Può
sembrare strano, a noi contemporanei, immaginare un soldato del XX secolo
andare all’assalto alla baionetta recitando il rosario e invocando la Vergine.
Più strano ancora se a farlo sono interi battaglioni di volontari, arruolatisi
in un’armata esplicitamente e programmaticamente cattolica. Invece una tale
armata ci fu, i cosiddetti Requetés «carlisti» che combatterono contro i rojos
(i «rossi»: comunisti e anarchici) nella guerra di Spagna del 1936-39. Il loro
essere nuovi crociati stava nello stile a cui si assoggettavano per giuramento:
soccorso dei nemici feriti e preghiere di accompagnamento per i nemici caduti,
rispetto massimo della popolazione civile, niente bordelli e ubriachezze, messe
e comunioni al campo, vita liturgica compatibilmente con le operazioni di
guerra.
Militavano
nel campo dei nacionales, evidentemente, ma con le debite distanze ideologiche
da Franco e, soprattutto, dai falangisti, che consideravano servi dei nazisti
tedeschi (non di rado tra questi e i requetés iniziava con sfottò e finiva in
risse, subito sedate dagli ufficiali). Li si riconosceva dal basco rosso,
visibilissimo in combattimento, per cui venivano chiamati tomates (pomodori) o
amapolas (papaveri). «Carlisti» perché i loro avi avevano combattuto,
nell’Ottocento, ben due guerre a favore del pretendente al trono Carlos,
fratello del re Ferdinando: il primo prometteva di restaurare l’antica
monarchia tradizionale spagnola, cattolica e rappresentativa dei fueros locali;
il secondo era sostenuto da liberali e massoni, nonché da italiani dello stesso
credo, come Cialdini e Durando, arruolatisi appositamente. Internazionale era
anche la composizione del volontariato carlista, che annoverava anch’esso
italiani accorsi per difendere la civiltà cristiana.
Questa
fu l’esplicita motivazione che convinse uno di loro, il romagnolo Alfredo
Roncuzzi, a partire per la Spagna. Tenente requeté ma anche uomo di lettere
(era scrittore e commediografo, amico di Raimondo Manzini e Piero Bargellini,
sulla cui rivista Frontespizio scriveva), è il solo che abbia affidato allo
scritto il resoconto di quei giorni di guerra vissuti in prima persona, dalla
partenza via nave al ritorno a conflitto finito. Oggi le Edizioni del Girasole
ne propongono le memorie: L’altra frontiera. Un requeté romagnolo nella Spagna
in guerra, a cura di Pier Giorgio Bartoli (pagg. 262, euro 20).
Ferito
più volte nel suo Tercio, racconta de visu quel che la storia ci ha tramandato:
la strage di preti e suore, il terrore comunista, le distruzioni di chiese, le
fucilazioni rituali delle statue di Cristo. Ma anche il clima tetro che vigeva
nel campo avverso, di contro alla serena allegria nelle trincee requetés; i
miliziani costretti ad avanzare con la pistola alla nuca e che, alla prima
occasione, disertavano, nostalgici dei canti religiosi che sentivano nella
trincea opposta. Ma quel che desta meraviglia, nelle pagine del Roncuzzi, è
l’esatta coscienza del motivo per cui lui e i suoi commilitoni si erano
arruolati: un regno spagnolo (nelle speranze, primizia per il resto d’Europa)
realmente rappresentativo, un parlamento coi «rappresentanti di ceti
qualificati e categorie produttive: esponenti del clero, delle forze armate,
delle corporazioni, delle municipalità, dei sindacati ecc., non di un popolo
indifferenziato, valevole solo numericamente». C’è anche una perfetta analisi
del processo di scristianizzazione, cominciato dal Rinascimento e passato per
la rivolta luterana, l’Illuminismo, il giacobinismo e finito, logicamente, con
i seminatori di odio puro per tutto ciò che esiste.
«Il
marxismo, del resto, è così: protesta, sciopera, scatena tutte le tempeste per
arrivare al potere e, giuntovi, non sa più che fare di quello Stato per la cui
distruzione si era mosso»; così, «impone il collettivismo, che nessuno vuole,
perché tutti intendono la solidarietà nella misura del proprio benessere non
soggetto quotidianamente a sorveglianza speciale, dà agio all’ateismo di
diventar religione di Stato».
E
poi, l’amara constatazione: «Come diceva Donoso Cortés, le rivoluzioni avanti
tutto sono malattie della gente ricca». Di fronte alle solite accuse alla
Chiesa: «La Chiesa nel suo umano svolgersi presenta una società in cui il
dispotismo può introdursi, in certe evenienze, di soppiatto e contro la sua
dottrina; l’antichiesa, invece, è una chiesuola in cui il dispotismo è di casa
e perpetuo».
di
Rino Cammilleri.
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