Gli italiani si sa, hanno memoria corta. Ce lo insegna la storia, lo leggiamo nel vissuto quotidiano.
Solo qualche mese fa un governo legittimamente eletto, è stato praticamente esautorato da una evidente speculazione sui titoli del nostro debito pubblico. Manovre correttive come se piovessero, e alla fine la resa. Poi sono arrivati i salvatori, ma questa è un’altra storia.
Quello che ci interessa ricordare, è che questo attacco speculativo che ha fatto schizzare a livelli mai raggiunti BOT e CCT è stato possibile per l’evidente esposizione dell’Italia in materia di debito pubblico, sia che lo leggiamo con l’ambiguo rapporto debito PIL ( circa 108%) , sia che lo misuriamo in termini assoluti, 1900 miliardi di euro circa.
Ma da dove viene questo debito? Facile è scritto ovunque, quando lo stato chiude l’anno con un bilancio in deficit perché le uscite hanno superato le entrate, per ripianare il bilancio e per mantenere i propri impegni (apparato statale, e stato sociale) di fatto compra moneta, denaro, emettendo in cambio titoli di stato.
I titoli vengono messi sul mercato, nel nostro caso da Banca d’Italia; questi titoli hanno un costo (valore nominale) che viene pagato per intero dai creditori interessati ed una durata prevista prima della riscossione variabile (anni, mesi). Variabile è anche il tasso di interesse a cui i creditori prestano questi soldi allo stato.
Interesse, è anche semanticamente, il motivo per cui ci sono frotte di investitori pronti a comprare questi pezzi di carta che lo stato offre; alla scadenza il creditore che restituirà i titoli riceverà dallo stato il valore nominale del titolo, più gli interessi. Si, è vero, è talmente elementare che a provare a spiegarlo si fa la figura dei deficienti. Quell’obbligazione venduta a 100, avrà quindi per lo stato debitore sempre e comunque un costo superiore a quello nominale; che sia 101, 110 o 200, anche questo qui interessa poco.
Perché col debito italiano questi calcoli ormai sono totalmente sballati, siamo andati oltre , così non possiamo più ragionare di valori, ma solo di numeri, numeri all’apparenza asettici, ma di fatto mostruosi. 77 miliardi di euro da pagare per l’anno 2012, noi tutti, per i soli interessi sul debito già contratto. E i quasi 2000 miliardi di debito consolidato.
Ma come e quando pagheremo questo debito? In realtà lo paghiamo costantemente, ogni volta che i titoli mese per mese, anno per anno vanno in scadenza, ma lo stato non fa profitti, al massimo può gestire un maggior introito fiscale derivante da un periodo di crescita, ma specie in un periodo di crescita prossima allo 0, come e dove prendere i soldi per pagare?
Una famiglia può vivere con un reddito uguale e costante, anche al netto dell’inflazione, ma non se ha un mutuo a tasso variabile e il tasso di interesse cresce, allora dovrà reperire i soldi per pagare questa differenza: voi consigliereste a questa famiglia di contrarre un altro debito, magari alle stesse condizioni del precedente, per pagare appunto il debito di cui non riesce a saldare le rate? No ?
A prescindere da come la si possa pensare su una famiglia sventurata, la nostra grande famiglia, o comunità, lo stato, paga così il suo debito, da sempre! CONTRAENDO ALTRI DEBITI.
Sono questi debiti su debiti a mettere alle corde la nostra nazione, uniti ovviamente ad una evasione contributiva altissima, ma che deriva in parte proprio dall’alta pressione fiscale necessaria per pagare gli INTERESSI dei continui debiti contratti dallo stato.
In termini tecnici, l’idea di pagare debito con altro debito, “si chiama “schema Ponzi”, da nome di un finanziere che l’aveva messa in pratica negli anni ’30 del novecento; ma è una pratica vecchia come il mondo, tanto che in Italia ha anche un santo protettore; si chiama Catena di Sant’Antonio. In realtà tutta la bolla finanziaria che ci sovrasta non è che un immane schema Ponzi. E anche i debiti degli stati lo sono. Il vero problema è sgonfiare questa bolla in modo drastico, prima che esploda tra le mani degli apprendisti stregoni dei governi che ne hanno permesso la creazione“.
Di fronte a questo meccanismo perverso poco contano le mille manovre che si susseguono, i tagli alla scuola, all’università, allo stato sociale, alle pensioni. Le (s)vendite di patrimonio pubblico immobiliare, di aziende strategiche come Telecom e ,chissà , Finmeccanica. Pochi miliardi di euro per mettere qualche pezza, non risolvendo il nostro indebitamento ma mandando in pezzi lo stato sociale e risorse decisive per il futuro. E comunque rimanendo sempre esposti al rischio di una speculazione che faccia schizzare il rendimento , e il nostro indebitamento. E siamo a poche settimane fa.
D’altronde se ne è accorto persino il presidentissimo Napolitano, quello per intenderci, che firmò il decreto che ratificava il nuovo statuto della Banca d’Italia che sanciva di fatto la privatizzazione della nostra banca centrale [1]. Ascoltiamolo : “Quello di abbattere il debito pubblico – ha detto Napolitano – è un obiettivo che riassume tutti gli altri, lo vado ripetendo da tempo e approfitto di qualsiasi governo voglia impegnarsi in questo senso. Noi non possiamo lasciare sulle spalle delle generazioni più giovani questa spaventosa eredità, dobbiamo allentare questo vincolo, perché viaggiamo oltre i 70 miliardi di euro ogni anno come interesse sui titoli, pensate quanta parte potrebbe essere usata per investimenti ed è invece sequestrata da questo obbligo che non possiamo trasferire sul futuro vicino e lontano”. E ancora! : “Non si lasci ai giovani il peso di un debito spaventoso. E’ un nostro dovere morale, anche nei confronti dell’Europa“.
Fantastico, il comunista più amato a Washington ha centrato perfettamente il problema! Peccato che abbia contribuito in maniera decisiva alla scelta di un premier, il professor Monti, che ha dimostrato da subito di non aver alcuna intenzione di muoversi su questa strada.
Nessuna nuova infatti sull’emissione titoli dall’insediamento del governo tecnico, che conferma il piano di emissione di 440 miliardi di euro di titoli per l’anno 2012, dato in leggero calo rispetto a 2009 e 2010, giusto per assecondare l’apparente ridotta liquidità sui mercati, ma che conferma la volontà di continuare sulla strada dell’indebitamento continuo.
Forse Napolitano sogna “ ‘o miracolo” ma con queste premesse è difficile che il debito di sciolga come il sangue di San Gennaro.
Il debito continuerà a crescere, e non è affatto escluso che una nuova speculazione sui titoli, con una esposizione così ampia, ci porti vicino al fallimento come è già successo per la Grecia. Perché il debito è chiaro, lo contrae lo stato, ma lo paghiamo noi, con il nostro lavoro, con le tasse che versiamo costantemente.
Eppure un governo eletto è stato costretto alle dimissioni, messo alla stretta proprio da una speculazione sui nostri titoli di stato; nessuna calamità naturale, nessuna crisi di produttività. Una crisi di fiducia si è detto; fiducia? Meglio quel serio professore a quell’imprenditore un po’ cazzeggione e puttaniere, i mercati sono roba seria, mica argomento da orge ad Arcore! E questo i nostri creditori lo sanno, ne parlano la domenica all’uscita dalla Chiesa o al tè delle cinque… però ecco, saremmo curiosi di guardarli in faccia questi nostri creditori così morigerati.
Eppure stranamente ne abbiamo lette poche di inchieste in merito, su questi probabili puritani che non tollerano il divertimento extraconiugale.
Insomma mentre l’Italia vive una sorta di trancè acritica, in cui ogni nuova imposta è accettata come necessaria, ogni nuovo provvedimento generalmente accolto perché finalizzato alla magica crescita, sogniamo che in Parlamento, teoricamente il luogo della Sovranità popolare, qualcuno si svegli, abbia un moto di orgoglio.
Quello che è successo ieri, può succedere ancora. Una misteriosa quanto puntuale speculazione, la necessità di un governo di emergenza; non si è votato, nessuno pare più chiedere un ritorno alle urne, l’Italia è praticamente commissariata e il clima di generale di appecoronamento non fa sperare che in futuro tutto questo non si ripeterà; e a pagare saranno ancora una volta i cittadini (tr. il popolo!) privi di ogni minima libertà decisionale, e continuamente gabellati per mandare avanti un sistema che nessuno ha intenzione di mettere in discussione.
Ora più che mai è necessario che quel simulacro rimasto di rappresentatività che è il parlamento si risvegli, e riscatti la fiducia data a questo governo imposto dai mercati, andando a indagare come si è potuto rovesciare un governo democraticamente eletto con la forza della speculazione sul nostro debito pubblico.
È necessario che un gruppo di deputati liberi ( o che aspirano alla libertà ) chiedano l’istituzione di una Commissione parlamentare , che si ponga degli obiettivi chiari, ed il più velocemente possibile. Una commissione che dovrebbe:
Innanzitutto fare un inventario del debito pubblico :
- Indagare su come storicamente si è formato l’enorme debito pubblico italiano.
- Esaminare chi sono i maggiori proprietari del nostro debito pubblico.
-Verificare chi ha guadagnato in pochi giorni e con pochi click di mouse, miliardi di euro dall’innalzarsi dello spread sui nostri titoli.
MA SOPRATTUTTO:
- Studiare i casi di Argentina, Islanda, Ecuador, dove un enorme debito pubblico è stato rinegoziato con i creditori.
- Proporre una rinegoziazione del debito pubblico con i grandi creditori, annullando per gli attuali detentori il filtro che esiste tra piccoli investitori e banche nella vendita / acquisto dei titoli sul mercato.
- Mettere allo studio la nazionalizzazione della Banca d’Italia (oggi in mano ai privati), tramite la quale avviene oggi la collocazione dei titoli sul mercato.
- Proporre in generale soluzioni alternative al debito infinito per l’Italia.
Noi ovviamente non vogliamo lasciare soli i nostri deputati, e forniremo periodicamente materiale per liberarci di questa catena di Sant’Antonio, che ha assunto le sembianze di un cappio che ci troviamo al collo, e che qualche zelante personaggio nell’ombra, ogni tanto decide a suo piacimento di tirare…
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[1] Nel nuovo e vigente statuto della Banca d’Italia, approvato (con decreto 12/12/2006) dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, SCOMPARVE magicamente dall’art. 3 , il terzo comma, che nella precedente versione recitava: “In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici”. Tolto di mezzo questo “impiccio”, la strada alla privatizzazione era ormai priva di ostacoli!
Fonte: Rapporto Aureo.
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