Diremo soltanto che quello in questione è un testo fondamentale, imprescindibile, per chiunque voglia condurre oggi una (reale) battaglia contro il mondo moderno. Come pochi altri, infatti, Guénon riesce a elaborare con chiarezza e assoluta ortodossia, le linee guida per un’autentica “rivoluzione” di contro alla sovversione ed al cancro modernista. Di seguito l’introduzione di Julius Evola che accompagna lo scritto di Guénon.
“La crisi del mondo moderno” (Introduzione di J.Evola)
Nella pienezza del suo senso la parola «rivoluzione» comprende due idee: anzitutto quella di una rivolta contro un dato stato di fatto; poi l’idea di un ritorno, di una conversione - per cui nell’antico linguaggio astronomico la rivoluzione di un astro significava il suo ritorno al punto di partenza e il suo moto ordinato intorno ad un centro.
JULIUS EVOLA |
Ebbene, prendendo il termine «rivoluzione» in questo senso complessivo, può dirsi che nel mondo attuale pochi libri siano così risolutamente «rivoluzionari» quanto quelli di René Guénon. Infatti in nessun altro autore è così recisa e inattenuata come in lui, la rivolta contro la moderna civiltà materialistica, scientista, democratica, profana e individualistica. Ma, in pari tempo, in nessun altro autore dei nostri giorni è così precisa e consapevole l’esigenza di un ritorno integrale a quei principi, che per essere al disopra del tempo non sono né di ieri né di oggi ma presentano una perenne attualità e un perenne valore normativo, costituendo i presupposti immutabili per ogni grandezza umana e per ogni tipo superiore di civiltà.
Questo secondo punto differenzia nettamente il Guénon da tutti coloro che, da un certo tempo, si son dati ad accusare il «tramonto dell’Occidente», la «crisi della cultura moderna» e via dicendo - temi, questi, che dopo il crollo costituito dalla seconda guerra mondiale si ripresentano con rinnovata forza. Infatti in tutti costoro - si chiamino Spengler o Massis, Keyserling o Benda, Ropps o Ortega y Gasset o Huizinga - invano si cercherebbe un sistema di punti di riferimento che giustifichi e renda integrale la loro critica; le loro, non sono che reazioni confuse e parziali; malgrado tutto, essi appartengono spiritualmente al mondo stesso che criticano, al «mondo moderno», e le posizioni assolute a cui dovrebbero riferirsi o le ignorano, o le evitano temendo l’accusa di reazionarismo e di anacronismo. E non parliamo poi del livello su cui si trovano le cosiddette tendenze «contestatarie» contemporanee e i corifei di essi, partendo da Marcuse e da Horkheimer.
Di ciò non è il caso, in Guénon. È per avere una coscienza precisa di quel che è positivo e, in senso superiore, normale, che egli attacca le varie forme dello spirito moderno. E in lui non si tratta di «filosofia» e di posizioni più o meno personali, ma di vedute che si rifanno ad una tradizione nel senso più alto e universale del termine. È tutto un mondo che egli rievoca come misura, mondo di cui l’Occidente già da tempo ha dimenticato non solo la dignità, ma quasi la stessa possibilità di esistenza.
Così in Guénon vi è un’accusa e, in pari tempo, una testimonianza. E, quanto a stile, da lui esulano del tutto gli accorgimenti per apparire «brillante» e «interessante», per cattivarsi il pubblico corrente fatto di letterati e di «intellettuali». Il punto di vista che egli intende difendere non è quello della «novità» e della «originalità», ma quello della verità pura e inattenuata - e questa è la ragione non ultima per cui, malgrado il livello infinitamente diverso, Guénon, pur avendo ormai anche da noi un numero non irrilevante di lettori, non è conosciuto e letto quanto gli autori
sopra accennati. Quel che egli dice di valido - è bene ripeterlo - non è un prodotto del «pensiero»: corrisponde a quel che avrebbe potuto dire un uomo dei tempi chiamati da Vico «eroici», un rappresentante di una «conoscenza dall’alto»: rispetto alla quale non vi è da discutere, ma da riconoscere o da respingere, da dire sì o no.
L’opera svolta da Guénon in una serie di libri è vasta ed organica, e qui non è il caso di riassumerne nemmeno i motivi principali. Procedendo da un costante punto di vista, che è quello «metafisico» del «tradizionalismo integrale», essa riguarda i domini più vari: simboli, miti, tradizioni primordiali, interpretazione della storia, morfologia e critica delle civiltà, iniziazione, fenomeni religiosi e pseudoreligiosi, esoterismo, scienza tradizionale dell’essere umano, dottrina dell’autorità spirituale, e così via, tutto ciò rientra nell’opera che il Guénon ha svolto con una preparazione senza pari e con un metodo nuovo per esser recisamente antimoderno, per aver come costante oggetto la «terza dimensione» di una realtà che il lettore si accorgerà di non aver conosciuto in precedenza se non in superficie.
La presente opera è forse quella che ai più può servire d’introduzione allo studio degli altri libri del Guénon, tanto da condurre gradatamente chi è vocato a contatti diretti con lo stesso «spirito tradizionale». Una cura costante dell’Autore è stata quella di non trascurare nulla a che, nei riguardi delle sue principali idee, non nascano malintesi. Tuttavia è possibile che per la natura stessa delle sue visuali e per la necessità di usare parole purtroppo pregiudicate da un uso corrente diverso, in una lettura non attenta qualche punto del presente lavoro si presti ad equivoci, che qui è bene pre-venire. In secondo luogo, a parte i principi generali, vi sono formulazioni che rendono opportune alcune riserve, non essendo le uniche possibili partendo dagli stessi punti di riferimento, cioè da quelli della Tradizione.
Per il primo punto, non sarà inutile sottolineare che se Guénon dichiara che il suo punto di vista è «metafisico», al termine «metafisica» non va dato il corrente significato filosofico moderno. Il Guénon usa parimenti, ricorrentemente, i termini «intellettualità», «élite intellettuale», «intuizione intellettuale»: anche ciò non deve trarre in equivoco, come non deve trarre in equivoco il suo parlare di «principi» in un senso che spesso potrebbe far pensare al razionalismo. La scelta, non del tutto felice, di quei termini non deve sviare. Il riferimento va in realtà ad un ordine essenzialmente superrazionale. Il parlar di «intellettualità» può giustificarsi solo per alludere, con una analogia, una forma di partecipazione, di realizzazione e di contatto con contenuti superiori che abbia caratteri di lucidità, di chiarezza, di «conoscenza» in opposizione a tutto quanto è irrazionalismo, confuso misticismo, intuitivismo istintivo e vitalistico. Nel senso guénoniano, l’ordine «metafisico» trascende ogni facoltà semplicemente umana: ma è reale e ci si può integrare in esso quando si seguano quelle vie di trascendimento della condizione umana in genere che ogni grande tradizione ha sempre conosciuto e che nulla hanno a che fare con le speculazioni filosofiche e le divagazioni «spiritualistiche».
Con ciò si ha anche la chiave per comprendere il «tradizionalismo integrale» di Guénon. Ciò che Guénon chiama «intellettualità pura» è una facoltà cui è dato, fra l’altro, cogliere in una evidenza diretta l’unità fondamentale e trascendente degli insegnamenti, dei simboli e dei principi che nelle diverse tradizioni storiche e nei vari popoli hanno rivestito forme varie e talvolta, in apparenza, perfino contrastanti. Il tradizionalismo di Guénon è dunque diverso da ciò che comunemente s’intende per tradizione: sta ad esso negli stessi rapporti in cui l’universale sta al particolare, l’identico e l’essenziale alla varietà contingente dell’una o dell’altra espressione. Al punto di vista di Guénon è proprio il valorizzare una tradizione - anche se augusta - non per quel che essa ha di chiuso e di particolaristico, ma per quel che in essa riconduce ad un contenuto metafisico presente anche, in altre forme, in una maggiore o minore completezza, in ogni altra tradizione degna di tale nome. È un tradizionalismo «esoterico», e non empirico.
Un punto che in Guénon richiede sia delle chiarificazioni che delle riserve riguarda il problema dei rapporti fra contemplazione e azione. Anche il termine «contemplazione» può generare un equivoco; dato il suo senso corrente, a pochi può suggerire ciò di cui qui si tratta, ossia quella positiva via di recesso dalla realtà metafisica, cui si è or ora accennato. Si penserà invece a forme religiose, estraniate dal mondo - e l’opposizione dichiarata da Guénon fra contemplazione ed azione forse rinforzerà l’equivoco.
L’affermazione del primato della «conoscenza», della «contemplazione» e della «intellettualità» sull’azione è, in Guénon, esplicita. Può essa valere senza riserve? Secondo noi, nella sola misura in cui ciò che è inferiore e che va subordinato sia l’azione sconsacrata e materializzata, quella che è da dirsi più agitazione e febbre che non vera azione per il suo essere priva di ogni luce, di ogni vero senso, di ogni principio: insomma, più o meno, è l’azione quale l’ha concepita l’Occidente moderno.
Ma dal punto di vista dei principi la questione è più complessa e le vedute sostenute da Guénon - in questo come in altri libri - risentono più della sua «equazione personale» che non di deduzioni univoche dalla dottrina tradizionale integrale. Per chiarire questo punto - essenziale anche per il problema dei rapporti tra Oriente ed Occidente - bisogna ricordare che i due simboli della contemplazione e dell’azione sono stati sempre in relazione, rispettivamente, con l’elemento sacerdotale e con quello guerriero o regale. Ora, è dottrina tradizionale, ammessa dallo stesso Guénon, che in origine i due poteri, la sacerdotalità e la regalità guerriera, facevano una sola cosa. Solo successivamente si venne ad una loro separazione e perfino ad una opposizione. Ma se così è, sia all’uno che all’altro termine - sia a sacerdotalità che a semplice regalità, sia al “brahman” che al “kshatram”, quindi anche sia a «contemplazione» che ad «azione» - va riconosciuto un ugual carattere subordinato; entrambi si trovano ad egual distanza dal punto originario e, di conseguenza, in via di principio nessuno dei due può rivendicare una assoluta supremazia rispetto all’altro, e l’uno può esser suscettibile quanto l’altro a servire da base per un’opera eventuale di rintegrazione, di superamento dell’antitesi, di ricostruzione dell’unità originaria che è insieme conoscenza e azione, sacrità e virilità guerriera.
Ora, la forma mentis che era propria a Guénon quale individuo gli impedì di riconoscere in questi termini le con-seguenze di una dottrina che egli pur ammetteva. Donde la non-ineccepibilità della tesi da lui difesa dell’incondizionato primato della intellettualità e della contemplazione; donde il disconoscimento delle possibilità che anche il mondo dell’azione (inteso però in senso tradizionale, non in quello moderno) contiene per una possibile rintegrazione.
Questa limitazione incide, e in modo non irrilevante, su tutto ciò che Guénon dice circa i presupposti di una possibile ricostruzione dell’Occidente. La tradizione unica, pur essendo una nell’essenza, ammette forme varie di espressione e di realizzazione in corrispondenza alle disposizioni specifiche dei popoli per i quali deve valere. Ora Guénon rico-nosce che nei popoli d’Occidente predomina la tendenza all’azione. Se così è, non si vede come egli possa affermare che l’unica forma di tradizione che si rese possibile per l’Occidente sia stata di tipo religioso (fra l’altro, ciò può solo valere per un’epoca relativamente, recente e prescindendo dal carattere complesso, non semplicemente «religioso», ghibellino, del Medioevo occidentale - a tacere poi della romanità antica); in secondo luogo, appare problematico che, di nuovo, una tradizione di tipo religioso e, più in genere, una tradizione cui sia propria l’affermazione del primato della conoscenza sull’azione unilateralmente considerata sia l’unica base concepibile nell’eventualità di una ricostruzione dell’Occidente. È evidente che, in questa eventualità, una tradizione che, pur avendo carattere metafisico, si legasse ai simboli dell’azione sarebbe quella che, per esser congeniale alla qualificazione predominante in Occidente, più efficacemente e organicamente potrebbe agire.
Solo che si porrebbe il problema delle forme tradizionali non estinte che per un’opera del genere potrebbero esser utilizzate. Tale difficoltà sembrerebbe minore nell’altra alternativa, grazie al sussistere del cattolicesimo. Ma le con-dizionalità che lo stesso Guénon ha dovuto indicare affinché il cattolicesimo possa assolvere un tale compito e propiziare una ricostruzione «tradizionale» dell’Occidente bastano per convincersi del carattere utopistico di un tale assunto. Del resto, il Guénon ebbe a confessarci che l’avance al cattolicesimo egli si era sentito tenuto a farla, senza però illudersi circa le reazioni degli ambienti cattolici: che in effetti sono state del tutto negative, data la direzione tutt’altro che «tradizionale» in senso superiore che sempre più ha seguita la religione venuta a predominare in Occidente e oggi poi, nel clima dell’«aggiornamento modernistico», quanto mai.
Ciò conduce anche a precisare il concetto della élite che potrebbe far da centro ad una eventuale ricostruzione del-l’Occidente. Il termine usato da Guénon è “élite intellectuelle”. Pur facendo entrare in linea di conto i precedenti chiarimenti circa il senso speciale dato da Guénon all’intellettualità; pur considerando i suoi accenni a forme indirette, invisibili e imponderabili d’azione di cui può disporre una élite del genere (come ne è stato il caso per alcune società segrete), non si può evitare l’impressione di qualcosa di astratto o quasi di ristretto a studi e a teorie. E ove si accetti quel che si è detto circa l’opportunità di far valere, per l’Occidente, soprattutto una tradizione avente per punto di partenza i simboli dell’azione, crediamo che concetto assai più acconcio e meno equivoco sarebbe quello di un Ordine, sull’esempio degli Ordini esistiti sia nel Medioevo europeo, che in altre civiltà. Nell’Ordine può vivere una tradizione perfino iniziatica, però insieme ad una formazione caratteriale virile, esprimentesi in un preciso stile di vita e in un contatto più reale col mondo dell’azione e della storia.
È strano che nei riferimenti molteplici che Guénon fa a civiltà tradizionali, in questo come in altri libri, il Giappone sia del tutto trascurato. Ciò è di nuovo da spiegarsi con l’idiosincrasia personale di Guénon, che in tutto ciò che è tradizione è stato portato a dare la preminenza ad un ideale di tipo brahmanico e di pura conoscenza. Ora, fino a ieri il Giappone presentava un modello interessantissimo. Esso si era modernizzato all’esterno, a scopi di difesa e di offesa, conservando però all’interno una tradizione millenaria; questa tradizione, affine sotto certi aspetti a quella del Sacro Romano Impero, si incentrava però più nei simboli dell’azione, della casta guerriera e della regalità che non in quelli sacerdotali, e proprio il concetto di Ordine, come un’aristocrazia guerriera integrata da elementi sacrali e, in alcuni casi, perfino iniziatici (lo Zen, oltre allo Shintoismo), vi aveva una parte importante - nella casta dei Samurai, che di quella tradizione costituiva la spina dorsale.
Per ultimo, varrà accennare al significato che l’Oriente oggi può avere per l’Occidente. Come si vedrà, Guénon al-l’antitesi Oriente-Occidente sostituisce a ragione quella fra mondo tradizionale e mondo moderno. Le forme del mondo tradizionale in effetti non differirono molto in Oriente ed Occidente, restando però tutte in egual misura opposte a quelle proprie alla civilizzazione moderna. Guénon ritiene che per un insieme di circostanze dette forme si siano ancora conservate in Oriente, mentre in Occidente sono andate perdute; donde la sua idea, che un contatto con l’Oriente, ove lo spirito tradizionale si manterrebbe ancora vivo, possa servire all’Occidente non per snaturarsi, ma per ritrovare sé stesso, per cercare di ricostruirsi in una forma tradizionale.
Ora, qui sarebbe da domandarsi dove è che in Oriente la tradizione è ancora effettivamente viva: la Cina è andata perduta, l’India sta nazionalizzandosi ed europeizzandosi con un ritmo crescente, i paesi arabi sono in soqquadro. Per il retaggio tradizionale non si tratta ormai, crediamo, solo di epigoni o di gruppi i quali non controllano più la vita
storica delle corrispondenti civiltà e che saranno destinati a rendersi sempre più chiusi ai profani e staccati dallo sviluppo delle loro stesse nazioni: ciò, per quel che riguarda il problema di contatti e influenze reali, e non della semplice conoscenza teorica delle dottrine sapienziali antiche, per il che esiste ormai in Occidente una letteratura abbastanza vasta e a tutti accessibile, con traduzioni d’ogni genere.
D’altronde, proprio in base alle «leggi cicliche» ricordate da Guénon vi è da chiedersi se lo stesso Oriente non sia destinato a percorrere la stessa via crucis che dall’Occidente ancora tradizionale (diciamo dal nostro Medioevo) ha condotto alle forme della civiltà moderna - ed anzi a percorrerle forse con un ritmo assai più veloce (vedi l’esempio della Cina). Allora è anche da domandarsi se l’Occidente, proprio per trovarsi «più avanti» nell’arco discendente del ciclo che non civiltà, come quelle orientali, le quali solo ora cominciano ad entrare nella crisi vera e propria e che solo per questo conservano ancora maggiori resti dello spirito tradizionale e metafisico, si trovi si più prossimo alla fine ma anche, per ciò stesso, al nuovo principio. Non si tratta di indulgere a nessun ottimismo: ma qualora un gruppo di forze potesse portarsi di là dalla crisi del nostro mondo, proprio l’Occidente si troverebbe a tenere la posizione di testa quando l’Oriente sarà al punto corrispondente alla nostra presente crisi, che in quel punto avremmo lasciato indietro.
Il grande problema, che in tali termini appare dunque avere un significato universale, è perciò quello delle forze di cui si potrebbe disporre come base per una nuova coscienza tradizionale dell’Occidente, eventualmente con l’espres-sione concreta costituita da una élite in forma di Ordine, e con tutto ciò che è richiesto per quella revulsione e per quel «raddrizzamento» generale nel campo della visione del mondo, dei valori e dei metodi di conoscenza, rispetto a cui tutto quello che dice Guénon mantiene una validità ineccepibile né saprebbe trovar riscontro nelle idee di nessun altro scrittore del tempo nostro.
Queste nostre brevi precisazioni, procedenti da idee che altrove abbiamo già avuto occasione di esporre estesamente [Soprattutto nell’opera Rivolta contro il mondo moderno], vorrebbero contribuire a dare una maggiore efficienza alle tesi guénoniane e alla sua difesa dello spirito tradizionale in relazione ad ambienti che dinanzi all’uno o all’altro dei punti indicati potrebbero provare una certa perplessità.
Rispetto all’edizione originale francese, questa edizione italiana contiene alcune modificazioni. In ciò, non si voglia vedere un arbitrio del traduttore. Con Guénon siamo stati in cordiali rapporti epistolari fin quasi alla vigilia della sua morte. A quel tempo, gli proponemmo alcune modifiche al testo, spiegandogli le ragioni di carattere puramente pragmatico che le consigliavano. Noi non abbiamo apportato che quelle (del resto, di scarso rilievo), per le quali egli si era detto d’accordo
JULIUS EVOLA
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