Il 24 febbraio 1975 iniziava, presso il Tribunale penale di Roma, il processo contro i tre attivisti di Potere operaio accusati di aver deliberatamente provocato un incendio nella casa di Mario Mattei, segretario della sezione missina di Primavalle, causando la morte dei suoi due figli.
Nella giornata stabilita il processo inizia. All’esterno del tribunale le forze dell’ordine presidiano la piazza, e la stessa cosa avviene nelle piazze più importanti dei quartieri confinanti con il palazzo di giustizia. Fin dalle prime ore della mattinata folti gruppi di extraparlamentari di sinistra tentano di aggredire i giovani di destra che stazionano fuori del tribunale non essendo riusciti ad entrare in aula. Nonostante la presenza delle forze dell’ordine, nascono sporadici tafferugli. Poco dopo i vari gruppi di sinistra, riunitisi per l’occasione, danno vita ad una vera e propria guerriglia urbana, provocando vari feriti anche tra i passanti. Stesse scene di violenza nei tre giorni seguenti, in cui gli extraparlamentari, con manifesti e appelli sui giornali e radio di sinistra, invitano tutte le forze antifasciste a partecipare al processo. L’invito viene raccolto e il 28 febbraio, giorno della terza udienza del processo, già dalle sei di mattina confluiscono nella zona del tribunale gruppi di attivisti equipaggiati per la guerriglia urbana. Già alle 6.30 del mattino si verificano i primi incidenti: un dirigente del FDG viene aggredito a colpi di pistola, per fortuna senza conseguenze. Poco dopo un gruppo di circa cento extraparlamentari di sinistra compie un attacco in forze ai giovani di destra che stanno entrando in tribunale: una pioggia di sassi e bastoni tempesta i ragazzi di destra, che non possono fare altro che premere sulla porta del tribunale. Vengono anche sparati alcuni colpi di pistola, che raggiungono uno dei giovani di destra alla gamba. Accerchiati dagli avversari, i giovani di destra riescono ad entrare in tribunale dopo che qualcuno ha aperto la porta.
L’assalto è durato qualche minuto e vari giovani di destra sono costretti a ricorrere alle cure dei sanitari per le ferite riportate.
Intanto in aula inizia l’udienza. La tensione rimane comunque alta: nella sala antistante l’aula processuale si verifica uno scontro tra un giovane di destra ed un extraparlamentare di sinistra, fermati e identificati dalla polizia: il secondo, Alvaro Lojacono, sarà rilasciato poco dopo le 11.00 per l’intercessione di un senatore del PCI. Tornato in libertà, si allontana seguito da un gruppo di extraparlamentari.
Mezz’ora dopo, quasi fosse un piano prestabilito, diversi focolai di guerriglia si accendono nei dintorni di Piazzale Clodio. Alle 11.30 si forma un corteo che scorrazza per venti minuti, dileguandosi rapidamente e si dirige verso via Ottaviano, evidentemente sapendo che i giovani del MSI, dopo i gravi incidenti della mattinata, si sono rifugiati nella loro sede sita proprio in via Ottaviano. Alle 13.15 circa inizia l’azione degli extraparlamentari di sinistra che culminerà con l’omicidio di MIKIS. I comunisti arrivano in via Ottaviano alla spicciolata: sono oltre cento, mentre nella sede missina si trovano non più di venticinque persone. Fuori del portone non c’è nessuno che si accorge della manovra di avvicinamento. Non sono presenti neanche le forze dell’ordine.
Dal gruppo degli aggressori partono le prime bottiglie incendiarie, che vanno a colpire il portone d’ingresso dello stabile nel cui sottoscala si trova la sezione missina. I giovani del MSI escono immediatamente, ma non possono raggiungere la strada perché tutto il tratto di corridoio che conduce al portone è invaso dalle fiamme e dal fumo. Probabilmente a questo punto qualcuno degli aggressori apre il fuoco verso l’ingresso dello stabile ma i giovani assediati, nel trambusto, non se ne accorgono. Tra i giovani missini c’è qualcuno che, superato il muro di fiamme, riesce a raggiungere il portone prima che i comunisti riescano ad entrare.
I giovani assediati si dirigono a questo punto verso l’altra uscita del palazzo, alla quale si arriva attraversando un cortile interno, che si affaccia su Piazza Risorgimento. Dal portone sulla piazza i giovani del MSI riescono ad uscire, dirigendosi verso l’angolo tra Piazza Risorgimento e via Ottaviano. Non sono più di una decina, e tra loro c’è Mantakas. I comunisti si accorgono della manovra e fingono di ripiegare su via Ottaviano. Alcuni di loro però si appostano dall’altra parte della strada, mentre il grosso si allontana.
Appena i giovani di destra giungono all’angolo i comunisti, disposti a raggiera di fronte all’angolo stesso, aprono il fuoco. Avanti a tutti, in mezzo alla strada, Alvaro Lojacono, armato di una pistola a tamburo di grosso calibro. Sono attimi tremendi: sottoposti al fuoco incrociato di almeno cinque pistole, i giovani missini cercano rifugio dietro le auto parcheggiate. Vengono esplosi numerosi colpi e la velocità di fuoco dei comunisti, confermata da alcuni testimoni, è impressionante. Sotto il fuoco cade MIKIS MANTAKAS, colpito alla testa da un proiettile che gli attraversa tutto il cervello. A questo punto i comunisti si ritirano, non prima di aver lanciato alcune molotov. Solo ora i missini si accorgono che uno di loro è gravemente ferito: Mikis è a terra in una pozza di sangue, senza conoscenza. I camerati sollevano il suo corpo e lo trasportano a braccia all’interno del portone di Piazza Risorgimento, dal quale erano usciti pochi minuti prima.
I comunisti tentano immediatamente un nuovo attacco in forze, dirigendosi velocemente verso l’entrata che i missini tentano di guadagnare. Avviene quindi la seconda parte dell’assalto: gli aggressori si accalcano all’ingresso e lanciano alcune bottiglie molotov, una delle quali colpisce il corpo di Mikis. Ne nasce un durissimo scontro, nel quale hanno momentaneamente la meglio i missini, che riescono a chiudere il portone. Dall’esterno gli aggressori si avventano sul portone stesso, che inizia a cedere sotto i loro colpi. All’interno gli assediati provvedono ad allontanare il corpo di Mikis da dietro il portone e si allontanano dal corridoio, ripiegando nel cortiletto interno e chiudendo una porta a vetri ed un cancello che dividono l’ingresso dal cortile.
Prevedendo che da un momento all’altro il portone avrebbe ceduto sotto i colpi degli aggressori, i giovani del MSI, una volta trasportato nel cortile il corpo esanime di Mikis, lo richiudono dentro un garage privato. Proprio nel momento in cui i comunisti sfondano il portone, i giovani missini chiudono la saracinesca: uno di loro resta vicino a Mikis che, dal momento in cui è stato colpito, è privo di conoscenza. Altri cercano rifugio nella sezione sentendo che, appena entrati nel corridoio, i comunisti hanno sparato. Alcuni ragazzi riescono ad entrare ma altri rimangono fuori: non sapendo che vi era stata una momentanea interruzione dell’energia elettrica infatti, uno dei missini con un movimento brusco e involontario chiude il portoncino blindato della sezione, che si aziona con un congegno elettrico. Chi è dentro la sezione quindi non può più uscire ad aiutare gli altri che sono rimasti fuori. Mentre all’interno della sezione missina si cerca disperatamente di ripristinare la corrente, i comunisti superano facilmente la porta vetrata e la cancellata, non smettendo mai di sparare. I giovani del MSI rimasti fuori dalla sezione intanto, per non restare intrappolati, ritornano nel cortiletto. Prima di loro giungono però gli aggressori che, avendo sentito il rumore di una saracinesca che si chiudeva e credendo che all’interno vi fossero alcuni dei loro avversari, sparano numerosi colpi verso il garage centrale, che si trovano di fronte appena entrati e dove ritengono si siano rifugiati i missini. L’errore salva senza dubbio la vita del giovane che era rimasto a custodire il corpo di Mikis. E’ l’attimo in cui irrompono nel cortile anche i missini rimasti fuori dalla sezione.
Tra gli aggressori c’è un attimo di sbandamento: evidentemente non si accorgono dell’esiguità del numero e credono che stia per uscire il grosso degli avversari. Mentre la maggior parte dei comunisti fugge per il portone appena sfondato, una parte di loro resta nel cortile, dove prima lancia alcune molotov e poi apre di nuovo il fuoco, colpendo ad un fianco un ragazzo del FDG di 17 anni. A questo punto, mentre i giovani di destra cercano di portare al riparo il ragazzo ferito, i comunisti fuggono. Nel frattempo quelli rimasti chiusi nella sezione riescono a sfondare la porta e si dirigono verso il portone di via Ottaviano, con l’intento di inseguire gli aggressori: costoro sono però riusciti a far perdere le loro tracce, confondendosi nel fuggi fuggi generale conseguente alla sparatoria, nella quale peraltro è rimasto ferito anche un passante. Le vittime della furia omicida dei rossi sono quindi tre. Il più grave è senz’altro Mikis, che perde sangue dalla testa e subisce una fuoriuscita di materia cerebrale.
Intanto a Piazza Risorgimento, circa dieci minuti dopo che era terminato l’assalto, giungono i primi soccorsi. Mentre Mikis è sempre disteso all’interno del cortiletto, arriva infatti un’ambulanza dei vigili del fuoco, che porta il ragazzo al Santo Spirito. Dopo cinque minuti iniziano ad arrivare le prime volanti, che danno vita ad uno spettacolare quanto inutile carosello, assolutamente inidoneo a rintracciare i responsabili dell’agguato. Due giovani missini sono a questo punto avvicinati da una persona che dice di essere stato testimone oculare dell’intera scena: dice che i comunisti con le armi in pugno erano almeno cinque, e che gli sono passati davanti durante la fuga. I giovani missini si allontanano un attimo per andare ad avvisare i carabinieri, e quando tornano il testimone è misteriosamente sparito. Di lui non si saprà più nulla.
All’ospedale Santo Spirito i medici si accorgono subito della gravità delle condizioni di Mikis: il giovane greco è in coma. Dopo numerose trasfusioni, si decide di trasferirlo al San Camillo per operarlo d’urgenza. Quando arriva in ambulanza sono le 14.30. Si continua con le trasfusioni, non essendo possibile operarlo subito a causa della fortissima emorragia. Alle 15.30 i medici decidono di operare comunque. Poco dopo le 16.00 inizia l’operazione, nel corso della quale viene estratto un proiettile di grosso calibro. L’intervento dura poco più di due ore. Alla sua conclusione, mentre i medici sono intenti a suturare, MIKIS MUORE.
Nella tarda serata del giorno successivo, dopo una serie di voci non confermate, si apprende da un servizio dell’ANSA che la persona che ha sparato contro Mantakas uccidendolo è Alvaro Lojacono.
Il 3 marzo il MSI annuncia per il pomeriggio una cerimonia funebre in memoria di Mantakas: la zona adiacente la chiesa è presidiata da un ingente schieramento di forze dell’ordine, che non riescono però ad impedire una serie di gravi incidenti. Nella chiesa intanto, in un clima di forte commozione, si portano a termine i funerali di Mantakas.
Alle 20.45 dello stesso giorno un dispaccio ANSA afferma che sono stati emessi due ordini di cattura per l’omicidio di Mikis Mantakas: uno contro Alvaro Lojacono, l’altro contro Enrico Panzieri. Da questo momento comincia per Lojacono il periodo di latitanza, favorito dal PCI, del quale il padre è un pezzo grosso. Riesce infatti ad espatriare e per l’omicidio di Mantakas, per il quale è stato condannato a 16 anni di reclusione, non si fa neanche un giorno di carcere. La latitanza di questo assassino si è finalmente conclusa il 2 giugno 2000 in un villaggio vacanze in Corsica, quando è stato arrestato dalla polizia francese.
Quello di Mikis è l’ennesimo omicidio impunito di un giovane idealista che credeva nella libertà e nel coraggio, che lottava quotidianamente per dare concretezza ai suoi ideali. Il suo sacrificio, come quello di tutti i ragazzi che come lui hanno dato la vita per quello in cui credevano, deve essere per noi uno stimolo fortissimo a non lasciarci scoraggiare dalle difficoltà quotidiane, a continuare nell’impegno che loro prima di noi hanno portato avanti, a tenere sempre in alto la fiaccola dell’idea che le loro mani non possono più stringere ma che ora brucia fiera nelle nostre.
Presente! Presente! Presente!
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