lexie come “brutale” e “crudele”, sostenendo che essi non disponevano di immunità. Di più, il giudice ha condannato anche lo Stato italiano e gli eredi dei due pescatori uccisi a pagare un ammenda per aver raggiunto un accordo extragiudiziale in merito all’incidente: 100 mila rupie (circa) 1.400 euro dovrà versarli l’Italia mentre gli eredi di Valentine Jelastine e Ajesh Pinku sono stati multati di 10 mila rupie ciascuno (circa 144 euro). Per il magistrato inoltre “è giusto” quanto fatto in Kerala da polizia e tribunali: “I marò sono soggetti alla giurisdizione penale dei tribunali indiani – si legge nel dispositivo – e la polizia ha agito nel modo giusto registrando la denuncia e svolgendo indagini benchè essi fossero imbarcati su una nave straniera”. Rivendicando il diritto di intervento nonostante la petroliera si trovasse oltre le acque territoriali indiane, il giudice ha sostenuto che “esiste una sentenza del 1981 che impone allo Stato di intervenire fino al limite della Zona di interesse economico (200 miglia nautiche) se il passaggio di una nave privata crea problemi gravi alla sua sicurezza”. Infine, nella sentenza si legge anche che “non c’è nulla nei documenti da cui si può desumere che i marò avessero libertà assoluta di sparare ed uccidere persone. Erano agli ordini del capitano”. Nulla, si dice infine, da cui emerga che essi erano sotto il comando della Marina italiana e “nulla che indichi che il capitano avesse dato un ordine di sparare”. Un responsabile della delegazione italiana ha riferito che insieme ai legali di Latorre e Girone deciderà se e come presentare ricorso.
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