di
Andrea Fluttero. (Secolo d’Italia)
Consapevole
di sostenere posizioni che non godono di grande popolarità in questo periodo,
ho però piacere di inviarvi alcune mie piccole considerazioni sul tema
dell’eliminazione delle Province. Dal 1985 al 2011 sono stato consigliere
comunale e assessore in un piccolo Comune, poi consigliere provinciale, e poi
ancora sindaco e consigliere comunale in un Comune di medie dimensioni, vivendo
quindi dall’interno il sistema degli enti locali. Semplificando possiamo dire
che oggi ci troviamo di fronte a cinque livelli di governo: l’Europa, lo Stato
nazionale, le Regioni, le Province e i Comuni. Tre di questi livelli
legiferano, Europa, Stato e Regioni, due amministrano, Province e Comuni.
Partendo
dal basso mi pare evidente che, escludendo le grandi città metropolitane, gli
oltre 8mila Comuni italiani hanno bisogno di un livello sovracomunale nel quale
gestire i servizi di area vasta e trovare economie di scala non raggiungibili a
livello comunale. Tale livello è naturalmente e storicamente la Provincia, che
potrebbe efficacemente diventare un organo di secondo livello, composto dai
sindaci dei Comuni che vi apportano i servizi da far gestire. Con tale
configurazione dovrebbero essere eliminate tutte le altre forme intermedie di
gestione sovracomunale come Ato, Consorzi e Società varie. Le Province così
definite non avrebbero la necessità di essere accorpate forzosamente e in modo
innaturale, ma seguirebbero la naturale e storica propensione di un territorio
di avere come riferimento la città più grande, che, spesso fin dal medioevo, ne
rappresenta il capoluogo e ne definisce l’identità culturale e socio-economica.
Partendo
dall’alto, invece, lo sviluppo e la concretizzazione del progetto europeo ha
reso gli Stati nazionali sempre più “regioni d’Europa” che hanno, e dovrebbero
sempre più avere, nella dimensione e nell’omogeneità culturale, linguistica ed
economica gli elementi di forza per rappresentare in ambito europeo gli
interessi dei propri cittadini. Dopo aver partecipato in fase ascendente alla
definizione delle Direttive europee, il Parlamento nazionale si incarica di
introdurne i principi nella legislazione. Due livelli che amministrano il
territorio, Comune e Provincia, due livelli che legiferano, Europa e Stato
nazionale.
A
me pare, a questo punto, che il livello ridondante sia quello regionale, con 20
Regioni, per altro di dimensioni molto diverse tra loro, che legiferano su
svariate materie, creando confusione normativa per chi vuole investire in
Italia. Le Regioni sono storicamente poco definite, perché nate per scelta
politico-amministrativa negli anni Settanta, e spesso disomogenee da un punto
di vista sociale, culturale ed economico. Mi chiedo, per esempio, cosa leghi
sotto questi aspetti Cuneo con Novara, Varese con Piacenza o Foggia con
Taranto. Inoltre, la vicenda dei trasferimenti di competenze dallo Stato alle
Regioni dimostra la scarsa utilità di questi enti. Infatti ogniqualvolta lo
Stato ha trasferito competenze, come nel caso delle strade ex Anas o degli
Uffici di collocamento, le Regioni hanno rapidamente trasferito queste
competenze alle Province. Ancora più incomprensibile la gestione della sanità,
che assorbe circa l’80% dei bilanci delle Regioni e che dovrebbe essere uno di
quei servizi rispetto ai quali si deve garantire ai cittadini il massimo della
omogeneità su tutto il territorio nazionale, anziché modelli qualitativamente
diversi per ogni Regione.
Le
Regioni che “giocano” a fare gli Stati, con presidenti che si credono
“governatori” e aprono sedi di rappresentanza all’estero e a Roma, che
legiferano in modo caotico e con frequenti conflitti di competenza con lo
Stato, che sfondano regolarmente i budget di spesa sanitaria e che si
indebitano con mutui per pagare la spesa corrente sono, come dimostra la
recente cronaca e come dimostrano i preoccupanti dati di bilancio di molte di
esse, non solo al Sud, il vero e grande problema da affrontare. In un’epoca
caratterizzata da internet e video conferenze, da facilità di collegamenti
aerei e ferroviari, il dialogo tra Europa e Stato, che legiferano, e Comuni e
Province, che amministrano il territorio, può essere risolto settore per
settore con meccanismi di confronto tra i ministeri dello Stato centrale e
coordinamenti di Province che di volta in volta si formano in funzione della
materia e non dei confini amministrativi. Capisco che dopo mesi di campagne
mediatiche per l’eliminazione delle Provincie possa sembrare strano proporre di
eliminare le Regioni, ma eliminando le Province a me parrebbe ancora più strano
e discutibile il modello organizzativo nel quale ci verremmo a trovare, con tre
che legiferano, Europa, Stato e Regione, e uno solo che amministra, il Comune.
Sarà magari perché mi ricorda quelle vecchie barzellette nelle quali in tre
dirigono e uno lavora...
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