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sabato 25 febbraio 2012

Le Foibe e la pistola di Togliatti puntata contro la democrazia.



Ancora una volta il Giorno del Ricordo è servito a dimenticare la verità. A nasconderla. A farla a pezzi, così da poterne prendere soltanto la parte (piccola piccola) condivisa da (quasi) tutti. Compresi i variegati eredi del Pci. È vero, le foibe furono una pulizia etnica anti-italiana. Si omette di ricordare, però, che quella strage fu soprattutto una pulizia politica, finalizzata ad un preciso disegno: liberare dagli elementi ostili il cosiddetto “corridoio jugoslavo”, affinché potesse essere facilitata l’invasione dell’Italia del Nord da parte dei comunisti (la rottura stra Stalin e Tito avverrà solo nel 1948). Un progetto che vide l’adesione totale e convinta del Pci di Togliatti e Longo, che collaborò attivamente con gli assassini jugoslavi affinché le foibe avessero le proporzioni della tragedia che oggi – finalmente – tutti  conosciamo. Gli indirizzi degli italiani «da prelevare» erano spesso e volentieri forniti dai comunisti italiani; gli stessi che in quegli anni, come alcuni documenti del Viminale dimostrano, organizzavano i «campi di concentramento regionali per gli oppositori» del nuovo regime che avrebbe dovuto affogare l’Italia nella dittatura rossa. Tutto ciò non accadde soltanto perché il rispetto dell’Urss degli equilibri di Yalta impedì al Pci di fare ciò che – anche dopo le elezioni del 1948 – avrebbe voluto.

Un esito che i comunisti italiani prepararono ben prima della fine della guerra, come testimonia l’eccidio alle malghe di Porzûs, quando il 7 febbraio 1945 i partigiani del Pci fecero strage dei partigiani cattolici e liberali. Ad essere trucidati dai compagni in armi furono altri resistenti, alleati nella lotta di liberazione, ma contrari all’annessione alla Jugoslavia comunista. Un eccidio sul quale calò una pesantissima coltre di silenzio al fine di far trionfare una serie di falsi storici destinati a diventare veri e propri miti. A cominciare dall’unità antifascista e dall’interpretazione della Resistenza come secondo Risorgimento, tutte circostanze che uscivano letteralmente a pezzi da quell’eccidio e dalla vicenda delle foibe.

È una verità scomoda che i gendarmi della memoria devono censurare due volte: innanzitutto perché smentisce l’interpretazione minimalista della tragedia istriano-dalmata come “pulizia etnica”, puro e semplice odio anti-italiano da rintracciare in una «reazione al fascismo» che non spiega quasi nulla di ciò che accadde. Già nel 1943 – come ricorda il ricercatore di Lubiana Matej Leskovar – esistevano liste di persone da eliminare a Trieste (ben 20mila) elaborate insieme da comunisti italiani e sloveni, oltre che accordi sulla divisione dei territori di confine.

In secondo luogo, la verità di un’operazione politica e non semplicemente etnica va negata in quanto rischia di minare le basi di quel mito della resistenza che, in barba a tutti i revisionismi, continua a non dovere essere scalfito: cioè che il Pci combattè per la libertà e la democrazia. Al contrario, il partito di Togliatti fu una pistola costantemente puntata contro il nostro ordinamento democratico, al punto da organizzare un vero e proprio esercito in armi, un’organizzazione paramilitare totalmente anticostituzionale – la famosa Gladio rossa – la cui vicenda, nonostante gli importanti passi in avanti fatti dalla storiografia negli ultimi anni, è in parte ancora oggi avvolta da fitte nebbie.

È questo l’autentico peccato originale, il vero falso storico che ha avvelenato – e continua ad avvelenare – la memoria e la coscienza della nostra Patria.

Vincenzo Nardiello

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