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mercoledì 11 aprile 2012

Etica ed estetica [Dottrina].



Di contro alla moderna relatività di ogni canone estetico, al venir meno della categoria del Bello ed alla conseguente morte dell’arte nel suo più vero significato, nelle società tradizionali l’estetica aveva un’importanza ed una funzione specifiche, in quanto tutto in ambito tradizionale è strumento. Ciò era dato dal ruolo centrale e ordinatore che lo Spirito ricopriva in date comunità e di conseguenza dall’oggettività dell’idea del Bello. L’esempio più lampante a tal riguardo probabilmente ce lo dà la Grecia antica, in cui uno dei diversi modi per definire l’uomo virtuoso era kalòs kài agathòs, ossia “bello e buono” (la cui rispettiva qualità dell’anima era kalokagathia, bellezza e bontà)¹. L’errore più grossolano in cui è possibile incappare nell’interpretazione di questo concetto sarebbe assumerlo con superficialità, per cui l’apparire conferirebbe di riflesso qualità all’essere. No, questo non è altro che il punto di vista che sta alla base della moderna società dell’apparenza. Le cose stanno in maniera totalmente inversa: un determinato stato dell’anima conferiva, di riflesso, qualità all’esteriorità dell’essere (potrebbero rientrarvi qui delle nozioni di fisiognomica; andremmo però ad imbatterci in campi dottrinari ben più vasti non trattabili nel presente articolo). Così i canoni di bellezza dell’uomo delle società tradizionali non si riducono a mera apparenza da centro estetico, vanno bensì oltre: armonia ed essenzialità, nei gesti e nell’apparire, che provocano ammirazione al solo vederli, trasformandosi il “bello e buono” in un’opera d’arte egli stesso. Essenzialmente, per analogia, come l’artigiano plasma la materia dandole forma, così è dovere dell’uomo della Tradizione plasmarsi e darsi una forma, una misura a sua volta, facendosi opera d’arte rappresentativa della virtù. In poche parole ad una data condizione etica corrisponde di riflesso una ben determinata dimensione estetica. Lo sguaiato, il caotico, l’informe, in ambito tradizionale non trova posto.

Estetica è rappresentazione, ma, nella materiale opera d’arte, di che cosa? Platone nella sua analisi giudica, in un secondo momento, l’arte in maniera positiva in quanto manifestazione delle idee iperuraniche nella materia grezza attraverso l’artista che, in questo atto, si fa demiurgo². La vera arte quindi, in tutte le sue forme, procede dai Princìpi, li manifesta, li rappresenta e ad essi riconduce chi la ammira potendo in alcuni casi divenire un sostegno per la meditazione, assumendo la stessa funzione delle scienze tradizionali ³. Il rapporto con la Realtà metafisica è quindi biunivoco: da questa procede e verso questa conduce. Alla base di tutto ciò v’è l’oggettività della categoria del Bello: è Bello tutto ciò che è dal Sacro ispirato e il Sacro manifesta, in esso trova fondamento e verso questo eleva lo Spirito del singolo. Il Bello oggettivo assume una funzione anagogica.
In ambito estetico tradizionale, ma specialmente nella cultura greca, è considerato bello ciò che è conforme ai canoni di armonia e simmetria; la prima è la perfetta sintesi ed il migliore accostamento di elementi diversi che genera organicità, la seconda è il corretto utilizzo e la giusta proporzione e ripetizione delle misure che conferisce equilibrio alla rappresentazione. Così l’ammirare l’ordine e l’equilibrio ordina ed equilibra a sua volta la nostra anima, allo stesso modo in cui vivere il mezzo al caos, come oggi diabolicamente accade, genera il caos dentro di noi.

Come sostiene la dottrina della regressione delle caste anche l’estetica ha subìto, nel moto di decadenza, un mutamento di forma e finalità. Se in un contesto dominato dalla regalità spirituale e dalla sacerdotalità le rappresentazioni si ricconnettevano agli ambiti dei Princìpi e della Conoscenza e la costruzione dominante era il tempio, in ambito guerriero vengono a prevalere altri modelli, al tempio si sostituisce la fortezza e subentrano le saghe ed i poemi guerrieri con la relativa simbologia e connessi ad una determinata ascesi; con l’affermazione del terzo stato la finalità  dell’arte diviene prettamente ludica e di distensione: alla saga subentra il romanzo, all’avventura guerriera la storia sentimentale erotico-psicologistica; infine con la quarta casta è l’avvento dell’architettura razionalizzata degli “alveari umani” e l’arte acquista caratteri sempre più “di massa” e demagogici con finalità sociali ed “impegnate”.

Non è così difficile capire quale sia oggi il ruolo e la funzione che ricopre l’arte, tale che, da un punto di vista tradizionale, così non può essere chiamata: è priva di ogni funzionalità superiore ed ha abbandonato i canoni sui quali si basa in società normali. Al contrario, come in ogni inversione tipica dell’era ultima, non essendo più ispirata da un che di super-personale lo è da qualcosa di sub-personale, irrazionale ed istintivo (così come è, in larga scala, sin dalla nascita delle correnti naturaliste e irrazionaliste sorte come reazione all’illuminismo e al razionalismo ma che contribuirono solamente ad accelerare la caduta). Le opere non sono più fondate sui Princìpi, sull’armonia e sulla simmetria, ma sul caotico e l’informe; così come testimonia la dissoluzione delle forme tipica dell’ultima arte moderna e dell’arte contemporanea. Sollazzo estetico e figurativo, non arte. La psicanalizzazione e le oniriche nebulosità delle rappresentazioni, il loro utilizzo per finalità pubblicitarie ed industriali, l’astrattismo ad oltranza, ben chiarificano quale sia la loro direzione e su cosa facciano leva: la mediocrità collettiva ed i bassi fondi dell’anima. Purtroppo tutto ciò non si manifesta solo nella pittura ma in tutte le forme espressive: in architettura la deformazione delle strutture ed i già citati “alveari umani”, in musica ritmi sempre più sincopati, sintetici e caotici, che agiscono e stimolano gli elementi istintivi e irrazionali dell’essere – spesso accompagnati dal consumo di droghe -, nel cinema l’esaltazione dello sguaiato, del violento, del volgare, del disgustoso, del deforme e del pornografico.

E’ contro a tutto ciò che sta a noi ristabilire il Bello, l’ordine, l’armonia, la luce.

Note:

¹ Cfr. H. F. K. Gunther, Humanitas, Edizioni Ar, Padova.
² Simbolo platonico del plasmatore dell’Universo. Dal greco “artigiano”.

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