di Fabrizio Anselmo.
Sono passati oramai 5 anni da quando, nel 2007, Benedetto XVI decise di liberalizzare, con il motu proprio «Summorum Pontificum», il rito tradizionale della Santa messa, compiendo, così, il primo tangibile passo verso un riavvicinamento alla Fraternità San Pio X. Dopo numerose polemiche, legate soprattutto ad alcune parti della messa antica ed alla revoca della scomunica ai quattro vescovi lefevriani ordinati senza il mandato pontificio, sembra, ora, che manchi poco al completo riavvicinamento tra le due parti.
Nel settembre del 2011, infatti, nel corso di un incontro tra i vertici della Congregazione per la Dottrina della Fede, guidata dal cardinale americano William Levada, ed i superiori della Fraternità, rappresentati da Monsignore Bernard Fellay, la Santa Sede ha consegnato agli eredi di Monsignore Lefebvre un preambolo dottrinale che avrebbe dovuto essere accettato dalla Fraternità .
Un preambolo, in particolare, che enunciava alcuni principi dottrinali e criteri di interpretazione della dottrina cattolica che non potevano essere messi in discussione. Accanto ad essi, però, erano previsti anche alcuni aspetti sui quali la Fraternità avrebbe avuto voce in capitolo. La Santa Sede, inoltre, arrivò a prospettare per la Fraternità la creazione di una prelatura personale sul modello di quella a suo tempo istituita per l’Opus Dei.
Una prima risposta al preambolo, da parte di Monsignore Fellay, arrivò nel dicembre 2011. Più che una risposta, in realtà, si trattò dell’invio di una copiosa documentazione, tanto che non venne considerata in alcun modo come adeguata dalle autorità vaticane, le quali invitarono il responsabile della Fraternità a riformularla. Una nuova risposta è giunta perciò sul tavolo del Cardinale Levada nella seconda metà di gennaio. Ma, anche in questo caso, il Vaticano ha ritenuto il documento dei lefevriani come «non sufficiente a superare i problemi dottrinali che sono alla base della frattura tra la Santa Sede e la Fraternità».
A dimostrazione, però, della volontà di papa Benedetto XVI di arrivare ad un accordo e di «evitare una rottura ecclesiale dalle conseguenze dolorose ed incalcolabili», la Santa Sede ha deciso di concedere, a marzo, un ulteriore mese affinché la Fraternità potesse prendere una decisione finale sul documento. E proprio in questi giorni è arrivata, in Vaticano, la risposta finale e decisiva dei lefevriani. Un testo definito da padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, come «una risposta incoraggiante, un passo avanti rispetto a testi precedenti». Padre Lombardi ha aggiunto, anche, che «chi ha letto la risposta lefebvriana la ritiene sensibilmente diversa da quella precedente».
Se da un lato, perciò, la Santa Sede mostra un cauto ottimismo sulla possibilità di concludere la trattativa in maniera positiva, dall’altro lato sono proprio i tradizionalisti a muoversi con maggiore cautela. Da Econe, quartiere generale della Fraternità, si fa infatti notare come il testo inviato da Monsignore Fellay non sia una risposta positiva tout court, bensì un testo che dovrà nuovamente essere analizzato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e, in ultima istanza, dal papa. Questo perché la riposta inviata dalla Fraternità conterrebbe delle proposte di integrazione o di precisazione del preambolo dottrinale, la cui accettazione è posta dalla Santa Sede quale conditio sine qua non per la riconciliazione.
In linea generale, comunque, si nota come vi sia, in particolare più da parte di Monsignore Fellay che di altri esponenti del mondo tradizionalista, un piena disponibilità a compiere i passi necessari per il riavvicinamento. Un riavvicinamento che, però, per la Fraternità dovrà avvenire secondo due condizioni: che non vengano richieste alla Fraternità delle concessioni che tocchino la fede e ciò che ad essa è connesso (ovvero liturgia, sacramenti, morale e disciplina) e che venga concessa una reale libertà e autonomia d’azione alla Fraternità San Pio X. Spetterà, quindi, ora alla Santa Sede l’ultima parola.
Fonte: Caravella.ue
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