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venerdì 30 dicembre 2011

Le due mosse obbligate di Monti.



Mario Monti
Tutto è in pericolo. Il benessere raggiunto in decenni di sacrifici, un quadro di regole democratiche messo a durissima prova dalla fase eccezionale che stiamo attraversando, la coesione sociale sempre più in bilico sono le facce di una situazione che rischia di degenerare. L’azzardo è talmente grande che tutte le discussioni attorno alla maggiore o minore equità della manovra Monti appaiono inutili. Sarebbe fin troppo facile paragonare la protesta morbida scelta dai sindacati in questi giorni – Cgil in testa – alle folle oceaniche portate in piazza negli ultimi anni. Ma un ragionamento da una siffatta prospettiva ci porterebbe fuori strada. Il vero problema delle misure economiche dell’Esecutivo, infatti, non risiede nella loro equità, ma nella loro efficacia. Insomma, a cosa servono i sacrifici imposti agli italiani? A diminuire i tassi d’interesse sui nostri titoli di Stato? Per niente. I mercati hanno apprezzato la manovra come  insufficiente sul lato della riduzione del debito pubblico e della crescita, per non parlare della mancanza di misure incisive – al netto delle pensioni – per tagliare la spesa pubblica di uno Stato più simile ad un moloch sovietico che ad una democrazia liberale. Bisogna essere chiari: a causa della manovra di agosto del governo Berlusconi l’Italia ha perso mezzo punto di Pil; la nuova correzione dei conti pubblici garantisce un aggiustamento nell’immediato, ma nel 2012 ci farà perdere un altro 0,5%. Molte tasse e pochi tagli sono il difetto di entrambi i provvedimenti. Di questo passo sarà inevitabile un nuovo intervento per centrare il pareggio di bilancio nel 2013. La sola idea di continuare a bruciare risorse in questo pozzo di cui non si intravede il fondo è devastante. Il clamoroso calo dei consumi natalizi dimostra quanto le aspettative siano determinanti: pur non avendo ancora subito gli aumenti previsti della tassazione – benzina a  parte – gli italiani hanno subito reagito manifestando sfiducia. In questo quadro diventano decisive due mosse che il governo Monti dovrebbe fare se vuol minimamente giustificare il percorso e le ragioni che hanno condotto alla sua nascita: la crescita e una grande operazione verità sull’Europa. Anche qui, però, bisogna essere chiari. Innanzitutto nessuna economia sana cresce per decreto. E nessuna economia cresce se lo Stato divora la metà di quello che i cittadini producono. Dunque, per far ripartire l’economia va ridotto il carico fiscale su chi produce attraverso il taglio della spesa pubblica improduttiva. Gli spazi per intervenire sono ampi e da queste colonne tante volte li abbiamo indicati con dovizia di particolari. Il capitolo liberalizzazioni, su cui domani il Governo sembra intenzionato ad intervenire, non può riguardare singole categorie, ma l’energia e i servizi pubblici locali in primis. Solo intaccando il potere delle vere  lobby si potranno aprire spazi di mercato per lo sviluppo. Tuttavia, la vera priorità del governo Monti dev’essere una seria agenda europea. È necessario che il premier dica al Paese che se l’Ue non trova una soluzione credibile non ci saranno lacrime e sangue che tengano. Altrimenti ci spieghi a cosa servirebbe la cosiddetta “ritrovata credibilità” dell’Italia a Bruxelles. È giunto il momento di battere i pugni sul tavolo con i nostri partner europei, di affermare che i primi della classe hanno clamorosamente fallito. Che occorre cambiare rotta. La prospettiva della nuova Unione fiscale è nello stallo più totale, i mercati lo hanno capito e i Paesi più esposti alla tempesta degli spread – noi per primi – hanno subito pagato dazio. Non possiamo continuare a sacrificarci per la cancelliera di Prussia.

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