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venerdì 15 giugno 2012

Il corto circuito delle "culture superiori".



di Massimo Fini.

Claude Lévi-Strauss, filosofo e antropologo francese, divide le società in "fredde" e "calde". Le prime sono tendenzialmente statiche e privilegiano l’equilibrio e l’armonia a scapito dell’efficienza economica e tecnologica. Le seconde, cui appartiene la nostra, sono dinamiche e scelgono l’efficienza e lo sviluppo economico a danno però dell’equilibrio, dato che "producono entropia, disordine, conflitti sociali e lotte politiche, tutte cose contro le quali i primitivi si premuniscono e forse in modo più cosciente e sistematico di quanto non supponiamo". Non esistono quindi "culture inferiori" e "culture superiori". Si tratta semplicemente di società diverse che partono da presupposti diversi, ognuna delle quali sviluppa soltanto alcune delle potenzialità, e non altre, presenti nella natura umana.

Comunque sia il guaio delle società dinamiche è che alla lunga finiscono fatalmente per essere strozzate dal loro stesso dinamismo e per fallire proprio in quell’economia su cui hanno puntato tutto, marginalizzando le altre esigenze umane. Queste società infatti non solo non possono fare marcia indietro, ma non possono nemmeno mantenere la velocità acquisita, devono sempre aumentarla. Quando questo non è più possibile il nastro si riavvolge all’indietro con rapidità supersonica consumando in pochissimo tempo ciò che era stato acquisito in secoli di trionfale avanzata. Questo è il rischio che corriamo noi, oggi.

Facciamo un esempio minimo che riguarda l’attuale situazione italiana ma il cui significato può essere esteso a tutto il modello di sviluppo occidentale, basato sulle crescite infinite. L’altra sera partecipando a un dibattito l’onorevole Roberto Rosso, del Pdl, sosteneva che i dipendenti pubblici sono troppi, un’enormità, tre milioni e mezzo, e che era necessario ridimensionarli drasticamente. "Va bene, ho replicato. Poniamo che sia possibile toglierne di mezzo un milione trasbordandoli su qualche "ammortizzatore sociale". Però questo milione perderà molta della sua capacità d’acquisto mettendo in difficoltà le imprese che saranno costrette a mettere in cassa integrazione parecchi impiegati e operai che perderanno, a loro volta, capacità d’acquisto e di consumo mettendo ulteriormente nei guai le imprese che dovranno liberarsi di altro personale o chiudere, in un avvitamento di cui non si vede la fine". È solo un esempio. Ma tutta l’attuale situazione è fatta di questi incrodamenti, a cominciare dalla inconciliabilità del binomio rigore-crescita, richiamato talmudicamente in ogni discorso, del governo, dei politici, degli economisti, dei sindacati, quando crescere non si può più.

E viene l’orrido sospetto che non avessero del tutto torto quei primitivi che si sono rifiutati di entrare nel meraviglioso mondo della "cultura superiore" e si sono quantomeno risparmiati lo stress quotidiano dello spread, del Ftsi Mib, della Borsa, dei mercati, della "spending rewiew", dei tassi di sconto, dei tassi di interesse, dei mutui, della Bce, della Fed, dell’Fmi, dell’Iban, del Cab, dell’Abi, del Bic, del Cin, del pin, dell’i-phone, dell’i-pad, del Tablet, del digitale terrestre, del cavo per l’hd e la frustrazione, su cui tutto l’ambaradan si regge, di vedere sfrecciare il vicino in Bmw mentre tu ti devi accontentare, fantozzianamente, di un’utilitaria.

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