A tutt’oggi, malgrado l’istituzione per legge di una giornata del ricordo per le vittime degli infoibamenti, poco si sa e poco si dice del massacro di migliaia di italiani sul confine orientale negli ultimi mesi della guerra e subito dopo. Per molti si tratta di una tragedia “regionale”. Si parla di “giuliano-dalmati”, come se non fossero italiani. Molti, ancora e impunemente, sostengono che le vittime siano state poche centinaia e che fossero tutti criminali fascisti, giustiziati dai croati per vendetta. Non a caso la giornata celebrativa non venne ascritta alla “memoria”, elemento oggettivo, ma solo al “ricordo”, più parziale e intimistico. La scelta del giorno – il 10 di febbraio – fu un errore, perché troppo vicina alla “giornata della Memoria per le vittime dell’Olocausto”. Questa vicinanza, oltre a provocare un inevitabile quanto assurdo paragone che fa dei numeri dello sterminio italiano poca cosa in confronto a quelli immani del genocidio degli ebrei europei, dà l’estro strumentale quanto ignobile ai nostalgici di Tito per indicare quello degli infoibati come un ricordo “di parte” o addirittura alternativo a quello del 27 gennaio. In quest’ottica, anche quest’anno, la sinistra violenta ha annunciato una mobilitazione per impedire il corteo silenzioso previsto per sabato 4 a Firenze. La Questura, che ha autorizzato il contro-corteo, ha parlato di contrapposizione tra “opposti estremismi”, mettendo sullo stesso piano chi celebra il ricordo di migliaia di inermi vittime dell’odio anti-italiano e chi inneggia a Tito e fa apologia del genocidio. Questa è l’Italia del dopo Berlusconi. Bentornati al “Paese normale”.
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