Nacque
a Palermo, il 19 gennaio del 1940, da genitori farmacisti. Dopo aver
frequentato le scuole dell'obbligo, Paolo Borsellino, si iscrisse al Liceo
Classico "Giovanni Meli". Durante gli anni del liceo, diventò
Direttore del giornale studentesco "Agorà". Nel giugno del 1958 si
diplomò e nel settembre dello stesso anno si iscrisse all’Università presso la
Facoltà di Giurisprudenza a Palermo. Proveniente da una famiglia con simpatie
politiche di destra, nel 1959 si iscrisse al Fuan, organizzazione universitaria
del Movimento Sociale Italiano, di cui divenne membro dell’esecutivo
Provinciale e fu eletto rappresentante studentesco nella lista del Fuan
“Fanalino” di Palermo. Nel giugno del 1962, all'età di ventidue anni, Paolo
Borsellino, si laureò con centodieci e lode. Nel 1963 partecipò al concorso per
entrare in Magistratura. Classificatosi venticinquesimo sui centodieci posti
disponibili, con il voto di cinquantasette, divenne il più giovane magistrato
d'Italia. Iniziò quindi il tirocinio come uditore giudiziario e lo terminò nel
settembre del 1965 quando venne assegnato al Tribunale di Enna nella Sezione
Civile. Nel 1967 fu nominato Pretore a Mazara del Vallo. Nel 1969 fu Pretore a
Monreale, dove lavorò insieme ad Emanuele Basile, Capitano dei Carabinieri. Proprio
qui ebbe modo di conoscere per la prima volta la nascente mafia dei corleonesi.
Il 21 marzo del 1975 fu trasferito a Palermo ed il 14 luglio entrò nell'ufficio
istruzione Affari Penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Con Chinnici si
stabilì un rapporto di "adozione" non soltanto professionale. Nel
febbraio del 1980 Paolo Borsellino fece arrestare i primi sei mafiosi. Grazie
all'indagine condotta da Emanuele Basile e Paolo Borsellino sugli appalti
truccati a Palermo a favore degli esponenti di Cosa Nostra si scoprì il
fidanzamento tra Leoluca Bagarella e Vincenza Marchese sorella di Antonino
Marchese, altro importante Boss. Il 4 maggio del 1980 Emanuele Basile fu
assassinato e fu decisa l'assegnazione di una scorta alla famiglia di Paolo
Borsellino. In quell'anno si costituì il “Pool” antimafia nel quale sotto la
guida di Rocco Chinnici lavorarono alcuni Magistrati come Giovanni Falcone, lo
stesso Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello, Leonardo Guarnotta e Giovanni
Barrile ma anche funzionari della Polizia di Stato come Cassarà e Montana. Il
pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano
individualmente, separatamente senza che uno scambio di informazioni fra quelli
che si occupavano di materie contigue potesse consentire, nell'interazione, una
maggiore efficacia con un'azione penale coordinata capace di fronteggiare il
fenomeno mafioso nella sua globalità. Tutti i componenti del pool chiedevano
espressamente l'intervento dello Stato, che non arrivò. Qualcosa faticosamente giunse
nel 1982 quando il Ministro dell'Interno, Virginio Rognoni, inviò a Palermo il
Generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, che proprio in Sicilia e
contro la mafia aveva iniziato la sua carriera di ufficiale, nominandolo
Prefetto. E quando anche questi trovò la morte, cento giorni dopo, nella strage
di via Carini, il Parlamento italiano riuscì a varare la cosiddetta "Legge
Rognoni - La Torre" con la quale si istituiva il reato di associazione
mafiosa, l'articolo 416 bis del codice penale, che il pool avrebbe sfruttato
per ampliare le investigazioni sul fronte bancario, all'inseguimento dei
capitali riciclati. Il 29 luglio del 1983 fu ucciso Rocco Chinnici, con
l'esplosione di un'autobomba, e pochi giorni dopo giunse a Palermo Antonino
Caponnetto. Il pool chiese una mobilitazione generale contro la mafia. Nel 1984
fu arrestato Vito Ciancimino, mentre Tommaso Buscetta catturato a San Paolo del
Brasile ed estradato in Italia, iniziò a collaborare con la giustizia. Tommaso
Buscetta descrisse in modo dettagliato la struttura della mafia, di cui fino ad
allora si sapeva ben poco. Nel 1985 furono uccisi da Cosa Nostra, a pochi
giorni l'uno dall'altro, il commissario Giuseppe Montana ed il Vice - Questore
Ninni Cassarà. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino furono per sicurezza
trasferiti nella foresteria del carcere dell'Asinara, nella quale iniziarono a
scrivere l'istruttoria per il cosiddetto "maxiprocesso", che mandò
alla sbarra quattrocentosettantacinque imputati. Paolo Borsellino chiese ed
ottenne nel dicembre del 1986 di essere nominato Procuratore della Repubblica
di Marsala. La nomina superava il limite ordinariamente vigente del possesso di
alcuni requisiti principalmente relativi all'anzianità di servizio. Nel 1987,
mentre il maxiprocesso si avviava alla sua conclusione con l'accoglimento delle
tesi investigative del Pool e l'irrogazione di diciannove ergastoli e
duemilaseicentosessantacinque anni di pena, Antonino Caponnetto lasciò il Pool
per motivi di salute e tutti si attendevano che al suo posto fosse nominato
Giovanni Falcone, ma il Consiglio Superiore della Magistratura non la vide alla
stessa maniera e il 19 gennaio del 1988 nominò Antonino Meli; sorse il timore
che il Pool stesse per essere sciolto. Paolo Borsellino chiese il trasferimento
alla Procura di Palermo e l'11 dicembre del 1991 vi ritornò come Procuratore
Aggiunto, insieme al sostituto Antonio Ingroia. Il pomeriggio del 19 maggio
1992, nel corso scrutinio delle elezioni presidenziali, i quarantasette
Parlamentari del Movimento Sociale Italiano votarono per Paolo Borsellino come
Presidente della Repubblica. Il 23 maggio del 1992 nell'attentato di Capaci
persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti
della scorta, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo. Il 19 luglio,
cinquantasette giorni dopo Capaci, Paolo Borsellino fu ucciso insieme agli
agenti della scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter
Eddie Cosina e Claudio Traina. Dopo aver pranzato a Villa Grazia con la moglie Agnese
e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in
via D'Amelio, dove viveva sua madre. Una Fiat centoventisei parcheggiata nei
pressi dell'abitazione della madre con circa cento chili di tritolo a bordo,
esplose al passaggio del Giudice. L'unico sopravvissuto fu Antonino Vullo,
ferito mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta. Una settimana dopo la
strage, la giovanissima testimone di giustizia, Rita Atria, per la fiducia che
riponeva nel Giudice Paolo Borsellino, decisa a collaborare con gli inquirenti
pur al prezzo di recidere i rapporti con la madre, si uccise.
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