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sabato 18 febbraio 2012

Berlino affama la Grecia ma gli vende i sottomarini.



Se fossimo meno conformisti ed istituzionalmente paludati con gli stranieri almeno quanto siamo pronti al bordello televisivo quando parliamo di noi, la visita in Italia del presidente federale tedesco Christian Wulff poteva essere l’occasione per porgli un paio di domande. Non parliamo delle accuse di aver ricevuto favori e regali illeciti che gli muovono in patria, compresa una vacanza pagata a Castiglioncello. A Wulff, che ha approfittato dell'ospitalità al Quirinale per dire che Monti è ok “ma non deve fermarsi a metà strada” (immaginiamo Napolitano che dice le stesse cose a Berlino su Angela Merkel), ci piacerebbe chiedere altro.

Primo: se trova in linea con lo spirito e la lettera dell'Unione europea che il nuovo trattato di bilancio sia adottato senza informarne le opinioni pubbliche né chiedere una ratifica popolare o parlamentare. Nel '92 per il trattato di Maastricht occorsero quattro anni di confronti, e direttamente o attraverso i loro eletti i cittadini dissero la loro, con non poche bocciature. Adesso la Germania impone che misure destinate a cambiare ancora più la vita degli individui e delle società siano decise con maggioranze condominiali da una ristretta oligarchia riunita a Bruxelles o meglio ancora in conference call con Berlino.

Seconda domanda: se, nella sua qualità di garante della Costituzione tedesca del ‘49, che ha tra i pilastri la non ingerenza negli affari degli altri paesi – e in base a questa la Germania si è astenuta da tutte le operazioni militari non autorizzate dall'Onu – ritiene normale che la Merkel vada a fare campagna con Nicolas Sarkozy nelle elezioni per l'Eliseo. Mentre il segretario della Cdu, il suo partito, spiega che lo sfidante socialista Francois Holland “propone concetti vecchi e polverosi e fantasie di sinistra che renderebbero difficile un proseguimento della solidarietà europea”. Scusi Herr Wulff, lungi da noi la simpatia per la sinistra polverosa, ma di quale solidarietà stiamo parlando? Atene che brucia ci ricorda sinistramente un romanzo ed un film di successo, appunto “Parigi brucia?”. Era la domanda che Adolf Hitler ripeteva ossessivamente al governatore militare tedesco Dietrich von Choltitz mentre questi stava firmando la resa agli Alleati. Il Fuhrer voleva che la Wermacht non lasciasse dietro di sé altro che ponti e monumenti in fiamme: una Ordalìa punitiva per non essersi assoggettati al disegno egemonico nazista. Lo sappiamo, si tratta di paragoni che appaiono oggi spropositati e rischiosi.

Quando la cenere degli incendi e delle devastazioni dei black bloc (a proposito: complimenti ai tedeschi anche per averne fatto dei mezzi eroi) si sarà posata, e naturalmente Berlino e Bruxelles avranno stabilito che l'austerità della Grecia non basta ancora, ci accorgeremo che più che di un popolo si dovrebbe parlare di popoli: gli europei. Perché ciò che la Germania e gli altri governi tutti più o meno con la coda tra le gambe stanno imponendo alla culla della civiltà mondiale, l'Europa appunto, è una regressione dalla democrazia, dai diritti, dal benessere. In nome dei conti in ordine, si dice, e del fatto che la Grecia ha truccato i bilanci. Ma allora perché quando questo è saltato fuori non la si è allontanata dall'euro? Perché, a novembre 2011, quando l'ex premier George Papandreu ha proposto la cosa più ovvia in una democrazia, di sottoporre a referendum se accettare gli aiuti oppure tornare alla dracma, la Merkel e gli altri maggiorenti europei ne hanno preteso le dimissioni seduta stante e il rimpiazzo con un governo tecnico? Se la Grecia è brutta, sporca, cattiva e inaffidabile, nulla obbliga i tedeschi (e noi) a tenerla nel club. Nulla, tranne forse ciò che già si sa e che via via sta affiorando dalle inchieste del Wall Street Journal e dell'Herald Tribune. Gli interessi della banche tedesche e francesi? Certo, ma non solo.

Adesso salta fuori che l'estate scorsa la Merkel e Sarkozy imposero ad Atene una commessa per sottomarini prodotti dalla ThyssenKrupp, 223 carri Leopard dismessi dalla Bundeswehr, fregate ed elicotteri francesi, 60 caccia intercettori di tedeschi. Una spesa militare pari nel 2012 al tre per cento del Pil, oltre il triplo dell'Italia, che ha lasciato allibiti gli stessi vertici della Nato. E che ieri il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell'Aeronautica italiana, ha giudicato “uno scenario altamente verosimile in base a quanto ne sappiamo”. Del resto lo stesso Lucas Papademos, assai più docile di Papandreu, aveva provato a proporre alla troika europea di tagliare le spese militari e non quelle sanitarie: risultato, un “nein” imperioso; così il massimo rimborso cui i greci avranno diritto per medicinali sarà di 23 euro l'anno. Ma qui si torna anche alla finanza. Il meccanismo di default pilotato del debito greco prevede che la svalutazione dei bond non riguardi i governi, Germania in primis, e quanto alle banche che sia compensato da garanzie collaterali che Atene dovrà fornire, a cominciare dal versamento degli interessi in un fondo chiuso accessibile ai paesi forti dell'Europa.

Il risultato è che secondo i calcoli dell'Ocse a fine 2014 il Pil della Grecia regredirà al livello dell'Egitto, a fine 2015 della Nigeria. Abbiamo già raccontato come perfino una squalo mondiale della speculazione come George Soros sia rimasto scandalizzato dalla dottrina Merkel. Noi temiamo che dopo lo scandalo accadrà di peggio: un'ondata antitedesca e antifrancese, e in generale antieuropea, che non verrà solo da piazza Syntagma, ma da molte altre piazze. E che alimenterà un fasciocomunismo di ritorno, a cominciare dai quei paesi border line che sono stati sotto dittatura fino a pochi anni fa. E che la Germania aveva pur sempre contribuito a liberare dal giogo, abbattendo il muro di Berlino e poi esportando benessere: quando però i suoi governanti si chiamavano Kohl e Schroeder, non Merkel.

di Marlowe

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