21 APRILE 753 a.C.
NATALE DI ROMA
Circa mille anni a.C. alcune navi, che da tempo veleggiavano sui mari in cerca di un approdo, giunsero in vista di una terra sconosciuta. Quegli uomini erano i soli riusciti a fuggire dal terribile incendio con cui, dopo una lunga guerra, era stata distrutta la loro città. Apparivano tristi e stanchi, per anni avevano dovuto vagare sui mari alla vana ricerca di un po' di riposo e di un pò di pace...
Ed ecco ora davanti a loro stendersi una terra dall'aspetto sereno e accogliente. Giunsero in un luogo dove c'era un maestoso fiume che irrompeva in mare mescolando le sue tumultuose acque gialle con le onde azzurre. Così quando il capo diede l'ordine, fu con vero entusiasmo che essi si accinsero a sbarcare....
Gli uomini che finalmente poterono toccare terra erano i Troiani, ed erano sbarcati nel Lazio, sulle rive del fiume Tevere guidati dal valorosissimo guerriero Enea. Egli, mentre Troia crollava sotto il furioso assalto dei Greci, era riuscito a trarre in salvo il proprio padre, Anchise, e il proprio figlioletto. Ma il padre era morto durante il lungo viaggio; gli restava solo il figlioletto Ascanio, detto anche Iulo (Julo).
La vita e le imprese di Enea sono mirabilmente narrate nel poema Eneide, scritto da Virgilio, e non verranno rievocate; qui verranno riportati solo gli episodi che porteranno alla fondazione di Roma.
Gli usi, i costumi e i valori dei Latini erano molto simili alle popolazioni nordiche da cui discendevano: forza bruta, guerra di rapina, duelli mortali per il comando, culto della virilità, patriarcato assoluto. Adoravano alcune divinità naturali, alle quali innalzavano altari e sacrificavano animali, ma soprattutto veneravano Zeus, la massima divinità degli Arii, dei primi Achei e dei Dori, che chiamavano Juppiter. Il re degli Dei era padrone dei cieli, signoreggiava i fenomeni atmosferici come la pioggia e il fulmine, vigilava sulle vicende umane e manifestava la sua ira per mezzo del tuono. Zeus, però, non si occupava di politica o di guerre, preferendo lasciare queste incombenze ad altre divinità minori, i cosiddetti Dei militari.
Alle feste e ai riti sacri partecipavano gli abitanti di più villaggi, che nel tempo si riunirono dando vita a leghe religiose. Fra queste leghe particolare importanza assunse quella posta sotto la direzione di Albalonga, un villaggio situato presso l'attuale Castelgandolfo. Albalonga divenne infatti il centro di una federazione, istituita inizialmente a scopi religiosi, a cui si aggiunsero in seguito anche scopi difensivi, per cui ebbe presto in seno ai Latini un notevole peso militare e politico.
Nel frattempo sul colle Platino, dove si sarebbe poi sviluppata la città di Roma, c'era solo un agglomerato di misere capanne di legno e fango, con tetti di paglia.
Ma torniamo ad Enea ed ai Troiani. Come si è appena detto, quando questi sbarcarono nel Lazio, questo era popolato da varie popolazioni: gli Etruschi, i Volsci, i Sabini, gli Equi, i Rutuli e gli Ausoni, la cui più importante popolazione, stanziata in un gruppo di città organizzate nel territorio pianeggiante lungo le rive del Tevere, era quella dei Latini. I Troiani vennero subito in contatto con questo popolo e con il loro re, il saggio Latino. Egli li accolse con benevolenza, diede loro ospitalità e, qualche tempo dopo offrì in sposa ad Enea la propria figlia Lavinia già promessa a Turno, re dei Rutuli che scatenò una guerra per vendicare l'offesa ricevuta. Fu una guerra feroce, che si concluse con un lungo duello fra Enea e Turno, finchè quest'ultimo rimase ucciso. Seguì un lungo periodo di pace, durante il quale Enea fondò una città, Lavinium (presso l'attuale Pratica di Mare), in onore della sposa.
Ascanio, il figlio di Enea, diventato grande, fondò a sua volta la città di Albalonga (collocata tra l'attuale Albano e Castelgandolfo), sulla quale regnano lui e poi i suoi discendenti per molto tempo.
Come si è accennato in precedenza, Albalonga (il cui nome deriva da Alba=Bianca Longa=Lunga) diventerà ben presto il centro di una federazione nata prima per scopi religiosi e poi per scopi difensivi, acquistando in seno ai Latini un notevole peso militare e politico.
Molti anni dopo la morte di Ascanio, divenne re di Albalonga il buon Numitore. Egli, però, aveva un fratello invidioso e cattivo di nome Amulio, che avrebbe voluto regnare anch'egli. Per raggiungere il suo scopo, questi fece imprigionare Numitore, gli uccise tutti i figli tranne Rea Silvia rinchiudendola nel Tempio di Vesta e costringendola a farsi sacerdotessa (vestale) e a fare quindi voto di castità.
Amulio poteva, ormai, considerarsi sicuro e tranquillo e sarebbe stato il solo re; fino a quando, però, il dio Marte s'invaghisce di Rea Silvia e la rende madre di due gemelli, Romolo e Remo. Amulio, adirato fece uccidere Rea Silvia a bastonate e, per non avere legittimi concorrenti al trono, ordinò che i due gemelli venissero immediatamente uccisi, ma il servo incaricato di eseguire l'assassinio non ne trova il coraggio e li abbandona in una cesta di vimini alla corrente del fiume Tevere, con la speranza che qualcuno li salvasse.
La cesta nella quale i gemelli sono stati adagiati si arena sulla riva, presso la palude del Velabro tra Palatino e Campidoglio, dove i due vengono trovati e allevati da una lupa. Li trova poi il pastore Faustolo che insieme alla moglie Acca Larenzia li cresce come suoi figli.
Una volta divenuti adulti e conosciuta la propria origine Romolo e Remo fanno ritorno ad Alba Longa, uccidono Amulio, e rimettono sul trono il nonno Numitore. Romolo e Remo ottengono quindi il permesso di andare a fondare una nuova città, nel luogo dove sono cresciuti.
Romolo vuole chiamarla Roma ed edificarla sul Palatino, mentre Remo la vuole battezzare Remora e fondarla sull'Aventino.
E' lo stesso Tito Livio (storico romano nato a Patavium nel 59 a.C. e ivi morto nel 17, autore di una monumentale storia di Roma, gli Ab Urbe Condita libri CXLII, dalla sua fondazione fino al regno di Augusto) che riferisce le due più accreditate versioni dei fatti:
"Siccome erano gemelli e il rispetto per la primogenitura non poteva funzionare come criterio elettivo, toccava agli dei che proteggevano quei luoghi indicare, attraverso gli auspici, chi avessero scelto per dare il nome alla nuova città e chi vi dovesse regnare dopo la fondazione. Così, per interpretare i segni augurali, Romolo scelse il Palatino e Remo l'Aventino. Il primo presagio, sei avvoltoi, si dice toccò a Remo. Dal momento che a Romolo ne erano apparsi il doppio quando ormai il presagio era stato annunciato, i rispettivi gruppi avevano proclamato re l'uno e l'altro contemporaneamente. Gli uni sostenevano di aver diritto al potere in base alla priorità nel tempo, gli altri in base al numero degli uccelli visti. Ne nacque una discussione e dal rabbioso scontro a parole si passò al sangue: Remo, colpito nella mischia, cadde a terra."
"E' piu' nota invece la versione secondo la quale decisero di osservare il volo degli uccelli: avrebbe dato il nome alla città chi ne avesse visti in maggior numero. La fortuna favorì Romolo, il quale prese un aratro e, sul Colle Palatino, tracciò un solco per segnare la cinta della città, che da lui fu detta Roma. Era il giorno 21 Aprile, 753 anni prima che nascesse Gesù Cristo.
La nascita della nuova città segnò, purtroppo, la fine della vita di Remo. Era stato stabilito che nessuno, per nessuna ragione, poteva passare al di là del solco senza il permesso del capo. Ma Remo, invidioso, oppure per burla, lo oltrepassò con un salto e, ridendo, esclamò: - Guarda com'è facile! - Romolo, pieno d'ira, si scagliò contro Remo e, impugnata la spada, lo uccise, esclamando: Così, d'ora in poi, possa morire chiunque osi scavalcare le mie mura e chiunque avesse offeso il nome di Roma. Romolo, rimasto solo, governò la città in modo saggio, poi un giorno, durante un temporale, egli scomparve, rapito in cielo dal dio Marte."
La città è quindi stata fondata sul colle Palatino, e Romolo diventa il primo Re di Roma.
In effetti non ci fu un vero atto di fondazione, perchè Roma si sviluppoò sul Palatino come aggregato di capanne di pastori-agricoltori, con boschi, orti, recinti per il bestiame, campi coltivati in comune. Il primo nucleo urbano si formo' probabilmente fin dal II millennio nel luogo dove in seguito sarebbe sorto il Foro Boario, cioè l'area destinata al commercio del bestiame.
Questo primo nucleo con il tempo si ingrandì grazie alla sua posizione strategica: dominava l'ansa del Tevere nel punto in cui l'Isola Tiberina rendeva agevole il guado del fiume alle correnti commerciali tra il nord e il sud dell'Italia, collegando Etruschi e Campani. Sempre in quella zona transumavano le greggi delle pianure tirreniche verso i pascoli estivi dell'interno e vi passava la pista del sale (la futura via Salaria) che dalle spiagge di Ostia veniva portato alle popolazioni appenniniche. Presto, quindi, vi fiorì un ricco mercato di prodotti agricoli, di bestiame e di sale che attiro' sempre piu' le popolazione dell'Italia centrale.
Durante l'VIII e il VII secolo a.C. il villaggio del Palatino si fuse, anche per difendersi soprattutto dagli Etruschi che spadroneggiavano al di la' del Tevere, con i villaggi vicini; l'Esquilino, il Celio, il Viminale, il Quirinale, il Capitolino, mentre l'Aventino dovrà attendere il IV secolo per essere incluso entro la cerchia delle mura. Tutti questi villaggi si riunirono in una lega religiosa il cui ricordo rimase nella festa del settimonzio, un rito celebrato ancora in eta' storica con sacrifici alle divinità sulle alture dei colli meridionali (da saeptimontes = monti chiusi da staccionate o da argini di terriccio). Successivamente questi villaggi si riunirono anche militarmente, soprattutto dopo che sul Quirinale si erano insediati i Sabini scesi dall'entroterra appenninico per garantirsi il guado del Tevere e la possibilita' di accesso alle saline.
Attraverso questo processo di amalgama si formò Roma, che diventò pian piano una vera e propria città, munita di un valido sistema difensivo, sotto il comando di un re, affiancato dagli esponenti delle più importanti famiglie. La fisionomia della citta' allora si trasformò: vennero tracciate strade, costruite case e quartieri, innalzati templi ed edifici pubblici, ampliate le mura.
Si sviluppò, sempre in questo periodo, l'artigianato, si incrementarono i commerci, furono accolti gli stimoli della più progredita civiltà etrusca.
Per quanto concerne la data della fondazione di Roma anche su questa regna il mistero.
Secondo il letterato romano Marco Terenzio Varrone (Rieti, 116 a.C. – 27 a.C.), sulla base di calcoli effettuati dal suo amico astrologo Lucio Taruzio (anche conosciuto come Lucio Tarunzio Firmano, nato a Fermo nel I secolo a.C. - ...), Romolo avrebbe fondato Roma il 21 aprile 753 a.C. (Natale di Roma).
Da questa data deriva la cronologia romana definita con la locuzione latina Ab Urbe Condita, ossia dalla fondazione della città. Sembra che Bonifacio IV, vissuto intorno al 600 d.C., fosse il primo a riconoscere un collegamento tra questo tipo di datazione e l'Anno Domini, cioè A.D. 1 = AUC 754.
La correttezza del calcolo di Lucio Taruzio tuttavia non è mai stata provata in modo scientifico. Ed è sempre a Taruzio che si deve una presunzione di data di nascita di Romolo, che, secondo i suoi calcoli, doveva essere nato il 23 settembre dell'anno successivo alla seconda olimpiade, nel 771 a.C. in coincidenza con una eclissi di sole; datazione che fu ritenuta comica dal suo contemporaneo Marco Tullio Cicerone (Arpinum, 3 gennaio 106 a.C. – Formia, 7 dicembre 43 a.C.).
Durante il ventennio fascista al "Natalis Urbis" fu data una forte connotazione simbolica:
una sorta di sacralità del culto di Roma che doveva “esaltare i fasti della rinnovata e purificata nazione Italiana”. Il 21 aprile, era festa nazionale del Lavoro e della Nazione, divenne l’occasione sia per esaltare la memoria della grandezza passata, che per mostrare i progressi, i grandi lavori, i progetti faraonici, le similitudini con la Roma imperiale che Mussolini vedeva nel compimento del suo progetto della Grande Roma. Così, a partire dal 1926, ai festeggiamenti classici (come l’illuminazione dei monumenti storici più significativi) furono affiancate cerimonie solenni (quali le sfilate delle scolaresche romane tra i monumenti dell’antica Roma e i ludi classici di attività fisica dei giovani) e soprattutto, provvedimenti e inaugurazioni a favore della città. Il Natale di Roma diventò per il Governo ed il Governatorato una sorta di “vetrina” nazionale ed internazionale della propria attività “modernizzatrice”, la data nella quale inaugurare scuole, edifici pubblici, nuove strade, interventi archeologici e di recupero del patrimonio artistico. Tra i tanti si ricordano la fruizione pubblica di Villa Aldobrandini, Villa Celimontana e del Colle Oppio, i lavori per liberare il Teatro di Marcello, la sistemazione del colle capitolino e della zona del Velabro, la pavimentazione della Piazza del Campidoglio.
Con lo scoppio e il proseguire della II Guerra Mondiale le celebrazioni divennero necessariamente più sobrie e sempre più sporadiche. E si indirizzarono esclusivamente sul carattere accademico e culturale. Se nel 1942 si tenne in Campidoglio l’adunanza generale dell’Accademia d’Italia, il 21 aprile 1943, mentre i capolavori e i monumenti del Campidoglio venivano messi “in sicurezza” (la statua di Marco Aurelio fu sistemata nel Tabularium, per ritrovare il suo posto al centro della piazza il 27 aprile 1945), scrittori e “romanisti”, tra cui Trilussa, Luciano Folgore, Silvio D’Amico, Aldo Fabrizi e Aristide Capanna, furono invitati nella redazione di Capitolium, ospitata allora nel palazzetto della Farnesina ai Baulari, ora sede del Museo Barracco. A fare gli onori di casa il direttore Lido Caiani e il comitato di redazione, tra cui spiccava il nome di Giuseppe Ceccarelli, meglio noto come Ceccarius.
Dopo la guerra civile e la nascita della Repubblica italiana, il Natale di Roma si liberò dell’esaltazione e della che fecero, per oltre vent’anni, del 21 aprile il simbolo più evidente di «quell'Italia romana ed imperiale».
La commemorazione si limitò soltanto al ricordo della fondazione della cittàsenza ulteriori valenze o specifici significati politici, del momento da dedicare allo studio e approfondimento della ricchissima, a volte poco conosciuta, storia dell’Urbe.
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