di Alessandro Marzo Magno.
Il 2 giugno, giorno del referendum del 1946, si celebra una Repubblica che in realtà fu proclamata solo il 18, dopo molte polemiche e qualche incidente. E con una procedura per la conta dei voti spettacolare e macchinosa. Le schede arrivarono da (quasi) tutta Italia a Montecitorio nei sacchi più disparati: quelli della muzzezza da Napoli, quelli delle poste della Rsi dal Nord, quelli della farina dall’Emilia. E i conti si fecero a mano…
Le Frecce tricolori in formazione a cardioide. Quest’anno, per il terremoto, l’esibizione è stata annullata |
Quel 2 giugno 1946 non sarebbe finito che sedici giorni dopo, il 18 giugno, quando venne proclamata ufficialmente la Repubblica italiana. Ma già il giorno 11 è ormai sufficientemente certo che al referendum istituzionale ha vinto la repubblica. Risultato chiaro, sì, ma non così come potrebbe sembrare dalla logica dei numeri. Il Corriere della sera di martedì 11 titola sicuro: «È nata la Repubblica italiana» e sotto riporta i risultati: repubblica 12.718.019, monarchia 10.709.423. La Stampa, invece, è molto più possibilista, d'altra parte è il quotidiano di Torino, città sabauda. Il titolo lascia spazi all'ambiguità: «Il Governo sanziona la vittoria repubblicana». Quasi che il governo possa anche sbagliarsi e infatti nel testo dell'articolo ci si imbatte in questo passaggio: «C'è da chiedersi se la repubblica sia stata o no proclamata». Intanto il re, Umberto II, esita ad accettare i risultati e si intrattiene a colloquio con un sempre più perplesso (e infuriato) Alcide De Gasperi, presidente del consiglio.
Interessante apprendere come si sia giunti alla proclamazione del risultato. Il 2 giugno e la mattina del 3 si vota contemporaneamente per l'elezione dell'Assemblea costituente e per il referendum istituzionale; non vanno alle urne le province di Bolzano, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Zara perché occupate dalle truppe anglo-americane o jugoslave. I risultati giungono con estrema lentezza, d’altra parte poco più di un anno prima l'Italia era ancora un Paese in guerra, diviso e con il Nord occupato dai tedeschi. Alla Costituente il partito di maggioranza risulta la Democrazia cristiana (35 per cento), seguito dai socialisti (20 per cento) e dai comunisti (19 per cento). Per il referendum, invece, bisogna aspettare ancora. Qualche idea di quel che stesse accadendo, in ogni caso, filtra lo stesso. La Stampa di mercoledì 5 giugno, sotto il titolo «Affermazione della Democrazia cristiana», ne riporta un altro più piccolo: «La repubblica in vantaggio di 1.200.000 voti» (alla fine il margine sarà più ampio: un paio di milioni).
Interessante, invece, seguire come è stato effettuato il conteggio dei voti, con una procedura spettacolare e macchinosa, ben descritta nell'articolo pubblicato dalla Stampa dell'11 giugno.
Tutto accade a Montecitorio, nella Sala della Lupa. I valletti della Camera dei deputati indossano la tenuta delle grandi occasioni: frac, farfallino bianca, bracciali tricolori e tosoni di metallo dorato. Un tavolo a ferro di cavallo è riservato ai presidenti e ai consiglieri di sezione di Cassazione. Le poltrone che gli stanno di fronte, al governo e ai giornalisti. Sul tavolo sono collocate due macchine calcolatrici, quella di destra riservata alla monarchia, quella di sinistra alla repubblica. Nel pomeriggio, a poco a poco, la sala si anima: entrano i giornalisti, arriva uno stinto tricolore che si dice sia quello della Repubblica romana del 1849, si accomodano gli ufficiali della Commissione alleata che masticano chewing gum e commentano l’antichità degli arazzi medicei appesi alle pareti. Quando giunge Vittorio Emanuele Orlando, possibile presidente della Repubblica, viene soffocato un tentativo di applauso.
Alle 18 tutti in piedi: entra la Cassazione. Subito dopo vengono portati in sala i sacchi con i verbali e le schede provenienti da tutta Italia. Dalle sezioni del Nord arrivano sacchi delle poste della Repubblica sociale, dall’Emilia agricola sacchi che in precedenza avevano contenuto grano e farina, da Roma niente sacchi, ma plichi a mano, le schede di Napoli, invece, sono rinchiuse in sacchi per la monnezza.
Si procede leggendo i dati dei verbali e con i “calcolatori” (il termine è riferito agli addetti alle macchine calcolatrici, non alle macchine stesse) che aggiungono cifra dopo cifra fino a ottenere i totali (ma non si fidano dei loro marchingegni e rifanno i conti a mano). Alla fine la somma dà 12 milioni 600 mila e rotti per la repubblica e 10 milioni 600 mila e rotti per la monarchia. Il risultato dovrebbe essere chiaro, ma invece rimane sospeso in una specie di limbo: i liberali (pro monarchia; i primi due presidenti della Repubblica, Enrico De Nicola e Luigi Einaudi saranno entrambi liberali ed entrambi monarchici) hanno presentato un ricorso sulle schede bianche e nulle. Vanno considerate voti validi o no? La Corte costituzionale opterà per non considerarli validi, ma anche se avesse deciso il contrario, il risultato finale non sarebbe cambiato: i voti nulli saranno 1.498.136 e quindi non avrebbero potuto inficiare il margine di due milioni per la Repubblica (ammesso e non concesso che fossero tutte schede di monarchici).
L’incertezza, però, provoca tensione. La Cgil decide che ha vinto la Repubblica e proclama un giorno di festa. A Napoli, città che ha dato la maggioranza alla monarchia, gruppi di sostenitori di casa Savoia cercano di assaltare la sede del Pci che espone un tricolore senza lo scudo crociato sabaudo. Con prosa retorica, così La Stampa conclude l'articolo dell'11 giugno (che non è firmato, ma solo siglato “a.”): «Le grida degli strilloni [dei giornali] si confondono con i canti rivoluzionari dei cortei, con le canzoni dei gruppi monarchici. In quest'aria mossa e riscaldata non soltanto dal fiato della sera estiva crepitano i motori delle autoblinde in corsa dietro il lungo lamento delle loro allarmanti sirene».
La Repubblica sarà proclamata soltanto il 18 giugno alle ore 18, dalla Corte di Cassazione, nella medesima Sala della Lupa. E così il 2 giugno diventa così Festa della Repubblica.
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