Per molti un sogno, un ricordo. Qualcosa che ci riporta alla mente crescita, benessere, stipendi dal doppio valore rispetto al dimezzamento inflazionistico e valutario ottenuto con l’euro. Ma è possibile?
Euro sì, euro no. Oggi è evidente che chiunque appoggi una linea d’austerità o comunque fortemente europeista paghi in termini di consenso un prezzo molto più elevato dei classici “populisti, demagoghi, arringatori di folle”. Non è un caso l’exploit di Beppe Grillo in queste amministrative dove il PdL ha preso sberle ovunque, la Lega ha indietreggiato parecchio e Casini archivia velocemente il Terzo Polo forse neanche ancora nato del tutto.
E mentre litigano nelle alte sfere noi siamo qui, i popoli attendono soluzioni credibili che arrancano, tardano ad arrivare. Sicché nelle consultazione elettorali, quelle poche in cui ci danno la possibilità di esprimerci puniamo sonoramente tutti. Chi appoggia esecutivi tecnici, chi è stato al governo, chi è incapace di alzare la voce e chi non ha presentato un progetto concreto per la crescita. Dal voto di protesta all’astensionismo l’urlo si sente forte e chiaro.
La sensazione dominante, quella con cui si è innalzato il poderoso senso di sfiducia aleggiante nelle case e nelle “casse” degli italiani è che i sacrifici non bastino mai. Tasse, Pil in decremento, rapporto più elevato sul deficit, ancora tasse. Un mantra che negli ultimi anni si sta ripetendo troppo spesso e sempre più frequentemente a tal punto che oggi l’Europa giunge a chiedere ancora manovre correttive date le stime in negativo per i prossimi due anni sul Prodotto Interno Lordo.
Il Governo Monti è chiamato a scrivere ancora pagine di bugie e zeppe d’errori nella nostra storia. Dopo una riforma del lavoro annacquata da mille rivoli che crea nero e costi più elevati con meno tutele, una riforma delle pensioni iniqua e punitiva, l’imu con partenza a Giugno a scatola chiusa, gli esodati vittime di uno Stato truffaldino che cambia con effetto retroattivo regole con cui erano stati stipulati patti precedenti e così via, che cosa dovremmo aspettarci ancora?
Non è un caso se il Presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino rammenta che soltanto il 6% della spesa pubblica è rimodulabile.
In questo contesto di regole, rigidità, debiti sovrani che si spostano da un fondo all’altro senza mai riassorbire la bolla, ci chiediamo quale sia l’utilità di mantenere una moneta a cui dobbiamo rispondere ma sulla quale non possiamo prevedere politiche monetarie e finanziarie.
L’Europa deve tornare a ciò che era prima, ovvero un insieme di Stati che ratificano accordi economici, commerciali, di non belligeranza, di libero scambio per merci e persone esulando tutto ciò che riguarda la Sovranità Nazionale, i culti, le regole e le radici. Se è vero che abbiamo fatto l’Italia ma non gli italiani, figuriamoci se siamo riusciti a creare in un contesto globale e privo di contatti umani l’Europa.
Si inizia a parlare di una svalutazione del 50% rispetto all’attuale moneta, di 10.000€ di costo a cranio e di possibili sconquassi finanziari come i tassi di interesse alle stelle e il dover onorare comunque i Titoli di Stato emessi con il vecchio conio (in questo caso l’euro). Certo, non è una strada facile né economica. Tuttavia l’unica soluzione a questo lento stillicidio di risorse e speranze è ripartire, una volta toccato il fondo invece di continuare a scavare dovremmo adoperarci per un balzo in avanti.
Allora che si ingegnino i tecnici nei loro dicasteri, che l’Italia se desti! Sennò che vi paghiamo a fare?
di Andrea Lorusso.
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