di
Andrea Degli Innocenti.
Gli
islandesi e l'acqua. Da questo rapporto profondo Andrea Degl'Innocenti parte
per raccontare le prime impressioni legate al suo viaggio in Islanda. Dal
carattere ospitale degli abitantialla loro incredulità di fronte alle vicende
dei referendum italiani. Questo, anche per anticipare il vero motivo del
viaggio: un libro in cantiere sulle rivolte popolari del 2009, contro il
governo ed il ricatto del debito.
"L'acqua
rappresenta bene il carattere degli islandesi. Essi appaiono pacifici e aperti
come un ruscello, ma sono capaci di lottare per i propri diritti e trasformarsi
di colpo in cascata"
“Come
è possibile che sia successo questo, che qualcuno si sia appropriato
dell'acqua?” mi chiedevano stupiti i commensali. “Questo qui in Islanda non
potrebbe mai succedere. Sarebbe lo stesso che privatizzare l'aria!”
“Anche
in Italia, cinquant'anni fa, se tu avessi detto a mio nonno che in futuro
l'acqua sarebbe appartenuta a privati ti avrebbe probabilmente riso in faccia e
mandato bonariamente a quel paese”, provavo a rispondere.
Mi
trovavo a Reykjavik, capitale islandese, a casa della figlia di Salvor,
un'attivista di Attac Iceland che ci ha ospitato – me e Marco, mio compagno di
viaggio – per tutta la durata della nostra permanenza. Mentre aspettavamo di
cenare conversavamo sulla situazione del paese. Mi è capitato di fare
riferimento all'Italia, in particolare al movimento per la ripubblicizzazione
dell'acqua.
La
cosa ha da subito rapito la loro attenzione. Ciò che li stupiva – anzi, di cui
a dire il vero proprio non si capacitavano – non era tanto che i governi e le
amministrazioni locali stessero violando ogni regola democratica e
proseguissero imperterriti con le privatizzazioni anche dopo i referendum –
alla cattiva politica erano abituati anche in Islanda -; era piuttosto il fatto
che gli italiani, sì proprio il popolo italiano, e con loro buona parte degli
europei come gli avrei spiegato a breve, avessero permesso a dei privati di
accaparrarsi la gestione dell'acqua.
L'acqua
in Islanda è qualcosa di intimamente legato all'animo di ognuno.Sgorga dal
suolo bollente e solforosa oppure ghiaccia come l'oceano artico. Schizza in
aria lanciata dalla enorme pressione dei geysir o si fionda giù con violenza
per dirupi di sessanta e passa metri nelle immense cascate di Gullfoss o
Dettifoss.
Si
può bere, ovunque nell'isola, direttamente dai ruscelli che scivolano sui
pendii non appena un po' di calore estivo inizia a sciogliere gli enormi
ghiacciai perenni. Nessuno compra acqua in bottiglia. A dire il vero l'acqua in
bottiglia praticamente non esiste, con qualche eccezione per quella con le
bollicine. D'altronde hanno “la migliore acqua del mondo”, come affermano
orgogliosi.
Ho
sempre avuto l'idea che sarei dovuto partire proprio dall'acqua nel descrivere
il mio viaggio in Islanda. Eppure esso ha avuto molto più a che fare con le
vicende legate al debito ed alla cosiddetta “rivoluzione delle pentole” del
2009, alle deliranti politiche neoliberiste che hanno portato all'esplosione di
una bolla di credito, alla tragica crisi economica ed alla reazione del popolo
islandese. Su questi argomenti ho in cantiere un libro che uscirà in autunno. A
questo è servito il viaggio; attorno a questi argomentiruotavano le interviste
e le ricerche.
Ma
l'acqua, a me pare, ha un legame intrinseco con l'intera vicenda, così come con
il carattere degli islandesi. Essi appaiono pacifici e aperti, disponibili e
amichevoli, come le acque ciottolanti di un ruscello. La storia dimostra che
sono però anche capaci di lottare per i propri diritti quando serve, e di
trasformarsi di colpo in cascata.
L'acqua
è l'elemento che più caratterizza l'isola. Più della terra brulla che ricopre
le vaste zone semidesertiche lungo la dorsale oceanica; più dell'aria tersa,
illuminata da un sole che già sul finire di maggio se ne va solo per un paio
d'ore al giorno, lasciando comunque un chiarore costante; persino del fuoco,
che pure zampilla dai vulcani sotto forma di lava e lapilli.
Essa
rappresenta il legame che gli islandesi hanno con la propria terra, con la
natura straripante. Un legame di forte dipendenza, quasi di serena
sottomissione. In altre occasioni mi è capitato di parlare dell'acqua e dei
referendum italiani con gli isolani. Ad esempio con Andrea Jóhanna Ólafsdóttir,
candidata alle elezioni presidenziali da poco svoltesi; vinte, per la quinta
volta consecutiva, da Ólafur Ragnar Grímsson. Ogni volta la reazione era la
stessa. “Qui in Islanda non sarebbe mai potuto succedere, l'acqua è troppo
importante per noi”.
Il
libro che sto scrivendo non parlerà dell'acqua, se non in maniera marginale. Ma
mi pareva giusto rendere omaggio al carattere degli islandesi, quasi a
ringraziamento per l'ospitalità e l'accoglienza, con un inno (senza pretese)
all'elemento che più li caratterizza. Oscar Olivera, leader della guerra del
aguadi Cochabamba, in Bolivia, contro le privatizzazioni imposte dalle
multinazionali affermava: “dobbiamo essere come l'acqua: trasparenti e in
movimento”. Gli islandesi, la cui cultura ha inaspettatamente molto a che
vedere con quella dell'America Latina (il romanziere Einar Már Gudmundsson me
lo ha confermato) lo hanno preso in parola.
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