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domenica 4 dicembre 2011

Battisti se la gode in Brasile e chiede l’amnistia in Italia.


IL VIGLIACCO
E’ una diapositiva dell’aberrazione giuridica e morale dei tempi che corrono. Una vergognosa finzione di pentimento che si perde nelle istantanee della cronaca economica, degli Spread, delle altalene di Borsa e delle scommesse sul futuro dell’Euro.
Mentre il ‘contractor’ con gli italiani, Mario Monti, si appresta a presentare il conto lacrime e sangue griffato Bce, c’è un Paese fatto di storie personali, vive più che mai, che non dimentica il prezzo di sangue figlio delle P38 e della stagione terrorista.
Tanto più memore di un buio ghigno della nostra storia, in forma di maschera tragicomica, indossata ancora oggi da ometti del calibro di Cesare Battisti. Un individuo per il quale non è opportuno sprecare la definizione di terrorista pentito né quella – comodamente abusata – di cattivo maestro.
Il cialtrone ciarliero estremista dei Pac (non vale la pena di esplicitarne l’acronimo: sparavano e ammazzavano, punto) ora chiede scusa, comprensione e, magari, in prospettiva, la Grazia, per il prezzo di sangue frutto del suo repertorio criminale.
Se esiste un pregio nel dolore della memoria del nostro Paese, è il fatto che essa non ammette alcun rincoglionimento, posticcio perdono, fasullo oblio. Che non ammette il vocio di comparse di infimo ordine. Come, per l’appunto, quella di Cesare Battisti, che ghigna da troppo tempo impunito in foto nel mezzo di forze speciali brasiliane a mitra spianato, come in una una recita teatrale o un in un b-movie da mafia di esportazione.
E’ tardivo il pentimento di Cesare Battisti. Incompatibile con l’attuale lusso di correre da uomo ‘libero’ lungo le spiagge di Ipanema, protetto dal Brasile di Lula e, prima ancora, dal delirio francese della ‘dottrina Mitterand’: un salvacondotto garantito anche all’ultima delle personalità bordeline con il grilletto facile, spesso a sinistra, e la copertura ideologica della costruzione di ‘un mondo migliore’.
Le scuse di Cesare Battisti non hanno alcuna dignità. Nessuna dignità hanno le istanze pseudo-giuridiche della sua latitanza all’estero. Semplicemente, non merita dignità e giustificazione questa finzione di uomo che, tra avvocati pagati a peso di dobloni d’ignota provenienza e buone coperture diplomatiche, ha giocato – e continua a giocare – la parte del prigioniero politico; da perverso esponente della ‘generazione mitraglia’, dietro il manto di un’ipotesi rivoluzionaria da cervello di piombo in esilio.
Come reagire di fronte alla notte del fin troppo nominato Battisti?
Con una risposta: che egli abbia il coraggio di presentarsi spontaneamente a Fiumicino. Per chiedere davvero scusa pagando non qualche azzeccagarbugli ma il prezzo delle sue colpe di fronte alla legge. Che abbia il coraggio di guardare negli occhi Roberto Torreggiani. In nome della memoria di suo padre, Pierluigi, e delle altre vittime del delirio giustificatorio di cambiare il mondo con qualche rapina.
E’ un’ipotesi improbabile. Ma che dovrebbe essere di stimolo al ministro Giulio Terzi, oggi titolare della Farnesina, per impegnarsi sulla stessa strada di intransigenza percorsa dal governo Berlusconi. Quella di riportare Battisti in Italia perché sconti le sue condanne all’ergastolo. Sarebbe un segnale importante per far quadrare i conti, non solo di bilancio, ma anche – e prima ancora – del rispetto nei confronti delle vittime di ogni forma di terrorismo criminale che continua ad ammorbare questo Paese.

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