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martedì 13 marzo 2012

Grecia, è default ma non si dice.



Di Claudio Marsilio 

In Italia siamo abituati a far passare le sconfitte da vittorie, e le tragedie da occasioni di riscatto; quindi nessuno si scandalizza o si fa venire dei dubbi circa l’euforia dei “mercati” e della stampa nazionale sul dimezzamento del debito greco e l’accettazione degli “swap” da parte degli investitori, addirittura – dicono esaltati i commentatori nostrani – ben oltre il 74% previsto, raggiungendo un entusiastico, plebiscitario 95,7!

I titoli dei giornali spaziano da un: “Atene salva, scansata la minaccia default”, ad un altro roboante “La Grecia è salva: sì al piano sul debito” ( Il Tempo ) …

Insomma, un piano che obbliga i creditori a rimetterci il 70% del proprio investimento ( questo succede: un taglio secco del 50 sugli interessi e l’accettazione di altri titoli con un rendimento a 10,20 anni con un tasso più basso ) viene spacciato come un “successo”.

Il classico successo alla Mario Monti, per intenderci ( “l’euro è stato un successo, soprattutto per la Grecia” disse Bin Loden nella trasmissione di Gad Lerner di qualche tempo fa ).

In realtà, i cinesi – che quando si tratta d’affari non guardano in faccia a nessuno – attraverso la loro agenzia di rating Dagong, hanno appena declassato il debito pubblico greco ( anche il nuovo swap appena approvato ) da “C” a “D”, di default.

Cos’altro potrebbe essere se non un fallimento, quello appena licenziato?

Gli investitori privati che non hanno accettato il piano PSI ( Private sector involvement )hanno dovuto subire l’iniziativa del governo greco, che ha fatto scattare le clausole di azione collettiva: L’Agenzia per il debito ha, infatti, minacciosamente dichiarato che: “la Grecia non contempla la possibilità di mettere a disposizione risorse per i creditori privati che non aderiranno al PSI” e che  “date le proposte di variazione alla legge greca per l’emissione di titoli di Stato, Atene intende dichiarare le modifiche come effettive e vincolanti per tutti i detentori di obbligazioni”.

Per i detentori delle obbligazioni attuali, ma anche per quelle passate. Il che, in soldoni, significa che il Governo di Papademos non ha una lira – pardon, una dracma! – per pagare, quindi o si accetta questa minestra, o si salta dalla finestra.

“Vuoi sapere qual è la procedura? Io i soldi non li caccio e tu non li becchi!” ( Marchese del Grillo, all’indirizzo dell’ebreo Aronne Piperno )

Scherzi a parte, ora il rischio vero – di fronte a questo default, diciamo così, controllato – è che gli investitori internazionali che possiedono Credit Default Swaps ( le assicurazioni contro il rischio di fallimento dei paesi sovrani ) ricadenti sotto la legislazione britannica e non greca reclamino il pagamento delle polizze a scadenza, quelle cioè che scatteranno a partire dal 20 marzo prossimo, quando arriveranno a scadenza i bond greci.

Perché in tal caso chi li caccerà i soldi per onorare quelle assicurazioni? Ma per ora non parliamo di questo scenario da incubo. Restiamo nell’alveo del “salvataggio del debito greco”.

La Grecia assicura i creditori che riceveranno nuovi bond con un valore pari al 31,5% di quelli attualmente detenuti con un tasso del 2% fino al 2015, del 3% fino al 2020, del 4,3% fino al 2042. Insomma, trent’anni per riprendersi i soldi investiti su Atene. Dov’è la convenienza? Non c’è, ma la crisi greca rischiava di travolgere l’Europa.

Sui nuovi bond emessi ( ancora non esistono, ma se li stanno vendendo nel “mercato grigio” i maggiori istituti di credito europei ) Il governo greco ha dovuto anche accettare una perdita di sovranità ulteriore,  visto che le nuove obbligazioni saranno sottoposte alla legislazione britannica e che qualsiasi controversia che le dovesse riguardare sarà giudicata dalla Corte di Lussemburgo.  Anche perché i famosi 130 miliardi destinati al pagamento delle tranche di aiuti, verranno dal cosiddetto “fondo salva stati”, l’ESFS, di cui l’Italia è contributore. Verserà infatti, se verrà chiamata a dare il suo contribuito ad Atene ( cosa altamente probabile ), il 17% di un importo che va dai 115 ai 130 miliardi di euro, cioè circa 20 miliardi.

Che, guarda un po’, è un importo superiore all’1% del Pil; rischiamo quindi di vedere salire il nostro rapporto debito/Pil oltre il 121%, che non è un buon segnale in vista del Fiscal Compact che ci impone un rientro graduale verso il 60%.

Insomma, noi ci facciamo – tecnicamente e tecnocraticamente parlando – la solita figura da fessi, mentre i Tedeschi fanno la solita figura da furbastri ( furbastri perché furbi a breve, fessi irrecuperabili a lungo ) dato che ci hanno guadagnato due volte dalla crisi greca: una prima, rallentando le decisioni sul “salvataggio” in modo da consentire alle proprie banche di liberarsi dei bond greci con il minor danno; una seconda, perché il proprio titolo di debito, il Bund, è diventato di fatto un bene rifugio e parametro d’ogni virtuosità finanziaria in ambito europeo. Manco fosse oro.

Tra i “nostri” istituti, invece,  le Generali hanno perso 328 milioni, Intesa San paolo 593 e Unicredit 316. Si consoleranno con i mille miliardi prestati dalla Bce alle banche per tre anni con un tasso all’1%, mentre i loro ex-manager oggi ricoprono importanti ruoli da ministro!

In tutta questa drammatica situazione, l’unico politico greco che pare aver capito qualcosa è l’euroscettico Giorgos Karatzaferis, il leader di Laos (estrema destra) secondo cui “dopo quanto e’ successo, i greci devono capire che non potremo uscire di nuovo sui mercati prima di 10 o 20 anni. Dobbiamo capire che se la Grecia avrà bisogno di un prestito, nessuno avrà fiducia nei suoi titoli di stato. Io proprio non capisco il motivo di tanto entusiasmo”.

Neanche la Direttrice del FMI, Christine Lagarde lo capisce. Infatti lancia un mafioso avvertimento agli speculatori in tutto il mondo: “Non scommetterei contro l’Italia” in quanto le misure adottate dal governo ( scusate! ) Monti sono – come sappiamo tutti – “impressionanti”. Chi ha infatti scommesso cifre importanti sul fallimento della Grecia e non si vede rimborsare il rischio, potrebbe essere tentato di recuperarli altrove, con esiti devastanti, nel caso dell’Italia.

Per farla breve: cosa ci insegna questa situazione al limite dell’assurdo?

Una serie di cose istruttive.

La prima: quando una nazione non ce la fa più a pagare,  può fallire. Come noto, gli usurai non 
ammazzano il debitore, ma lo fanno rifiatare; gli spremono quello che possono, e gli rifilano un altro prestito, per continuare a tenerlo sotto schiaffo, e in schiavitù. Ciò che in questo caso è stato di un’evidenza lampante è che la Grecia non potendo onorare i propri debiti ha imposto un taglio del 50% nominale, e 70 ( SETTANTA ) effettivo , e i creditori hanno abbozzato.

La maggior parte di loro ha infatti giocato solo d’azzardo, con soldi non propri, e non stanno perdendo nulla.

I greci invece, hanno perso tutto. Per i prossimi 30 anni.

La seconda: la crisi sistemica è rimandata di qualche mese. Il fondo ESFS ( chiamato nella lingua di legno europea “salva-stati” ) non salva proprio nessuno, in quanto gli Stati che lo compongono hanno subìto un declassamento ( la Francia ) del proprio rating, e devono finanziarlo ( il Fondo ) privandosi di risorse che contribuiscono ad impennare il proprio rapporto deficit/PIL, subendo possibili sanzioni dal patto Fiscal Compact. Un corto circuito degno dei migliori professori della Bocconi…

La terza: i tedeschi stanno per affossare definitivamente e per la terza volta l’Europa, a causa della loro rigidità e ottusità. Proprio come dice Farage in uno dei suoi strabilianti interventi al Parlamento Europeo.

Quarta e per ora ultima: in Italia non esiste giornalismo. Non c’è informazione: esiste solo conformismo complice, a tutti i livelli.

E questa per noi è una grande tragedia, una tragedia greca.

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