L’Italia
- si dice - è sull’orlo della bancarotta economica e il Pd in che modo si
candida a governarla? Azzuffandosi sulle «nozze gay». Se questa torrida estate
non fosse tragica, sarebbe comica. Perché perfino l’incolpevole Platone viene
trascinato a sproposito nell’infuocata querelle che in queste ore ha visto
polemizzare la Bindi, Bersani, la Concia e Casini. È capitato sulle pagine di
D, il magazine di Repubblica. Nella sua consueta rubrica, Umberto Galimberti critica il fatto che scienza,
psicoanalisi, religione e diritto - a suo avviso - discriminano l’omosessualità
considerandola «esclusivamente sul piano sessuale» (a differenza
dell’eterosessualità). A questo punto
Galimberti sostiene che Platone combatté proprio questo «pregiudizio negativo
nei confronti degli omosessuali» e per dimostrarlo si lancia in un’azzardata
escursione nel «Simposio». Da cui cita un passo dove - a suo avviso - «Platone
lega opportunamente la condanna dell’omosessualità a un problema di democrazia,
a cui forse noi, a causa del perdurare dei pregiudizi, non siamo ancora
giunti».
Ora,
fare di Platone un teorico e paladino della «democrazia» (oltretutto una
democrazia moderna e libertaria) è - a dir poco - surreale. Per sorriderne non
occorre neanche aver letto Karl Popper (o il libro di Franco Ferrari, «Platone.
Contro la democrazia», Rizzoli).
PAUSANIA,
CHI ERA COSTUI?
Ma
ancora più sconcertante è vedere attribuito a Platone un pensiero che nel
«Simposio» è espresso da Pausania. Si deve infatti sapere che in questo dialogo
vari personaggi intervengono esprimendo il loro diverso punto di vista su Eros.
La voce con cui si identifica Platone ovviamente non è affatto quella di
Pausania o quelle di Aristofane e di Agatone, ma - come di consueto - quella di
Socrate che interviene dopo tutti gli altri e che demolisce tutti i discorsi che
lo hanno preceduto. In sostanza Socrate guida gli ascoltatori a scoprire che
l’amore non è ciò che loro credevano, ma piuttosto l’attrazione che l’anima
umana ha per la perfezione e per l’Assoluto (qui si capisce perché il
cristianesimo dialogò subito, non con le religioni, ma con la filosofia greca,
che vedeva pervasa dell’attesa del Logos divino).
Se
poi consideriamo l’intervento di Pausania - quello che Galimberti erroneamente
presenta come pensiero platonico - è assai dubbio che si occupi di omosessualità,
ma di certo si può dire che è il discorso più misogino che lì risuoni perché
attribuisce l’amore per le donne all’Eros dell’«Afrodite volgare» (e lo
depreca), mentre l’ Eros dell’«Afrodite celeste» è esclusiva dei maschi. È
davvero esilarante che su un magazine femminile quale è D venga citato come esemplare, edificante e
«democratico» un discorso di quel tenore dove Pausania esalta il genere
maschile perché «per natura più forte e più dotato di cervello».
ALTRO
CHE PERBENISTA
Se
poi volessimo sapere cosa veramente Platone pensava e cosa ha scritto sulla
pratica omosessuale, scopriremmo pagine che oggi, sulle colonne del giornale di
Scalfari e Galimberti, verrebbero subito condannate come terribilmente
«omofobe».
Infatti
nelle «Leggi», Platone critica quanti hanno «corrotto la norma antica e secondo
natura relativa ai piaceri sessuali non solo degli esseri umani, ma anche degli
animali». E spiega: «Bisogna considerare che, a quanto pare, il piacere
sessuale fu assegnato secondo natura tanto alle femmine quanto ai maschi
affinché si accoppiassero al fine di procreare, mentre la relazione erotica dei
maschi con i maschi e delle femmine con le femmine è contro natura e tale atto
temerario nasce dall’incapacità di dominare il piacere».
Come
si vede qui Platone è perfino più «rigorista» della Chiesa per quanto riguarda
l’unione dell’uomo e della donna al cui congiungimento fisico la teologia
cattolica riconosce anche il fondamentale valore unitivo, cioè dell’amore fra i
coniugi. In altri passi delle «Leggi», Platone condanna di nuovo i rapporti
sessuali diversi da quelli fra uomo e donna adulti, invitando ad attenersi alle
leggi di natura e a cercare sempre e solo l’acquisizione delle virtù. Il
filosofo greco sembra considerare perfino come un «pericolo», per l’ordine
sociale, gli «amori di donne al posto di uomini e uomini al posto di donne»
perché «innumerevoli conseguenze sono derivate agli uomini privatamente e a
intere città». Del resto Platone - decisamente lontano e opposto alla mentalità
epicurea - indicando l’esempio di un
famoso atleta, Icco tarantino, che per vincere alle Olimpiadi si astenne da
tutti i piaceri durante il lungo allenamento, invita a incitare i giovani a
fare altrettanto e a «tener duro in vista di una vittoria molto più bella»
ovvero: «la vittoria sui piaceri». Platone - con buona pace di coloro che
fantasticano di un’antica Grecia libertaria e accusano la Chiesa Cattolica di
aver portato illiberalità e sessuofobia - arriva addirittura a chiedere alle
leggi di prescrivere la virtù: «La nostra legge deve assolutamente procedere
dicendo che i nostri cittadini non devono essere peggiori degli uccelli e di
molte altre bestie che, nati in grandi gruppi, vivono fino alla procreazione
non accoppiati, integri e puri da unioni sessuali, ma quando giungono a questa
età, congiuntisi per proprio piacere il maschio alla femmina e la femmina al
maschio, vivono il resto del tempo in modo santo e corretto, attenendosi e
saldamente ai primi patti d’amore; dunque essi (i cittadini) devono essere migliori
delle bestie».
Questa
la prima legge (dove si condannano anche i rapporti prematrimoniali e
l’adulterio). E «qualora (i cittadini) vengano corrotti», aggiunge Platone,
bisogna escogitare «una seconda legge per loro». Ovvero, se proprio alcuni non resistono
all’attrazione dei piaceri senza legge «sia presso di loro cosa bella compiere
di nascosto questi atti (…), mentre sia turpe il non farli di nascosto». Questo
è il Platone vero, quello che racchiude le leggi nell’«ossequio agli dèi,
l’amore pe gli onori e il fatto che non ci sia desiderio dei corpi, ma dei bei
costumi dell’anima».
Dell’altro
Platone, quello di Galimberti, non si trova notizia sui suoi testi. Voglio
aggiungere che siccome a quel tempo sotto la categoria di amore andava anche il
rapporto fra maestro e discepolo, e siccome questo rapporto poteva scadere (e
scadeva) nella pederastia, c’è un passo di Platone (nella Repubblica, il
dialogo filosofico, non il giornale) in cui si legge la condanna di questa
degenerazione possibile: «tu stabilirai una legge nella città che stiamo
fondando, in base alla quale chi prova affetto (erastés) per il suo ragazzo
affezionato (ta paidikà), lo ami e lo accompagni e lo tocchi come farebbe un
padre con il figlio; con il suo consenso e avendo come fine la contemplazione e
la conoscenza del bello. Mai dunque dovrà accadere o sembrare che si vada oltre
questi limiti».
LA
FAMIGLIA NATURALE
Qualcuno
potrà sorprendersi di scoprire questo Platone, perché da tempo si è diffuso il
luogo comune che la famiglia eterosessuale (come fondamento della civiltà) e la
legge naturale siano un’invenzione del cristianesimo. In realtà la famiglia fra
uomo e donna è stata il fondamento istituzionale esclusivo di tutte le civiltà
precedenti il cristianesimo e di tutti i popoli. Da sempre. E la legge naturale
ben prima del cristianesimo è stata il fondamento della riflessione morale, in
modo speciale nell’antica Grecia. Un formidabile saggio di Francesco
Colafemmina, «Il matrimonio nella Grecia classica» vuole dimostrare tutto questo
con ricchezza di citazioni (sorprendenti) e brillante scrittura. Il libro di
Colafemmina (a cui devo tante preziose indicazioni) intende ribaltare «le
mistificazioni contemporanee» e ricostruisce «un’etica matrimoniale condivisa
fra ellenismo e cristianesimo». Una lettura preziosa in questi tempi di
confusione e di ideologia. Una lettura da consigliare a tutti i nostri
spensierati politici.
di
Antonio Socci.
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