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giovedì 26 luglio 2012

Io dico: aboliamo le Regioni, non le Province. E vi spiego perché.



di Andrea Fluttero. (Secolo d’Italia)

Consapevole di sostenere posizioni che non godono di grande popolarità in questo periodo, ho però piacere di inviarvi alcune mie piccole considerazioni sul tema dell’eliminazione delle Province. Dal 1985 al 2011 sono stato consigliere comunale e assessore in un piccolo Comune, poi consigliere provinciale, e poi ancora sindaco e consigliere comunale in un Comune di medie dimensioni, vivendo quindi dall’interno il sistema degli enti locali. Semplificando possiamo dire che oggi ci troviamo di fronte a cinque livelli di governo: l’Europa, lo Stato nazionale, le Regioni, le Province e i Comuni. Tre di questi livelli legiferano, Europa, Stato e Regioni, due amministrano, Province e Comuni.
Partendo dal basso mi pare evidente che, escludendo le grandi città metropolitane, gli oltre 8mila Comuni italiani hanno bisogno di un livello sovracomunale nel quale gestire i servizi di area vasta e trovare economie di scala non raggiungibili a livello comunale. Tale livello è naturalmente e storicamente la Provincia, che potrebbe efficacemente diventare un organo di secondo livello, composto dai sindaci dei Comuni che vi apportano i servizi da far gestire. Con tale configurazione dovrebbero essere eliminate tutte le altre forme intermedie di gestione sovracomunale come Ato, Consorzi e Società varie. Le Province così definite non avrebbero la necessità di essere accorpate forzosamente e in modo innaturale, ma seguirebbero la naturale e storica propensione di un territorio di avere come riferimento la città più grande, che, spesso fin dal medioevo, ne rappresenta il capoluogo e ne definisce l’identità culturale e socio-economica.
Partendo dall’alto, invece, lo sviluppo e la concretizzazione del progetto europeo ha reso gli Stati nazionali sempre più “regioni d’Europa” che hanno, e dovrebbero sempre più avere, nella dimensione e nell’omogeneità culturale, linguistica ed economica gli elementi di forza per rappresentare in ambito europeo gli interessi dei propri cittadini. Dopo aver partecipato in fase ascendente alla definizione delle Direttive europee, il Parlamento nazionale si incarica di introdurne i principi nella legislazione. Due livelli che amministrano il territorio, Comune e Provincia, due livelli che legiferano, Europa e Stato nazionale.
A me pare, a questo punto, che il livello ridondante sia quello regionale, con 20 Regioni, per altro di dimensioni molto diverse tra loro, che legiferano su svariate materie, creando confusione normativa per chi vuole investire in Italia. Le Regioni sono storicamente poco definite, perché nate per scelta politico-amministrativa negli anni Settanta, e spesso disomogenee da un punto di vista sociale, culturale ed economico. Mi chiedo, per esempio, cosa leghi sotto questi aspetti Cuneo con Novara, Varese con Piacenza o Foggia con Taranto. Inoltre, la vicenda dei trasferimenti di competenze dallo Stato alle Regioni dimostra la scarsa utilità di questi enti. Infatti ogniqualvolta lo Stato ha trasferito competenze, come nel caso delle strade ex Anas o degli Uffici di collocamento, le Regioni hanno rapidamente trasferito queste competenze alle Province. Ancora più incomprensibile la gestione della sanità, che assorbe circa l’80% dei bilanci delle Regioni e che dovrebbe essere uno di quei servizi rispetto ai quali si deve garantire ai cittadini il massimo della omogeneità su tutto il territorio nazionale, anziché modelli qualitativamente diversi per ogni Regione.
Le Regioni che “giocano” a fare gli Stati, con presidenti che si credono “governatori” e aprono sedi di rappresentanza all’estero e a Roma, che legiferano in modo caotico e con frequenti conflitti di competenza con lo Stato, che sfondano regolarmente i budget di spesa sanitaria e che si indebitano con mutui per pagare la spesa corrente sono, come dimostra la recente cronaca e come dimostrano i preoccupanti dati di bilancio di molte di esse, non solo al Sud, il vero e grande problema da affrontare. In un’epoca caratterizzata da internet e video conferenze, da facilità di collegamenti aerei e ferroviari, il dialogo tra Europa e Stato, che legiferano, e Comuni e Province, che amministrano il territorio, può essere risolto settore per settore con meccanismi di confronto tra i ministeri dello Stato centrale e coordinamenti di Province che di volta in volta si formano in funzione della materia e non dei confini amministrativi. Capisco che dopo mesi di campagne mediatiche per l’eliminazione delle Provincie possa sembrare strano proporre di eliminare le Regioni, ma eliminando le Province a me parrebbe ancora più strano e discutibile il modello organizzativo nel quale ci verremmo a trovare, con tre che legiferano, Europa, Stato e Regione, e uno solo che amministra, il Comune. Sarà magari perché mi ricorda quelle vecchie barzellette nelle quali in tre dirigono e uno lavora...

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