Già da piccoli, gli adulti ci insegnano a prenderci la responsabilità delle nostre azioni: soprattutto se sbagliate. Non dev’essere pratica diffusa negli Stati Uniti, a giudicare da quest’ennesima vicenda che vede protagoniste le truppe di occupazione yankee e vittime civili afghane. Stavolta, però, si sfiora addirittura l’assurdo: con gli americani che tentano di giustificare una vera e propria strage (palesemente premeditata) come l’atto folle di un singolo. Peccato solo che qualche sopravvissuto alla strage abbia identificato non una sola persona, ma una squadra d’assalto statunitense. Non mancherà - già lo immaginiamo - la smentita Usa che identificherà come “talebana” ogni precisazone sui dettagli della strage.
Tutta colpa di un sergente maggiore in esaurimento nervoso o colpito da stress per la lunga permanenza in zona di combattimento la strage compiuta in due villaggi del distretto di Panjiwayi, nella provincia di Kandahar, nella quale sono state uccisi e bruciati 16 civili afghani, quasi tutti donne e bambini.
Due le versioni sulla dinamica del massacro che divergono tra loro fondamentalmente per un aspetto: gli statunitensi e il comando Nato www.isaf.nato.int affermano che l’eccidio è stato compiuto da un solo militare uscito di nascosto dalla sua base, una Forward Operating Base (Fob) posta a meno di un chilometro dalle quattro case assaltate nel cuore della notte e colpite dalla furia omicida.
Dopo aver compiuto la strage il sergente si sarebbe consegnato ai suoi commilitoni nella base stessa e ora si trova sotto custodia in attesa quasi certamente di venire rimpatriato e processato negli Stati Uniti.
Secondo testimoni afghani a sparare sui civili c’erano diversi soldati americani, “ubriachi” che “ridevano” e “sparavano all’impazzata” secondo i testimoni locali, fra i quali un uomo, Haji Samad, che ha perso undici parenti nella strage e afferma che i soldati “hanno versato liquido infiammabile sui corpi e tentato di dare loro fuoco”. Una versione compatibile con il resoconto della France Presse che ha inviato un suo corrispondente sul posto e che ha potuto visitare gli edifici e contare 16 cadaveri. “Sono stati uccisi e bruciati. Ho visto almeno due bambini di età fra i due e i tre anni che erano stati bruciati”.
Il vicecomandante delle forze alleate, generale Adrian Bradshaw, ha ammesso che “uno dei nostri soldati ha ucciso e ferito un certo numero di civili in un villaggio adiacente alla sua base”, aggiungendo di non essere “in grado di spiegare le ragioni del suo gesto” e che “un’inchiesta è in corso”.
In passato, dopo la morte di civili per mano degli alleati, le testimonianze degli afghani si sono rivelate imprecise e spesso palesemente false ma questa volta è la versione statunitense e alleata a essere poco convincente. Chiunque abbia frequentato basi alleate in Afghanistan sa che è molto difficile se non impossibile uscirne di nascosto sia perché si verrebbe rivelati dai sensori posti a protezione del perimetro sia perché telecamere e sentinelle coprono ogni centimetro del perimetro. Anche uscire dall’ingresso principale adducendo una scusa è impossibile perché dalle basi esce solo il personale autorizzato, al quale è stata assegnata una determinata missione e in ogni caso mai nessun militare potrebbe lasciare la base da solo per ovvie ragioni di sicurezza.
Risulta poi difficile pensare che un uomo solo entri in quattro case in due villaggi diversi, sparando all’impazzata e bruciando i cadaveri, il tutto a poche centinaia di metri dalla base americana senza che nessuno intervenga. Un’azione più alla portata di una squadra (sette uomini guidati da un sergente) che di un singolo.
Fonte: IlSole24Ore.
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