Salviamo i nostri Marò

Salviamo i nostri Marò
I nostri due militari devono tornare a casa

Siamo contro ogni genere di Discarica nel nostro Territorio!

sabato 31 dicembre 2011

Nietzsche, superuomo dall’animo candido...




di Marcello Veneziani

Natale in solitudine e intorno al collo una «catena» di capelli intrecciata da sua madre, unico legame con la famiglia lontana. Così Natale «è riuscito ad essere un giorno di festa», scrive Friedrich Nietzsche ai suoi famigliari raccontando il suo Natale solitario a Nizza, nel 1885.

Nell’aprire il pacco dei famigliari, l’impazienza di scartare i doni e la sua vista precaria gli giocano un brutto scherzo: sgusciano via i soldi che gli ha mandato sua madre. «Perdonate il vostro animale cieco», scrive a sua sorella, e poi spera che i soldi li abbia raccolti «una povera vecchietta e che abbia così trovato per strada il suo “Gesù bambino”».
Voi pensate al Superuomo ma trovate nelle sue lettere la grandezza di un pensiero unita alla dolcezza di un animo delicato, che si preoccupa di comprare un anellino per donarlo alla piccola Adrienne, una bambina a lui molto affezionata a Sils-Maria.

È umano troppo umano, Nietzsche, nel suo Epistolario 1885-1889, uscito ora da Adelphi (pagg. 1358, euro 100). Tenero quando scrive a sua madre e chiede «cassettine di viveri», prosciutti salmonati, di cui vive per settimane intere, salami non secchi, fette biscottate e calze, vestiti, firmandosi «la tua vecchia creatura». Tenero quando con i suoi risparmi fa ricoprire con una gran lastra di marmo la tomba di suo padre, pastore; là, dice, verrà sepolta anche sua madre. Tenero quando sbaglia treno e anziché andare a Torino si ritrova a Genova e soffre non tanto per il tempo perduto, che anzi è l’occasione per ritrovare il fascino di Genova («Me ne sono andato in giro come un’ombra in compagnia solo di ricordi»), ma per il biglietto del treno che ha dovuto ricomprare.

Lui, modesto pensionato-baby dell’università di Basilea, con cronici problemi di salute che attribuisce al clima. La sua vita, e in parte il suo pensiero, sono meteoropatici e partoriscono una geofilosofia legata al sole e alla luce, amante del sud. Qui definisce il suo Zarathustra, il libro più meridionale e più orientale che esista. «La compatisco nel suo nord», scrive al danese Brandes, «a Pietroburgo sarei un nichilista, qui a Nizza, credo nel sole, come ci crede una pianta... Dio fa risplendere il sole più bello su di noi fannulloni, filosofi e grecs».

La filosofia s’intreccia ai luoghi e alla salute, che dipende dal clima. Una pianta per Nietzsche esprime il genius loci. In questa luce immagino l’emozione di Nietzsche quando riceve da Atene una foglia d’alloro e una di fico dal luogo in cui c’era l’accademia di Platone, come scrive in una lettera.
Di Nietzsche che passeggia nel novembre del 1885 sui Lungarni in Firenze, c’è la testimonianza precoce di un bambino. È Giovanni Papini. Ricorda in Passato remoto che era a passeggio con sua madre e «un uomo che portava lenti molto grosse e due baffi enormi: la faccia era larga e carnosa ma grave e un po’ triste» accarezzò i suoi riccioli biondi. Lo riconobbe poi da adulto in una fotografia.

Era Nietzsche e l’epistolario conferma che in quei giorni era proprio a Firenze. Ricordando quella carezza, Papini scrisse: «Il futuro scrittore della Storia di Cristo fu sfiorato un istante, in un chiaro tramonto d’autunno, dalla mano che scrisse l’Anticristo».

È struggente l’epistolario di questo homeless d’eccezione, pensatore ambulante, filosofo randagio nella sua piccola povertà, prima che sopraggiunga la notte della pazzia. La sua modesta contabilità per sopravvivere, le sue stanze piccole e fredde, la stufa che porta con sé, il suo amore del sole e la sua fotofobia. E la sua abissale solitudine: «la mia disgrazia è che non ho nessuno... Quasi tutti i miei rapporti umani sono nati da attacchi di solitudine... È assolutamente orribile essere soli fino a questo punto... una vita da cani». Ma la sua è anche solitudine d’autore, nell’assoluta incomprensione del suo tempo.«I miei libri passati senza quasi lasciar traccia».

Lo vedi solo, al freddo, che scrive disperatamente, stampa i libri a sue spese e vendono poche decine di copie. Poi si fa il suo tè con le fette biscottate, raziona i suoi cibi, goloso di cioccolata e gelati... Vorresti fargli sentire il fiato postumo dei suoi amici e lettori. Vorresti rispondere alle sue lettere e raccontargli la gloria di dopo e il riconoscimento della sua grandezza. È euforico Nietzsche quando sente che George Brandes in Danimarca fa conferenze su di lui con 300 ascoltatori. Lo ripete a tutti i destinatari delle sue lettere. E poi esprime gratitudine a Brandes per avergli ridato il gusto di esistere, anzi per avergli dimostrato che «sto vivendo». E gli procura una sua fotografia, che Brandes gli ha richiesto per farlo conoscere ai suoi estimatori remoti.

Nietzsche condivide la definizione del suo pensiero che ne dà Brandes: radicalismo aristocratico.

In una lettera a Koselitz, scrive: «Nobile è l’aspetto frivolo mantenuto per mascherare una stoica durezza e autocostrizione. Nobile è muoversi lentamente, sotto tutti i riguardi, anche la lentezza dello sguardo. Nobile è eludere i piccoli onori, e la sfiducia in chi loda con facilità. Nobile è il dubbio sulla possibilità di aprire il proprio cuore; la solitudine in quanto scelta e non data (...) che si vive quasi sempre travestiti, si viaggia per così dire in incognito, per risparmiare molti imbarazzi; che si è capaci di otium...». «Temo di essere troppo musicista per non essere romantico. Senza musica per me la vita sarebbe un errore».

Discutevamo animatamente una sera con Sossio Giametta, il suo principale traduttore, se Nietzsche fosse un filosofo, come io sostenevo, o un moralista, come sosteneva lui. Risponde l’interessato tramite una lettera a Brandes: «Se sono filosofo? Ma che importa!...».
Poi le sue auto-esaltazioni, un caso di fondata mitomania, il credersi destinato a lasciare un segno nel mondo, ripeterselo in solitudine, ma esserlo poi veramente.

Follia e lucidità si intrecciano nelle ultime lettere, fino agli estremi biglietti della follìa, prima di impazzire a Torino. Alle soglie del tragico inverno del 1889 scrive «Sono molto contento di avere l’inverno libero». Libero da impazzire.

venerdì 30 dicembre 2011

Le due mosse obbligate di Monti.



Mario Monti
Tutto è in pericolo. Il benessere raggiunto in decenni di sacrifici, un quadro di regole democratiche messo a durissima prova dalla fase eccezionale che stiamo attraversando, la coesione sociale sempre più in bilico sono le facce di una situazione che rischia di degenerare. L’azzardo è talmente grande che tutte le discussioni attorno alla maggiore o minore equità della manovra Monti appaiono inutili. Sarebbe fin troppo facile paragonare la protesta morbida scelta dai sindacati in questi giorni – Cgil in testa – alle folle oceaniche portate in piazza negli ultimi anni. Ma un ragionamento da una siffatta prospettiva ci porterebbe fuori strada. Il vero problema delle misure economiche dell’Esecutivo, infatti, non risiede nella loro equità, ma nella loro efficacia. Insomma, a cosa servono i sacrifici imposti agli italiani? A diminuire i tassi d’interesse sui nostri titoli di Stato? Per niente. I mercati hanno apprezzato la manovra come  insufficiente sul lato della riduzione del debito pubblico e della crescita, per non parlare della mancanza di misure incisive – al netto delle pensioni – per tagliare la spesa pubblica di uno Stato più simile ad un moloch sovietico che ad una democrazia liberale. Bisogna essere chiari: a causa della manovra di agosto del governo Berlusconi l’Italia ha perso mezzo punto di Pil; la nuova correzione dei conti pubblici garantisce un aggiustamento nell’immediato, ma nel 2012 ci farà perdere un altro 0,5%. Molte tasse e pochi tagli sono il difetto di entrambi i provvedimenti. Di questo passo sarà inevitabile un nuovo intervento per centrare il pareggio di bilancio nel 2013. La sola idea di continuare a bruciare risorse in questo pozzo di cui non si intravede il fondo è devastante. Il clamoroso calo dei consumi natalizi dimostra quanto le aspettative siano determinanti: pur non avendo ancora subito gli aumenti previsti della tassazione – benzina a  parte – gli italiani hanno subito reagito manifestando sfiducia. In questo quadro diventano decisive due mosse che il governo Monti dovrebbe fare se vuol minimamente giustificare il percorso e le ragioni che hanno condotto alla sua nascita: la crescita e una grande operazione verità sull’Europa. Anche qui, però, bisogna essere chiari. Innanzitutto nessuna economia sana cresce per decreto. E nessuna economia cresce se lo Stato divora la metà di quello che i cittadini producono. Dunque, per far ripartire l’economia va ridotto il carico fiscale su chi produce attraverso il taglio della spesa pubblica improduttiva. Gli spazi per intervenire sono ampi e da queste colonne tante volte li abbiamo indicati con dovizia di particolari. Il capitolo liberalizzazioni, su cui domani il Governo sembra intenzionato ad intervenire, non può riguardare singole categorie, ma l’energia e i servizi pubblici locali in primis. Solo intaccando il potere delle vere  lobby si potranno aprire spazi di mercato per lo sviluppo. Tuttavia, la vera priorità del governo Monti dev’essere una seria agenda europea. È necessario che il premier dica al Paese che se l’Ue non trova una soluzione credibile non ci saranno lacrime e sangue che tengano. Altrimenti ci spieghi a cosa servirebbe la cosiddetta “ritrovata credibilità” dell’Italia a Bruxelles. È giunto il momento di battere i pugni sul tavolo con i nostri partner europei, di affermare che i primi della classe hanno clamorosamente fallito. Che occorre cambiare rotta. La prospettiva della nuova Unione fiscale è nello stallo più totale, i mercati lo hanno capito e i Paesi più esposti alla tempesta degli spread – noi per primi – hanno subito pagato dazio. Non possiamo continuare a sacrificarci per la cancelliera di Prussia.

giovedì 29 dicembre 2011

Monti tranquillizza i tedeschi ma preoccupa gli italiani.



Giorgia Meloni
"Apprendiamo dallo stesso presidente Monti che sarebbe stato nominato alla guida del nostro Governo per tranquillizzare l’opinione pubblica tedesca. Sono contenta che ora i tedeschi siano più rilassati e sereni: il problema è che a essere preoccupati sono gli italiani." E' quanto dichiara Il deputato PDl Giorgia Meloni, prosegue "Condividiamo i titoli illustrati oggi dal premier, ma dopo un decreto “salva-Italia” che non ha risposto in modo soddisfacente al principio di equità sociale, chiediamo all’Esecutivo quelle scelte coraggiose in nome delle quali è stato chiamato a governare senza che vi fosse un pronunciamento degli italiani: riforma del mercato del lavoro, aggressione alle rendite di posizione a cominciare dai grandi gruppi, rafforzamento della spesa produttiva. E magari meno attenzione a quello che pensano Oltralpe."

mercoledì 28 dicembre 2011

28 Dicembre 1977 – In ricordo di Angelo Pistolesi.



ANGELO PISTOLESI
Mancavano pochi giorni al voto per le elezioni politiche del 1976, quando, la sera del 25 maggio, a Latina, pochi chilometri dalla Capitale, si tenne una cena elettorale nei locali del ristorante “Il Gallo d’oro” di alcuni militanti del Movimento Sociale Italiano. Ospite d’onore, il candidato, l’onorevole Sandro Saccucci, in corsa per la rielezione in una circoscrizione, la Roma-Viterbo-Frosinone-Latina,  a rischio da una micidiale concorrenza interna. Ex militante della Giovane Italia, paracadutista e deputato, carattere sanguigno e fame di leader carismatico.
Organizzare un tour elettorale con la chiusura, della campagna propagandistica, a Sezze Romano, un paese, non a caso, dove alle ultime elezioni, il Partito Comunista Italiano, aveva raggiunto, da solo, il 54 per cento dei voti. Il pomeriggio del 27 maggio 1976, una carovana di macchine, partì dalla Capitale in direzione Latina. A guidare l’Alfa dell’onorevole Sandro Saccucci, il suo braccio destro, Angelo Pistolesi, in un’altra Gabriele Pirone e Pietro Allatta, nelle altre macchine, Miro Renzaglia e Franco Anselmi. La prima tappa del giro, nella tranquilla cittadina di Maenza, il comizio si svolse senza nessun incidente. Arrivati alle cinque del pomeriggio, i militanti missini si disposero intorno al palco e iniziarono a distribuire materiale di propaganda. Un’ora e mezza dopo già erano diretti verso Rocca Gorga. Anche lì non successe niente di rilevante. Quando arrivarono a Sezze Romano era quasi buio.
Il palchetto del comizio era montato in un piazzetta secondaria, nella parte vecchia e alta del paese. Si accedeva dopo aver percorso una serie di vicoli in cui le automobili passavano a stento. Chiusa per tre lati dal perimetro esterno di vecchi palazzi, il quarto era una via che si imbottigliava. Una trappola per topi. Il clima era già rovente e in piazza la platea era esattamente divisa in due. Da una parte, i missini, che subito si impossessarono della piazza cantando “Giovinezza” e Roma divina” con saluti romani. Dall’altra, i militanti di Lotta Continua della Federazione Giovanile Comunista, cantando “Bandiera rossa” e “Internazionale”. Iniziato il comizio, l’aria si fece pesante, non appena l’onorevole Saccucci, pronunciò la frase che la colpa delle stragi era da attribuire alla sinistra extraparlamentare, sul palco arrivò di tutto. Un fitto lancio di bottiglie, sassi e bastoni. I missini fecero cordone e risposero, ma quando si trovarono spalle al muro, Sandro Saccucci impugnò la pistola, braccio quasi in verticale, fece fuoco.
Le esplosioni  crearono le distanze necessarie per raggiungere le macchine e guadagnare una possibilità di fuga. I militanti di Lotta Continua, conoscendo perfettamente il territorio, cercarono di bloccare l’uscita del paese. Le prime macchine passarono senza nemmeno accorgersi dell’agguato che era stato predisposto. Ma una delle ultime, una Simca verde, guidata da Pietro Allatta, si fermò. Tre colpi di pistola, calibro 7.65. Sul selciato caddero due giovani, Antonio Spirito, 21 anni, ferito a una gamba, e Luigi De Rosa, 19 anni, colpito gravemente all’addome. Morì nel giro di pochi minuti mentre veniva trasportato in ospedale. Intanto, i missini arrivarono nella locale Federazione di Latina e in ordine sparso, partirono subito per Roma. Ma appena fuori Latina, la Polizia bloccò alcune macchine. In Questura, interrogatori e guanti di paraffina. Renzaglia, Pirone e Pistolesi furono subito prosciolti dall’accusa.
Il 1° giugno, il segretario del Movimento Sociale Italiano, Giorgio Almirante, annunciò, Sandro Saccucci decaduto dall’iscrizione al partito. Il 5 giugno Montecitorio deliberò l’autorizzazione a procedere per l’arresto di Pietro Allatta e Sandro Saccucci. Il primo, si rifugiò a Catania, arrestato e condannato in primo grado a tredici anni di reclusione per omicidio. Il secondo, invece, si rifugiò a Londra, arrestato e accompagnato alla frontiera francese per l’estradizione. Ma inspiegabilmente, Sandro Saccucci, riuscì a fuggire trovando riparo in Argentina. Inseguito da un mandato di cattura internazionale, l’ex militante missino, fu condannato a dodici anni di reclusione per concorso morale in omicidio e tentato omicidio. Non metterà più piede sul suolo italiano.
Restava di fatto che l’uomo di fiducia dell’onorevole Saccucci, aveva partecipato e assistito in prima persona a tutti gli eventi cruciali. Angelo Pistolesi era al centro del mirino della sinistra extraparlamentare. Un anno e mezzo dopo, dopo tre giorni dal Santo Natale, il 28 dicembre del 1977, a Roma, in via Statella 7, a metà strada tra il quartiere Gianicolense e la Magliana, Angelo Pistolesi, 31 anni, come sempre, alle 8:15 del mattino, uscì di casa per andare al lavoro. Il suo maggiolone Volkswagen rosso aragosta era parcheggiato a pochi metri dal portone. Ad attenderlo un sicario a volto scoperto. Tre colpi di pistola in pieno petto e Angelo Pistolesi cadde esamine al suolo.
L’assassino, tolti i guanti e gettati nel cortile del condominio, fuggì su una vecchia Fiat 600, rubata a Monteverde il giorno prima, scomparendo nel nulla. Intanto, Angelo Pistolesi, fu caricato in auto da Franco Graziosi, fratello di un’agente di pubblica sicurezza, e trasportato d’urgenza all’ospedale San Camillo. Morì per emorragia. Uno dei tre colpi aveva perforato la colonna vertebrale e reciso l’aorta. Un lavoro preciso e pulito. Dopo poco una rivendicazione con la sigla “Nuovi Partigiani”. Sul luogo dell’agguato giunsero i primi militanti lasciando sulla strada fiori e inscenando una breve manifestazione. I funerali e la sepoltura si tennero in forma riservata per volontà dei familiari. Il segretario, Giorgio Almirante, diede disposizioni, alla Federazione e al Fronte della Gioventù di Roma, di evitare qualsiasi forma di partecipazione in segno di rispetto. Angelo Pistolesi, si era candidato nella lista missina al Campidoglio nell’elezioni del 1976, si era avvicinato al mondo della politica grazie ad alcuni amici in comune che frequentavano la sezione nel quartiere Portuense. Era diventato il fedelissimo dell’onorevole Saccucci e lavorava come impiegato presso una nota azienda di energia elettrica “Enel”, sposato e con figli.
Da un lato, l’opinione pubblica e testate giornalistiche, che diffamavano la giovane vittima e ipotizzando la matrice del delitto non a sinistra ma a destra. Dall’altro, la freddezza del Movimento Sociale Italiano che non aveva per niente dimenticato quello che era accaduto l’anno prima a Sezze Romano. Nonostante le indagini, da parte della Magistratura romana, l’omicidio Pistolesi non fu mai risolto. Niente tracce, niente indizi utili. Angelo Pistolesi fu punito per aver partecipato all’uccisione di De Rosa e cosa beffarda, quel comizio di chiusura, fu controproducente. Infatti, il Movimento Sociale Italiano Destra Nazionale, passò dal 9.2 per cento del 1972 al deludente 6.6 per cento del 1976, da ventisei a quindici deputati. A Sezze Romano, invece, il Partito Comunista passò dal 54 per cento al 64 per cento e il partito di Almirante perse oltre due punti in percentuale.


ANGELO PISTOLESI, PRESENTE!


martedì 27 dicembre 2011

Giorgio Bocca e i lati oscuri di un vizio italiano.


Giorgio Bocca
«Sarà chiara a tutti, anche se ormai i non convinti sono pochi, la necessità ineluttabile di questa guerra, intesa come una ribellione dell’Europa ariana al tentativo ebraico di porla in stato di schiavitù». Non è Joseph Goebbels, il motore della propaganda hitleriana, ad esprimersi in questi assurdi termini, a parlare di «Europa ariana» o di «tentativo ebraico» di porre gli ariani in schiavitù. A scrivere queste parole è Giorgio Bocca che, il 4 agosto 1942, firmò un articolo sul giornale “La Provincia Grande”, foglio settimanale della federazione fasci di combattimento di Cuneo, nel quale imputava il disastro della guerra alla “congiura ebraica”. Articolo nel quale il democratico giornalista cita un falso storico come i “Protocolli dei Savi anziani di Sion”, cavallo di battaglia del peggiore antisemitismo. Del resto, a diciotto anni, secondo alcune fonti, aveva già firmato il “Manifesto della razza” e aveva anche ricevuto un premio direttamente dalle mani di Mussolini.

Note biografiche, queste, che non esauriscono certo la figura di Giorgio Bocca, molto più articolata e complessa ma che sono state completamente omesse, o meglio sarebbe dire sbianchettate, dall’orgia celebrativa che sta accompagnando la scomparsa del giornalista.

Gli errori non furono solo di gioventù. Nel 1975, quando gli “anni di piombo” si avviavano verso la fase più acuta e violenta, Bocca scrisse che le Brigate Rosse erano un’invenzione, ad arte, dei servizi segreti. Anni dopo s’invaghì pure della Lega.

Nelle ore della santificazione, vale la pena ricordare al coro che sta rendendo le onoranze funebri che Giorgio Bocca, sicuramente giornalista dalla prosa efficace e mai banale, fu in linea con l’opportunismo italiano, non dissimile da quel costume che pretendeva di fustigare. Un protagonista, a suo modo, importante, non certo un bastione dell’impegno civile.

lunedì 26 dicembre 2011

E di tutto il sogno tu sei la sola cosa concreta che mi resta.




“…E di tutto il sogno tu sei la sola cosa concreta che mi resta” dice Corto Maltese a un merlo, al termine di una sua avventura onirica. “La vita è un sogno, o i sogni aiutano a vivere meglio?” chiedeva invece il leggendario Marzullo. E la domanda è meno stupida di quanto si pensi: la vita è un sogno? Lo credevano gli uomini di altre civiltà e di altri tempi, non ancora legati in maniera esasperata alla materia, che questo mondo con le sue intricate vicende fosse solo l’immenso sogno di un sognatore eterno. I sogni aiutano a vivere meglio? Probabilmente, tanto che a questi sogni alcuni uomini si sono dedicati così tanto da sacrificare tutta la propria vita per farli propri. È dunque questa vita terrena l’illusione da cui è necessario affrancarsi attraverso una disciplina durissima o forse ciò che è oltre l’immediato dei sensi non è altro che cibo per menti febbrili e portate ad estraniarsi dalla realtà, per sfuggire a una vita non abbastanza appagante (foss’anche la vita di un principe di razza guerriera, come quella di colui che diventò il Buddha)?

L’incipit di Ludi africani di Ernst Jünger è significativo, a riguardo: “Alla fine, soltanto l’immaginazione ci pare l’unica realtà e la vita di tutti i giorni un sogno, nel quale ci muoviamo svogliati, come un attore turbato dal suo ruolo. È allora il momento in cui il crescente disgusto fa appello alla ragione e le pone il compito di cercare una via d’uscita”; e la via d’uscita può trovarsi nella fuga giovanile di uno spirito irrequieto verso l’Africa, passando attraverso l’arruolamento nella Legione straniera per puro gusto di avventura e scoperta, come, per coloro che momentaneamente si rassegnano alla normale vita borghese, alla lettura di un libro come quello.

O forse il sogno lo si può cercare nella solitudine, e un periglioso viaggio lo si può affrontare su un piano diverso da quello materiale: così fece il creatore della teosofia orientale (una sintesi di Islam sciita, platonismo e mazdeismo) Sohrawardi, il quale descrisse accuratamente le sue peregrinazioni che, dal riportare coordinate precise dei luoghi che stava attraversando, cominciarono a confondersi come in una tempesta di sabbia e sconfinare nel regno metafisico che l’orientalista francese Henry Corbin chiamò mundus imaginalis: un mondo concreto, ma fatto di spirito, al quale si sarebbe potuti (o si potrebbe) accedere risvegliando le facoltà “immaginali” dell’essere umano; non l’immaginazione come fantasia, così come concepita dall’uomo moderno, ma una capacità di “immaginare” infinitamente più potente e concreta. Immaginare ciò che esiste realmente su un altro piano dell’Essere.

E così anche l’asceta buddhista Milarepa, che pur di realizzare la sua vera essenza spezzando i vincoli che lo tenevano legato a questo mondo si isolò in una grotta tra le montagne dell’Himalaya, in solitudine e astinenza da qualsiasi forma di piacere o turbamento. Davvero Milarepa fu solo un pazzo? Davvero distrusse la sua stessa vita quando avrebbe potuto darsi alla baldoria, o forse la baldoria è effimera e volgare e la vita vera l’ha invece conquistata?

Un caso moderno (e letterario) è infine quello di Darrell Standing, il protagonista del bellissimo romanzo Il vagabondo delle stelle” di Jack London: un uomo che, rinchiuso in un carcere, finito in un isolamento durissimo e sottoposto per innumerevoli volte alla tortura della camicia di forza che avrebbe condotto chiunque altro alla pazzia, trova una via per sfuggire a quella terribile condizione di prigionia, dolore e sudiciume. Assumendo il totale controllo del suo corpo fino a farlo temporaneamente morire riesce e a rivivere le sue vite passate, e quelle lunghissime ore nella camicia di forza saranno per lui secoli di incredibili avventure riportate alla luce, nell’oscurità, anche morale, di un carcere. Un po’ come la casa dorata di Samarcanda, la prigione in cui fu rinchiuso Rasputin, il compagno di avventure di Corto Maltese: il nome deriva dal fatto che “l’unica maniera di evadere da quella sono i sogni dorati provocati dall’hashish”.

Voglia di una vita (fisica o metafisica che sia) più intensa? malsana alienazione? fantasie per gente poco “pratica”? dovremmo pensare solo al nostro interesse “qui e ora”? Forse, azzardando una citazione, viene in nostro aiuto Mussolini: “E’ la fede che muove le montagne, perché dà l’illusione che le montagne si muovano: l’illusione, questa è forse l’unica realtà della vita”. Già, l’illusione è l’unica realtà della vita. Difficile catturare il senso di quest’espressione profonda ma sfuggente; tuttavia lascia intravedere qualcosa, come un oscuro senso di verità. Ma per entrare in una visione più tradizionalistica, riprendiamo una frase di Baader (citata da Jünger in Avvicinamenti): “Nessuno tra i grandi naturalisti ha negato che sia vero che ogni tratto spirituale abbia il suo simbolo quaggiù e che quindi l’intera natura stia davanti ai nostri occhi come un geroglifico”. Come dire che qualcosa sta dietro il tutto, e che squarciato il velo quel mistero si mostra nudo alla nostra vista; ma ai nostri occhi ancora troppo umani tutto è un simbolo, o un simbolo di un simbolo, ed è un dono raro saperlo mostrare come tale: è la storia degli spiriti più profondi, da Dante a Blake a Pound. Da parte nostra possiamo dire che tutto ciò che è “normale” è volgare, e in qualche modo, come il giovane Jünger, bisognerà trovare una via d’uscita. Che sia nel cavalcare la tigre della libertà e nell’asprezza sotto un torrido sole dei tropici o nel decifrare finalmente il linguaggio segreto dell’Essere.

Alberto Lodi

sabato 24 dicembre 2011

Quelli che hanno voluto la bicicletta.

di Marcello De Angelis.

Mario Monti
Il proverbio è in tema natalizio. Quanti bambini hanno voluto il mezzo di trasporto in regalo e solo dopo hanno scoperto quanto fosse faticoso farlo andare! Poi il papà gli ha tolto le rotelle ed è finita in lacrime. Certo, dopo parecchi mesi alcuni di quei bambini hanno conosciuto l’ebrezza della velocità e un senso di indipendenza. Altri sono finiti contro un muro, ma subito prima avevano avuto un brivido di libertà. Assodato che chi credeva che la crisi fosse colpa di Berlusconi era un cretino (o un bugiardo), adesso c’è Monti e bisogna vedere come passare la nottata. A un mese dal salvataggio non richiesto da parte di San Giorgio da Napoli, la situazione è chiara: le riforme non le vuole fare nessuno nemmeno col governo tecnico; alla fine la soluzione è più tasse per tutti; la filastrocca della Casta e dell’antipolitica era uno specchietto per accecare e non far vedere gli italiani oltre il proprio naso. C’è chi frena sulle liberalizzazioni e i giornali delle lobby gridano al trionfo delle lobby (straordinari paradossi italici). Sul cosiddetto “mercato del lavoro” (che espressione oscena) l’accordo non si troverà mai, perché il Pd non può perdere la Cgil e la Cgil non può perdere le sue rendite di posizione. Alla fine è tutta una storia di “rendite di posizione”: chi ce l’ha non vuole mollare e cerca di distrarre gli astanti indicandogli quelle che ha il suo vicino. In Italia ci sono categorie, gruppi, blocchi sociali, settori, componenti... Mancano solo due cose: uno Stato e un popolo.

venerdì 23 dicembre 2011

Schiavi dell’euro: la Bce lucra sul denaro che ci spetta.

di Giorgio Cattaneo

Domanda: ma l’euro di chi è? Nessuna norma del Trattato di Maastricht dice di chi dev’essere la proprietà dell’euro. E siccome dal silenzio su questo argomento fondamentale nasce l’incertezza di tutti i rapporti di debito e credito nella fase della circolazione monetaria, è chiaro che l’euro allo stato attuale non è affidabile. E’ vero che le banche centrali europee hanno emesso la moneta, prestandola. Però questa regola, che è una prassi bancaria – che noi abbiamo dimostrato illegittima, perché il titolare della moneta non può essere la banca ma la collettività nazionale – se è stata tollerata, per prassi, dalle banche centrali nazionali, non può essere tollerata,per prassi, nei confronti della Banca Centrale Europea.

La gente deve cominciare a capire che, con l’avvento dell’euro, noi ci andiamo a indebitare con la Bce, senza contropartita, per tutto l’euro che sarà messo in circolazione dalla Banca Centrale Europea. Se compro un’automobile, mi indebito e mi impegno a pagare a rate: ma almeno l’azienda mi dà come corrispettivo l’automobile. La Bce ci viene a indebitare per un valore pari a tutto l’euro messo in circolazione, ma senza contropartita. Sicché, l’Europa rischia di precipitare nella dimensione dei popoli del Terzo Mondo: che sono tali perché gravati da un debito non dovuto, che è pari a tutto il denaro in circolazione, e che quindi realizza una subordinazione di schiavitù nei confronti della “usurocrazia” che domina il sistema monetario e politico mondiale.

Di fronte a questo rischio, cosa possiamo fare? Proponiamo a chiunque – privati cittadini, aziende, enti pubblici – di affiggere ovunque un cartello con scritto: “L’euro di chi è?”. Maastricht non lo dice. Perché si tace? Di norma, quando ruba, il ladro lo fa di nascosto. E qual è il programma della Bce? Siccome tutte le banche centrali del mondo, dalla Banca d’Inghilterra in poi, hanno emesso la moneta “prestandola” – cioè arrogandosi non solo il diritto di stamparla, ma anche la proprietà della moneta, come proprio monopolio bancario – la stessa cosa fa la Banca Centrale Europea. La Bce non potrebbe mai dire che è l’euro è suo, dovrebbe dire che è dei popoli: ecco perché la Bce non può dire di chi è la proprietà della moneta. Perché chi dà valore alla moneta non è chi la stampa, ma chi l’accetta. Se mettiamo il governatore di una banca centrale a stampare moneta su un’isola deserta, non nasce il valore: perché manca la collettività.

Solo la gente, accettandola, crea convenzionalmente il valore della moneta. Questo significa che anche l’euro, all’atto dell’emissione, va dichiarato di proprietà dei popoli europei, e non della banca centrale. Il rischio è grosso, perché non ci sono vie di mezzo: se il Trattato di Maastricht non dice niente sulla proprietà dell’euro, noi non possiamo autorizzare il ladro a decidere chi dev’essere il proprietario. E’ come per i popoli del Terzo Mondo: prima che dalla fame, sono strozzati dal debito. La stessa cosa avverrà coi popoli europei: che si indebiteranno senza contropartita con la Bce per ogni euro messo in circolazione, così come i popoli del Terzo Mondo si sono indebitati con la Federal Reserve americana per i dollari messi in circolazione. Abolita la contropartita della riserva aurea nel 1971, la Fed cosa ha fatto? Carta e inchiostro, in cambio di denaro vero dal Terzo Mondo. Esattamente così, solo su carta e inchiostro, la Bce baserà l’emissione di euro nei confronti dei popoli europei.

Ecco perché, in qualità di cittadini europei, noi pretendiamo di sapere di chi è la proprietà dell’euro all’atto dell’emissione: perché se manca questo accertamento, la risposta fa crollare questo sistema programmato dai grandi usurai che dominano il regime monetario. I quali, con l’euro, hanno realizzato una truffa clamorosa nei confronti di tutti i popoli europei. Sono obbligati a dare una risposta: ci dicano di chi è l’euro. Se è della Bce, che lo stampa e lo presta, allora ci truffa: perché toglie ai popoli il valore monetario creato dalla collettività. Se non diciamo chi è il proprietario, non possiamo dire neppure chi è il debitore e chi il creditore. Non si può dire di chi è l’euro? Allora quella diventa una moneta che non può essere accettata.

Io, cittadino, ho il diritto di contestare e dire: io l’euro non lo accetto. Questo fa saltare per aria tutte le trame dei grandi usurai che ci hanno manipolato, per imporre all’Europa un debito non dovuto. Il loro piano? Fare dell’Europa un’organizzazione di popoli del Terzo Mondo. Il valore indotto della moneta, che si ha quando la si fa circolare, è il potere d’acquisto. Inizialmente, c’era la riserva aurea: la moneta è stata costituita come titolo rappresentativo di quella riserva. Sennonché, con gli accordi di Bretton Woods che nel ‘71 hanno abolito l’oro come riserva, dobbiamo cominciare a chiarire che, all’atto dell’emissione, la moneta va dichiarata di proprietà dei popoli e non delle banche centrali. Tanto più lo dobbiamo dire oggi, per colmare una lacuna normativa del Trattato di Maastricht, che parla di tutto tranne che di questo punto centrale: di chi è la proprietà dell’euro.

Perché tanto silenzio? Perché le banche centrali vogliono appropriarsi in modo parassitario dei valori creati dalle comunità. Prestano denaro non loro: e noi abbiamo scoperto la tecnica con cui questi truffatori barano al gioco della Storia. Allora pretendiamo che l’euro venga dichiarato di proprietà dei popoli europei. E, contestualmente, chiediamo che ad ogni popolo vengano accreditati – e non addebitati – gli euro emessi. Proprietari e non proprietari? Non è una differenza di poco conto: è la stessa differenza che c’è tra creditori e debitori. Cosa preferiamo essere, proprietari dei nostri soldi o debitori? Questa è la domanda alla quale Maastricht non risponde, perché è stato programmato dai grandi vertici delle banche centrali, che hanno organizzato la Bce sul modello della Banca d’Inghilterra che dal 1600 emette “prestando”, inaugurando cioè il grande parassitismo ai danni delle economie nazionali.

Ogni anno muoiono di fame 50 milioni di esseri umani: non per mancanza di alimenti, la cui eccedenza distruggiamo, ma per mancanza di denaro per comprare gli alimenti. Non solo la moneta dev’essere di proprietà dei popoli, ma ogni cittadino dovrebbe avere il suo reddito di cittadinza, per razionalizzare il diritto sociale. Cos’è la moneta? Una convenzione: accetto moneta contro merce, perché prevedo di poter ottenere altra merce contro moneta. Valore indotto: lo stesso che si ottiene facendo circolare monete alternative. E’ il caso del Simec, circolato in Abruzzo come esperimento, per poi eventualmente diventare una valuta mondiale in sostituzione del dollaro, emanato dal “grande usuraio” che è il governatore della Federal Reserve. La Fed usa lo stesso sistema della Banca d’Inghilterra: stampa e presta. Con una moneta come il Simec, io stampo e dò. Sta a noi decidere: solo noi possiamo scegliere di dare valore a un pezzo di carta.

La grande usura si è consolidata negli ultimi tre secoli, nella storia della moneta. Abbiamo bisogno di cambiare le regole del gioco. La riserva? E stata sempre una favola. E ha spinto le monarchie a indebitarsi coi banchieri, per denaro che i bancheri stampavano a costo tipografico. Il valore del denaro non è un vero valore creditizio basato sulla riserva, ma solo un valore indotto e basato sulla semplice convenzione. Il principio della proprietà popolare della moneta: è l’apertura della terza via. Se l’euro è dei cittadini, ad ogni cittadino spetta una parte dei soldi stampati dalla Banca Centrale Europea: la Bce dovrebbe funzionare solo come tipografia, operando gli adempimenti necessari a mettere a disposizione dei cittadini la loro moneta. Chi dà valore alla moneta siamo noi: e quindi abbiamo diritto di pretendere dalla Bce che l’euro sia dichiarato di proprietà dei popoli, altrimenti abbiamo il diritto di rifiutare l’euro all’atto dell’emissione perché, mancando la certezza del diritto, manca la validità della moneta.

Qui si tratta di trasformare i popoli: da debitori in proprietari. Oggi tutta l’umanità è angosciata dall’insolvenza: recenti statistiche rivelano un quantitativo impressionante di persone che si suicidano per i debiti, e questo fenomeno non ha precedenti nella Storia, perché nasce dall’avvento della “usurocrazia” che si è presentata sotto una parvenza di democrazia. A noi la democrazia sta bene: vuol dire sovranità popolare. Ma il popolo deve avere anche la sovranità monetaria, oltre a quella politica, cioè la proprietà popolare della moneta in un sistema di democrazia integrale. Tante sono le idee e tanti i partiti, ma quello che conta è l’onestà degli scopi: liberare l’umanità dall’angoscia dell’insolvenza. Oggi l’arrivo del postino è motivo di allarme, temiamo pagamenti: è la prova del fatto che viviamo in regime di “usurocrazia”, non di democrazia.

Si impongono scelte strategiche, cioè semplici: meglio avere in tasca il doppio o la metà? Oggi la banca centrale ci presta denaro, caricandone il costo del 200%. Denaro che in realtà è nostro, e ci viene espropriato: la banca centrale non dovrebbe prestarcelo, ce lo dovrebbe accreditare. E quando il costo del denaro prestato è del 200%, la puntualità nei pagamenti è impossibile. Ecco perché la maggior parte dei suicidi da usura non avviene per la piccola usura di bottega, ma per il fisco: la gente è costretta a vendere i propri beni per pagare le tasse. Tasse che, prima di tutto, ripagano gli azionisti della banca centrale. Dal 1910, con la fondazione della Banca d’Italia, abbiamo sopportato la prassi di una banca che emette prestando. Con la Bce bisogna cambiare le regole del gioco: nelle nostre case deve tornare la serenità. Altrimenti, rischiamo di portare le nuove generazioni di fronte alla scelta tra il suicidio e la disperazione.

(Giacinto Auriti, estratti delle dichiarazioni rilasciate a “Saus Tv” l’11 aprile del lontano 2001, alla vigilia della storica introduzione dell’euro. Economista e docente universitario, Auriti denunciò il ruolo delle banche centrali, che ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta dando origine in tal modo al debito pubblico).

giovedì 22 dicembre 2011

I vizi privati e le pubbliche virtù di una Germania del "Kaiser".



La cul@na Angela Merkel ha l'ardire di paragonare l'Italia alla Grecia. Insomma La Grassa cancelliera con la solita grande prodigalità di boria e sicumera che la contraddistingue addita vessa osteggia redarguisce il governo italiano, ma si guarda bene dal dire, ammettere, finanche,sussurrare che forse è proprio la sua grande Germania la vera anomalia d'Europa!
Roma non è perfetta anzi..tuttavia non ha mai mentito sui suoi conti pubblici come ha fatto Atene. E la più bella che umile cancelliera dovrebbe ricordare prima di usare toni da Führer e imporre diktat, che cos'era la sua Germania prima della caduta di quel muro che noi filantropi europei abbiamo contribuito ad abbattere. E finanche comunque rispettare un partner commerciale e un popolo che quanto a grandezza eccellenze e cultura non ha eguali nel mondo..figurarsi con il popolino della foresta nera. Dunque si sciacqui la bocca prima di sparlare dell'Italia..e stia anche attenta quanto ciancia dei debiti pubblici altrui. Dato che il governo di Berlino, per "truccare i suoi conti" si avvale nevvero da quasi 2 decenni di antiche furbizie.
Da 16 anni la "prima della classe" la morigerata e perfetta Germania "non" include nel suo debito pubblico le passività del Kreditanstalt für Wiederaufbau, meglio noto come KfW, posseduto all'80% dallo Stato e al 20% dai Länder, altri soggetti pubblici. Si tratta di ben 428 miliardi di euro interamente garantiti dalla Repubblica federale.
In sostanza la KfW fa mutui a enti locali e piccole e medie imprese. Detiene partecipazioni cruciali in colossi come Deutsche Post e Deutsche Telekom. È vigilata dai ministeri delle Finanze e dell'Industria, non dalla Bundesbank.
Grazie al legame di ferro con lo Stato, la KfW conquista la medaglia d'oro nella classifica mondiale dell'affidabilità, stilata da Global Finance, e il massimo rating da parte di Moody's, Standard & Poor's e Fitch, lo stesso della Repubblica federale. Le sue obbligazioni sono dunque uguali ai bund. Ma a differenza dei bund, magicamente non entrano nel conto del debito pubblico.
Se vi entrassero come la logica del Trattato di Maastricht vorrebbe, il debito pubblico tedesco salirebbe da 2.076 miliardi a 2.504 e la sua incidenza sul prodotto interno lordo 2011 balzerebbe dall'80,7% al 97,4%.
Insomma... La grassa Merkel e finanche la sua Germania dovrebbero essere messe sotto osservazione dal sinedrio Europeo..per aver detto reiterate bugie, e per aver contribuito con i suoi veti a determinare la drammatica situazione in cui oggi versa l'Europa! Altro che prima della classe... La Germania è una  pessima scolara ripetente e recidiva all'ennesima potenza!

mercoledì 21 dicembre 2011

Rinnovatevi col sole. Con ogni sole rinnovatevi.

di Gabriele Marconi


Solstizio d’inverno, Natale, Capodanno… Tutto in questo periodo dell’anno porta con sé il marchio del cambiamento. Anche il mese che arriva, gennaio, primo di dodici, alla mezzanotte del 31 dicembre riceve il testimone dal vecchio e rinasce come nuovo. Non a caso prende nome da Ianus, il dio romano Giano che presiede agli inizi, alle porte e ai passaggi. Quelli materiali come quelli immateriali. Anche l’inizio di una nuova impresa è votato a Giano. Anche un’impresa economica…
Racconta una leggenda che Giano ricevette da Saturno (grato per l’ospitalità ricevuta) il dono di vedere sia il passato che il futuro. E per questo la tradizione lo raffigura come Giano Bifronte.
Questo, per tutti noi, è un tempo di passaggio per molti motivi che vanno al di là della semplice osservazione del calendario. Uno su tutti: siamo passati dal governo della politica a quello delle banche. E non è un cambiamento da poco, visto che questa minaccia toglieva il sonno a molti già quasi un secolo fa (do you remember the «complotto demoplutogiudaico»?) e si è realizzata al di là delle più fantasiose previsioni dei complottisti più stralunati.
Nel 1997 Giano Accame (nomen omen) scrisse un libro dal titolo Il potere del denaro svuota le democrazie. Mai titolo fu più perfetto presagio di accadimenti incombenti… D’altra parte, già allora Giano scriveva che (con il governo “tecnico” presieduto da Carlo Azeglio Ciampi) le sinistre avevano «messo negli anni Novanta il Paese nelle mani dei banchieri che vediamo adesso che razza di imbecilli sono».
Oggi sembra essere tornati a quel punto, ma purtroppo non è così: è molto peggio, perché la brillante soluzione tecnocratica non colpisce solo l’Italia ma anche altre nazioni europee e l’attacco alla politica è infinitamente più massiccio e pervasivo. Negli anni Novanta era un fatto sostanzialmente italiano, oggi è globale a causa della crisi scatenata proprio da quegli stessi «imbecilli»…
Temevamo un futuro governato dagli squali della finanza e avevamo immaginato quel mondo cupo con romanzi e film. Ora che quel futuro ci ha raggiunti sentiamo il peso di un potere enorme e apparentemente invincibile. Ma in nome di Giano (quello divino e quello umano che abbiamo conosciuto e amato), dobbiamo guardare agli insegnamenti del passato per dare al futuro una prospettiva nuova.
Non c’è notte tanto lunga che possa impedire al sole di risorgere.
Dipende da noi e solo da noi.



"Il meraviglioso non suscita in noi nessuna sorpresa, perchè il meravglioso è ciò con cui abbiamo la più profonda confidenza. La felicità che la sua vista ci procura sta propriamente nel fatto di veder confermata 
la verità dei nostri sogni."
(E. Junger)


BUON SOLSTIZIO!

Solstizio d'Inverno - Aspettando il Nuovo Sole; Buon Solstizio a tutti!



Sol Invictus. Sole a mezzanotte. Pochi sanno che questi termini, che indicano anche il Natale, segnano il periodo che coincide con il transito del Sole nella costellazione del Capricorno ed il solstizio di inverno.
Dal punto di vista astronomico il Sole si trova adesso nel punto più basso del suo percorso sull'ellittica, e significa buio , freddo, una natura arida e desolata.
Per contrasto , ad una natura meno generosa, gli uomini da sempre in questi giorni si dedicano a feste, vacanze, eccessi di ogni tipo, regali, riti collettivi più o meno pagani, per inneggiare e brindare alla nuova fase, la resurrezione (del sole per l'appunto). Il debito che hanno tutte le religioni con i primi astrologi-astronomi
(erano infatti la stessa cosa) è molto grande; hanno fornito l'equazione Sole-Alto-Luce-Benessere=Dio; e Sole-basso, buio, freddo e carestia=Diavolo.
In passato la fase invernale corrispondeva ad un periodofame, carestia, mortalità per freddo, bassa natalità, inattività e malattie a diretta conseguenza delle condizioni climatiche e mettendo a dura prova le capacità di adattamento dell'uomo.
Il sapere universale riconosce alcune «tappe» fondamentali lungo l’arco dell’anno, 4, alle quali corrispondono altrettanti momenti rituali e conviviali, 2 solstizi e due equinozi. Uno di questi eventi, forse il più importante, è certamente la celebrazione del Solstizio d’inverno.

Derivata dai rituali della religione pagana, tutti celebriamo nel periodo intorno al 21 dicembre un rito dall’evidente simbolismo iniziatico, ma spesso solo essoterico, svuotato del suo contenuto vero. Chi con l'albero di natale o i presepe, Candele nere, bianche e rosse; rami d’abete; la pietra cubica; la luce che circola tra le colonne del tempio sono altrettanti rimandi, neanche tanto velati, alla pratica alchemica. Ma dell'originale significato profondo rimane ben poco.

I riferimenti sono ad antiche feste del nord Europa, come la festa di Yule o ai Saturnalia degli antichi romani, durante i quali ci si scambiava doni ( le strenne). Anche gli adepti di Mitra celebravano la rinascita del loro dio-sole il giorno del 25 dicembre (sempre in periodo solstiziale, quindi). Come simbolo mitopoietico, Gesù
è semplicemente il Sole-che-rinansce. Da qui la Resurrezione, il lento ritorno della luce dopo l’inesorabile avanzata del buio che ha avuto inizio col solstizio d’estate. Così, quella che alcuni possono interpretare come una esaltazione dell’oscurità e della morte, non è altro che una festa di luce e amore. Una festa, come sottolinea la presenza dei rametti d’abete, di immortalità, che celebra, sempre e dappertutto, la speranza che il sole torni ad illuminare la terra, gli uomini e i loro lavori.

Questo il significato profondo. Quello che interessa i più si chiama invece periodo di feste vacanze regali cene divertimento ed eccessi.


Il Solstizio d’Inverno è un giorno che appartiene alla spiritualità di tutte le religioni del mondo, seppure in forme diverse, come ad esempio dimostrano le costruzioni megalitiche di Stonehenge, in Gran Bretagna, di Newgrange, Knowth e Dowth, in Irlanda o attorno alle incisioni rupestri di Bohuslan, in Iran, e della Val Camonica, in Italia, già in epoca preistorica e protostorica. Lo stesso fenomeno fu invariabilmente atteso e magnificato dall’insieme delle popolazioni indoeuropee: i Gallo-Celti lo denominarono “Alban Arthuan” (”rinascita del dio Sole”); i Germani, “Yulè” (la “ruota dell’anno”); gli Scandinavi “Jul” (”ruota solare”); i Finnici “July” (”tempesta di neve”); i Lapponi “Juvla”; i Russi “Karatciun” (il “giorno più corto”). In Egitto si festeggiava la nascita del dio Horus e del padre, Osiride; nel Messico pre-colombiano nasceva il dio Quetzalcoath e l’azteco Huitzilopochtli; Bacab nello Yucatan; Buddha, in Oriente; Krishna, in India; Scing-Shin in Cina.

Dal punto divista astronomico il sole precisamente si trova allo Zenit del tropico del Capricorno e manifesta la sua durata minima di luce, circa 8 ore e 50/55 minuti. Quindi, raggiunto il punto più meridionale della sua orbita e facendo registrare il giorno più corto dell’anno, riprende, da questo momento, il suo cammino ascendente. Non deve stupire che nella romanità, “pagana” ai nostri occhi, in una data compresa tra il 21 e il 25 dicembre, si celebrava solennemente la rinascita del Sole, il Dies Natalis Solis Invicti, il giorno del Natale del Sole Invitto. La ripresa del cammino ascendente del sole assume quindi molteplici significati spirituali, primo tra i quali la rigenerazione cosmica in cui il Sole e la Luce sono associati all’idea d’immortalità dell’uomo e del percorso che esso deve svolgere operando la sua rinascita spirituale. Il Solstizio d’Inverno corrisponde, pertanto, alla presa di coscienza della vera spiritualità, in quanto fine della discesa e ripresa dell’ascesa. Durante questo processo la comprensione esoterica può essere rappresentata un’illuminazione riflessa che rischiara il buio della caverna. Quello che accade sia nella chiesa di Saint Sulpice a Parigi, che a Milano è visibile tutti i giorni.
Nella costruzione del Duomo è stato incorporato uno strumento astronomico, che non si limita a segnalare il solstizio ma fa molto di più.
Entrate nel Duomo dalla facciata Ovest. Tenete gli occhi fissi sul pavimento, percorsi 3-4 metri incontrerete una lunga striscia di ottone che attraversa l’edificio da sinistra a destra (da Nord a Sud). Seguite la linea camminando verso sinistra, incontrerete (a distanze precise) dei segni zodiacali. Raggiunta la parete Nord, noterete che la striscia di ottone prosegue per circa 2 metri sopra la parete, fino a raggiungere il segno del CAPRICORNO. Una raffigurazione molto grande rispetto a quelle che stanno sul pavimento.
Forse non lo avete mai notato, ma il segno del CAPRICORNO è quello che assomiglia di più al diavolo dei cristiani. Una delle divinità adorate nell’antichità era il BAFOMETTO una sorta di di divinità o demone cornuto. Ma qui vi è qualcosa di più in quanto il CAPRICORNO allude ad un essere anfibio, ha la coda di un PESCE. E il PESCE o i PESCI sono stati il simbolo di Cristo o del cristianesimo. Il termine Bafometto, sembra derivare dalle parole greche "Baphe" e "Metis". L'unione delle due parole dovrebbero significare "Battesimo di Saggezza". La rigenerazione cosmica, rappresentata simbolicamente dal Dio Sole è sempre concepita come un invito ad un lavoro interno per mezzo dell’aiuto di un maestro, di cui il Cristo Redentore è l’ultimo e più splendente esempio: una citazione splendida dice “Il Sole ritorna sempre, e con lui la vita. Soffia sulla brace ed il fuoco rinascerà“.

Il giorno in cui ciò accade è il più corto dell’anno e si ha quasi l’impressione che questo “sole” tramonti, sprofondi quasi per non riapparire più, ed ecco l"inferno"; ma subito dopo, quasi per incanto o per magia, esso si rialza nel cielo a risplendere di nuovo chiarore… è un nuovo anno, un nuovo ciclo che comincia.
Spesso nell’antichità all’idea del nuovo anno, del sole intramontabile si associava il simbolismo dell’albero sempre verde o albero della vita ed era in uso presso molti popoli nordici l’accensione di candele sopra l’albero proprio il giorno in cui cadeva il Solstizio. Ciò sottolineava appunto il carattere di rinascita di luce che aveva tale evento. L’odierno albero natalizio non è altro che una reminiscenza di tale significato.

Giunge il momento di prepararsi ad affrontare la metà dell’anno nel corso della quale la luce e il calore si ritirano dal mondo esterno e risplendono attraverso il pensiero e l’azione dell’uomo nobile. Quando si avvicina l’inverno l’uomo nobile si concentra su ciò che deve compiere, sugli enigmi che deve sciogliere, su ciò che può imparare, su ciò che deve migliorare dentro di sé e intorno a sé. Impara specialmente dai propri errori. In tal modo il calore della volontà accende l’organismo, e questo calore divenuto più intenso diventa luce interiore, la luce che illumina il mondo mentre fuori calano le tenebre ed il buio ed il freddo continuano a dominare.


BUON SOLSTIZIO A TUTTI VOI!



martedì 20 dicembre 2011

Corea del Nord: morto il ‘caro leader’ del bastione comunista.


Kim Jong
L’annuncio è stato dato ieri, in lacrime, in diretta tv da una conduttrice dell’emittente di Stato alle ore 12.00 locali (le 4 del mattino in Italia). Il dittatore comunista nordcoreano Kim Jong-il – il “caro leader”, come aveva imposto di farsi chiamare dalla popolazione dell’ultimo bastione comunista, è morto sabato 17 dicembre alle ore 8 e 30 del mattino a seguito di un attacco cardiaco che lo ha colpito mentre era impegnato in un viaggio in treno. Lo riferisce l’agenzia del regime, la Kcna. Kim Jong, che aveva 69 anni ( o 70 secondo i registri d’anagrafe sovietici) era stato colpito ad agosto 2008 da un ictus ma sembrava essersi ripreso, almeno stando alla rigida propaganda statale. La stessa Kcna rende ha reso noto che funerali solenni del ‘caro leader’ si terranno a Pyongyang il 28 dicembre prossimo, con il ‘delfino’ Kim Jong-un a capo del comitato per i funerali che non vedranno la partecipazione di alcuna rappresentanza diplomatica degli altri Stati. E proprio quest’ultimo, terzogenito di 27 (o 28 anni) del defunto dittatore è stato designato alla successione. L’agenzia Kcna, nel darne la notizia, ha invitato “tutti i membri del Partito dei lavoratori, i militari e la popolazione a seguire fedelmente l’autorità del compagno Kim Jong-un”.
La scomparsa del dittatore comunista, a capo di un’autistica nazione che vive sul baratro della povertà diffusa e dell’isolamento internazionale desta allarme e apre una serie di interrogativi su scala mondiale. Soprattutto per il ruolo di potenza nucleare che la Corea del Nord ricopre nello scacchiere asiatico. Ma non solo: l’economia stessa dell’intera area asiatica potrebbe seguire seriamente lo stress del cambio di regime.
Immediate le reazioni degli Stati confinanti: la Corea del Sud ha deciso lo stato di massima allerta delle forze armate a seguito dell’annuncio della tv nordocreana. Lo rende noto l’agenzia Yonhap, secondo cui la Blue House, la presidenza sudcoreana, ha convocato “d’urgenza” il Consiglio di sicurezza nazionale. Mentre il premier giapponese, Yoshihiko Noda, ha convocato una riunione d’emergenza dell’esecutivo. Secondo i media nipponici, la prima disposizione in agenda è quella di tenere contatti “serrati” con Usa, Cina e Corea del Sud sulla vicenda, oltre che ad avviare ogni preparativo “per fronteggiare” gli scenari possibili.
Il presidente americano Barack Obama è stato immediatamente informato ed il governo Usa, come ha reso noto la Casa Bianca, sta monitorando la situazione in stretto contatto con gli alleati della Corea del Sud e del Giappone. “Noi rimaniamo impegnati alla stabilità della penisola coreana e alla libertà e sicurezza dei nostri alleati”, ha dichiarato il portavoce Jay Carney in un comunicato.
I riflettori sono ora puntati sulla successione e sull’incertezza dello scenario geopolitico ed economico.
I mercati asiatici segnano pesanti perdite dopo la notizia della morte del dittatore, con passivi superiori al 3% in apertura in tutte le Borse asiatiche. La Borsa di Tokyo ha terminato gli scambi in calo dell’1,26%.
Secondo l’economista Erik Lueth, della royal Bank of Scotland, “non ci sono dubbi che si assisterà ad una volatilità dei mercati per una o due settimane”. Ma l’incertezza sul passaggio di consegne nell’ultima frontiera del comunismo reale tiene con il fiato sospeso.


L’annuncio della Tv di Stato coreana




Il successore Kim Jong -un: fonte “Euronews”

lunedì 19 dicembre 2011

A Sharm le spiagge saranno divise: uomini da una parte, donne dall’altra. E’ la primavera araba, bellezza!



Per fortuna che i salafiti ci hanno rassicurato: il turismo, in Egitto, potrà continuare a far mangiare centinaia di migliaia di famiglie, e Sharm sarà ancora la perla incontrastata del Mar Rosso. Con un però, grande come una casa: al mare si andrà separati per sesso: uomini da una parte, donne dall’altra. Eh sì, perché le regole islamiche vanno seguite per bene e fino in fondo, senza tante aperture.  “Vogliamo un turismo Hala, ossia rispettoso dei canoni religiosi”, ha dichiarato infatti Nader Bakkar, portavoce del movimento che al primo turno delle recenti elezioni legislative egiziane si è piazzato secondo dietro ai Fratelli musulmani.

D’altronde, la dichiarazione dei barbuti salafiti non dovrebbe stupirci: il loro obiettivo, la loro ragion d’essere, è quella di tornare all’Islam delle origini, di riscoprire la purezza del messaggio islamico. Per farla breve, loro puntano a tornare all’ ottavo secolo dopo Cristo, ai tempi del profeta Maometto. Un bel problema, non c’è che dire: sì, pensate, la rivoluzione dei giovani, quella fatta su twitter e su facebook, che anziché portare la democrazia e la libertà, porta alla divisione delle spiagge tra maschi e femmine. Un ritorno al passato oscurantista, una negazione di ogni forma di diritto civile.

Cacciato Mubarak, sempre troppo frettolosamente per i nostri gusti, i rivoltosi (o rivoluzionari) sono riusciti nell’impresa di rafforzare tutto quel grumo fanatico e retrogrado che il vecchio rais era riuscito ad emarginare dalla vita politica del Paese. Ecco il risultato, paradossale, della piazza convocata su internet. Dovrebbero sapere, i giovani in jeans Levi’s che affollavano piazza Tahrir lo scorso inverno, che al tempo di Maometto twitter non esisteva. Per cui, potrebbero presto doversi dimenticare anche di tutte le diavolerie che hanno usato per scardinare un regime collaudato.

I salafiti non sono al potere, e forse non ci andranno mai (anche se potrebbero coalizzarsi con i Fratelli Musulmani). Quel che è certo, però, è che un anno dopo lo scoppio della cosiddetta primavera araba tanto amata dai presunti intellettuali occidentali alla Bernard Henry Lévy, le aperture sognate e cercate sono rimaste un pallido ricordo. Quel che è accaduto, invece, è che l’integralismo ha preso sempre più piede. 
Un bel risultato, complimenti.

sabato 17 dicembre 2011

L’aziendalismo tecnico non ci salverà.

di Roberto Marchesi


Sull’iniquità della manovra economica redatta dai professori del nuovo governo affidato a Mario Monti (Supermario per gli americani) non c’è bisogno di fare commenti tanto è evidente.

E del resto, dopo i vari passaggi nei soliti teatrini della politica televisiva italiana, è apparso chiaro che nemmeno loro hanno provato a sostenerlo, preferendo trincerarsi dietro la scusa che non c’era tempo per far meglio. La realtà è che, oltre alla scarsità di tempo, c’è anche una evidente scarsità culturale a fare scelte di vera equità sociale, per il semplice fatto che quelle persone hanno studiato molto, e sanno fare bene, si, ma altre cose.

Non per niente li chiamano i “Bocconiani”, cioè gente formata all’Università Bocconi di Milano, che non è certo nota per formare bravi sociologi o politici, ma bensì per formare bravi tecnici nei campi della finanza e dell’economia.
Tradotto sul piano concreto questa è gente abituata a pensare, fin da quando erano ragazzi, e per tutto il tempo della loro carriera, in primis all’interesse del capitale e dell’impresa, anche quando questo va a discapito delle persone, di solito dei lavoratori subordinati.
Normalmente questo è visto, anche nelle società non dichiaratamente capitaliste, come un merito, non come un difetto, specialmente quando c’è da risanare qualche impresa a qualunque costo.

E il “qualunque costo” è proprio ciò che differenzia maggiormente questi “tecnici”, perché loro lo intendono sempre allo stesso modo: tagli a tutti i costi dell’impresa e libertà di licenziare senza riguardo per nessuno allo scopo di tentare di ripianare il bilancio.
Questa crisi è già costata milioni di posti di lavoro negli Usa e in Europa. E non è finita, proprio oggi Citibank, la terza banca per dimensioni negli Usa, ha annunciato il prossimo licenziamento di altri 25.000 lavoratori.

Francamente non è che occorra essere geniali per fare queste cose, basta avere la giusta dose di insensibilità verso le sofferenze inflitte agli altri e il compito diventa tutto sommato abbastanza facile. Ma comunque, è raro che ciò sia sufficiente a risanare una impresa in difficoltà. Potrebbe bastare, forse, (facendo guadagnare tempo all’impresa) quando le difficoltà derivano da una crisi esterna, altrimenti è indispensabile avere la mano leggera sui tagli e i licenziamenti ed attivarsi invece verso un rilancio produttivo ristrutturando gli impianti, diversificando le produzioni e allargando l’area delle vendite. Altrimenti il fallimento è solo rinviato di poco.

Ma una nazione è molto di più che una impresa. Nel caso delle nazioni l’equazione per perseguire il salvataggio è molto più complessa. Occorre avere una cultura superiore e diversa che normalmente un manager non ha in quanto ha una visione limitata all’area operativa dell’impresa (anche nei casi delle imprese più grosse). L’impresa infatti, tanto più se è in un contesto di elevata competizione, non può farsi carico dei risvolti sociali del suo operato, questo è un compito a carico di chi controlla il territorio, ovvero dei politici.
Quindi per fare una manovra veramente equilibrata sul piano sociale il tecnico non basta, è indispensabile che ci sia sempre la mediazione e l’esperienza di qualche illuminato statista per confezionare un piano che sappia coniugare, insieme al rigore e alle concrete possibilità di ripresa economica, un serio rispetto delle persone e del contesto sociale.

Non è un caso che alle nostre orecchie, di questi tempi, arrivino in continuazione sollecitazioni esclusivamente di carattere tecnico: “L’Europa prescrive...”, “I mercati ci impongono...”, ecc. Sono le sollecitazioni tipiche di chi vede il problema solo sotto il profilo “tecnico”, che è una visione sostanzialmente “aziendalista”, la quale in questo caso non è corretta nemmeno sul piano economico, poiché come abbiamo già visto in altre analisi di famosi economisti, anche sotto il profilo economico la ricetta dell’austerity in periodi di recessione è assolutamente sbagliata, e aggrava la situazione invece che risolverla. Tuttavia, anche se alcuni dei “tecnici” scelti da Napolitano (Monti per primo) hanno esperienze più ampie che la semplice esecuzione aziendalista del loro incarico, dai loro discorsi e dalle loro scelte traspira in pieno proprio questo tipo di cultura, dalla quale non si possono più separare ormai. Una cultura che è all’opposto della cultura umanista necessaria a far crescere armonicamente una società civile.

Sul piano dell’economia, in tempi di crisi, i sacrifici alle persone possono essere indispensabili, ma non allo scopo di privilegiare il dio denaro. La persona, la famiglia, il cittadino, devono sempre essere in testa agli interessi di chi governa. Rincorrere i mercati è follia totale. Sperare di soddisfarli è perfino colpevole ingenuità.

C’è un solo modo per vincere questa guerra coi mercati: regolarli seriamente.
Il governo italiano da solo non può farlo, ma almeno potrebbe cercare un’intesa coi partners, e in casa propria qualcosa potrebbe fare e invece non lo fa.