"Fascista!"
ha urlato Bersani a Beppe Grillo. Sembra essere tornati agli anni ’70 quando
chi non si "dichiarava, laico, democratico e antifascista" era di per
sè un fascista. Usare il termine "fascista" come insulto e strumento
di lotta politica nell’anno di grazie 2012 non solo è un "non sense"
è ridicolo. Evidentemente nella generazione dei Bersani, scatta ancora un
riflesso, pavloviano dovuto all’età (a un Matteo Renzi, sindaco di Firenze, che
di anni ne ha 37 e che pure è un Ds, non verrebbe mai in mente da dare del
"fascista" a chichessia) e alla lunga militanza del Pci, che rischia
di dare ragione a Berlusconi quando diceva che gli ex comunisti, nonostante
tutti i cambi di sigle, erano rimasti, nel fondo della loro animuccia,
comunisti.
Ma
io vorrei spostare la questione su un altro piano. Alla luce dell’esperienza
storica di quest’ultima secolo, "fascista" ebbe un’idea di Stato e di
Nazione e cercò di attuarla con coerenza. Non fu solo treni che arrivavano in
orario. L’Iri nel dopo guerra democratico diventò un indegno carrozzone,
partitocratico, ma quando venne creato, nel 1931, fu un’intelligente risposta
alla crisi del 1929 e infatti l’Italia non ne subì i contraccolpi se non
marginalmente. Alberto Beneduce, che oltre all’Iri diresse altri importanti
Istituti pubblici, fu uno straordinario "grand commis" che godette
sempre di un’amplissima autonomia (la leggenda vuole che fosse il solo a poter
di "no" a Mussolini). Le prime leggi a tutela dei beni culturali e
artistici sono del ’39, come quelle ambientali e paesaggistiche, mentre dal ’42
ogni comune dovette dotarsi di un piano regolatore. Le bonifiche in Agro
Pontino e in Maremma furono un modello di organizzazione anche se al prezzo
dello spostamento forzoso, vagamente staliniano, di migliaia di contadini
veneti. Mussolini aveva pronto anche un piano di frantumazione e
redistribuzione del latifondo in Sicilia, cosa che ovviamente non piaceva ai
baroni nè alla mafia (che il fascismo, col prefetto Mori, fu il solo a
combattere seriamente). E i baroni e la mafia aprirono l’isola agli
angloamericani, peccato d’origine le cui conseguenze, come si può ben vedere,
scontiamo ancora oggi.
Il
fascismo esercitò una censura sulla stampa feroce e stupida con esiti, spesso,
esilaranti, ma in campo culturale ci fu sempre una certa libertà.
L’architettura fascista può piacere o meno ma, a differenza di quella d’oggi,
ha uno stile e in quegli anni fummo i primi nel design industriale (una
vivacità culturale che la coraggiosa mostra milanese "Annitrenta" del
1982 osò mostrare per la prima volta). Anche l’idea della valorizzazione
dell’agricoltura e di una ragionevole autarchia alimentare non era sbagliata,
anzi è estremamente attuale. Certo poi ci sono gli orrori: il carcere di
Gramsci ("dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare per almeno
vent’anni") l’omicidio Matteotti, quello dei Rosselli, il criminale uso
dell’iprite in Abissinia, le leggi razziali. E l’errore fatale: entrare in
guerra impreparati, Mussolini, che da maestro era diventato succube di Hitler, credeva
che i tedeschi avrebbero vinto la guerra in quattro e quattr’otto ("ci
basteranno poche centinaia di morti per sederci al tavolo della pace").
Questo riluttante cinismo gli italiani l’avrebbero pagato carissimo. Ma oggi
dopo gli ultimi quarant’anni di Italia repubblicana, dobbiamo ammettere, con
amarezza, che è stata la democrazia a rivalutare il fascismo.
di
Massimo Fini.
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