La notizia del fermo dei due marò in India ha ormai conquistato ampi spazi sui giornali dopo giorni e giorni di colpevole silenzio sull’accaduto. Proviamo a fare un po’ di chiarezza partendo dall’antefatto: qualche mese fa il Governo italiano nella persona dell’allora ministro della difesa Ignazio La Russa ha sottoscritto un accordo con gli armatori italiani al fine di arginare il fenomeno dilagante degli atti di pirateria al largo delle coste indiane. L’accordo (attualmente in vigore) prevede che sui mercantili battenti bandiera italiana siano dislocati 60 fucilieri del Reggimento San Marco divisi in 10 nuclei da 6 in missione anti abbordaggi. La petroliera italiana Enrica Lexie ospitava uno di questi nuclei. Il fatto: il 15 febbraio scorso si è verificato un incidente in mare, a 33 miglia di distanza dalla costa indiana quindi in acque internazionali (la distanza in miglia marine è confermata dal satellite ndr). Secondo la ricostruzione operata dal militare Massimiliano Latorre, capo del nucleo di protezione imbarcato sulla Lexie, una imbarcazione indiana con a bordo cinque uomini armati si avvicinava alla petroliera italiana con intenzioni poco chiare e, nel rispetto delle regole, i marò hanno ritualmente proceduto con avvertimenti verbali e warning shot fin quando l’imbarcazione, giunta ormai a soli 100 metri dalla Lexie, invertiva la rotta allontanandosi. I colpi, precisa Latorre nella sua relazione di servizio, sono stati esplosi sempre e solo contro lo specchio d’acqua antistante l’imbarcazione indiana, senza mai colpire lo scafo. Tale ricostruzione non coincide con quella operata dalle autorità indiane secondo le quali i marò avrebbero sparato agli indiani presenti a bordo dell’imbarcazione e definiti semplici pescatori, uccidendone due. Ma le incongruenze non finiscono qua: non coincide l’orario dell’azione; non vi è accordo sulla effettiva posizione in mare della petroliera (quella data dai marò è confermata dal satellite) e non combacia la quantità di colpi esplosi (una ventina secondo i marò, sessanta secondo gli indiani). A mescolare ancora di più le carte c’è un altro dettaglio di non poco conto: secondo quanto riportato dal Corriere.it e da altri importanti quotidiani quella stessa sera si sarebbe verificato un altro attacco di pirateria in un tratto di mare poco distante. Per i marò la situazione è precipitata quando, nonostante il parere contrario espresso dalla Marina Militare italiana, la Lexie si è avvicinata alle coste indiane lasciando a terra Massimiliano Latorre e Salvatore Girone così come richiesto dalle autorità indiane. Non è dato sapere al momento con chi il comandante e l’armatore hanno condotto la trattativa che, allo stato dei fatti, si è conclusa con il fermo dei due militari italiani in forza di un episodio sul quale occorre ancora far luce ma che comunque si è verificato in acque internazionali e ad opera di militari in missione su una petroliera battente bandiera italiana. Il ministro dell’interno Paola Severino ha affermato che la giurisdizione è senz’altro italiana ma a questa conclusione potrebbe agevolmente giungere qualunque studente al terzo anno di giurisprudenza che abbia sostenuto l’esame di diritto internazionale. In quanto ad ovvietà non è da meno il ministro degli esteri Giulio Terzi che denuncia il rischio di pressioni mediatiche sull'autorità inquirente dovute alla campagna elettorale in corso in India ma auspica indagini serene e scrupolose. Dai ministri ci aspetteremmo interventi incisivi nei confronti delle autorità indiane e non semplici commenti tecnico-giuridici. Il governo Monti ha fatto della rinnovata credibilità dell'Italia in ambito internazionale il proprio vessillo e adesso è giunta l'ora di sventolare alta questa bandiera. Non vogliamo un'Italia che si preoccupi di essere credibile per le agenzie di rating ma una nazione in grado di difendere i propri militari impegnati ogni giorno nelle missioni di pace e in difficili operazioni come quelle antipirateria nell'Oceano Indiano. Ma forse alla Farnesina sono troppo impegnati a studiare le canzoni del console Mario Vattani per occuparsi dei nostri marò impunemente sequestrati (è questo il termine più adatto) in India.
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