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lunedì 23 aprile 2012

Welcome to...World War 3?



“Loro hanno la ricchezza ma non hanno Dio, noi invece abbiamo Dio e noi siamo un popolo tollerante ma non fateci perdere la pazienza.”

Con queste parole dai toni minacciosi, Mahmud Ahmadinejad, Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, si rivolge alla folla nel suo discorso dell’11 febbraio 2006, ma si rivolge soprattutto all’occidente e al suo principale alleato nella regione mediorientale: Israele.

Il tema che accende gli animi e provoca crescenti tensioni tra occidente e Iran è il medesimo da diversi anni: l’energia nucleare iraniana.

Il primo programma nucleare in Iran fu avviato negli anni 50 con il regime dello Scià e con la benedizione degli Stati Uniti. Il primo impianto fu costruito nella città di Bushehr, danneggiato a seguito dei bombardamenti iracheni e ricostruito a partire dal 1995.

Le prime tensioni si ebbero a partire dal 2002, quando l’Iran annunciò che stava costruendo, nei pressi della città di Natanz, un impianto per l’arricchimento dell’uranio. L’aver tenuto segreto per molto tempo il piano riguardante l’arricchimento dell’uranio destò i sospetti dell’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) e degli stati membri del Consiglio di Sicurezza, secondo cui l’Iran non stava mantenendo fede agli impegni assunti con la firma del Trattato di Non Proliferazione.

A ciò seguirono  i controlli degli ispettori dell’AIEA  sui siti sospetti e le successive sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza nel 2006, a cui avrebbero fatto seguito quelle europee.

Tuttavia, l’AIEA non ha mai potuto dichiarare ufficialmente il mancato rispetto delle regole del trattato, provocando così le reazioni dell’Iran e il deterioramento dei rapporti con l’occidente, soprattutto con gli Stati Uniti, anche a seguito delle dichiarazioni poco diplomatiche da parte del governo di Ahmadinejad. Quest’ultimo ribadisce in più occasioni che un uso pacifico del nucleare è un sacrosanto diritto per l’Iran e che nessuna regola è stata infranta, anzi, proprio chi punta il dito contro l’Iran in realtà detiene un arsenale nucleare e batteriologico di tutto rispetto. Con queste parole egli fa riferimento allo storico antagonista nello scenario mediorientale, ovvero Israele.

Lo stato israeliano, avamposto occidentale in medioriente, sente come una minaccia la corsa al nucleare iraniana e in più occasioni ha dichiarato, per bocca dei suoi leader, di essere favorevole ad un’azione preventiva per la distruzione dei siti sospetti.

Il premier Nethanyahu, nel suo discorso di fronte all’AIPAC (American Israel Pubblic Affaire Committee) del 4 marzo scorso, dichiara che: “Israele è uno stato sovrano e il Primo Ministro è stato eletto democraticamente per garantire la sua sicurezza e provvedere affinché sui suoi cittadini non gravi una minaccia perenne di distruzione.”

I leader israeliani sono d’accordo nel presentare l’Iran come una minaccia non solo regionale ma globale, che grava su tutto il mondo libero, quindi sull’occidente.

Le uniche voci fuori dal coro sono costituite dall’ala liberale dell’opinione pubblica e da una parte delle forze armate. Queste ultime, capitanate da Meir Dagan, ex capo del Mossad, sostengono che l’Iran avrà bisogno ancora di almeno 18 mesi per ottenere una bomba nucleare, nel caso fosse questo il suo intento, e di altri due anni per riuscire a ridurne il volume tanto da poterla caricare sui propri aerei o incorporarla ai missili Shibak 3 di cui dispone. La minaccia nucleare iraniana non costituisce pertanto un problema militare immediato per Israele e, fino a quella data, si può ricorrere a metodi alternativi per rallentarne la corsa al nucleare, come, per esempio, l’uso di virus informatici oppure la predisposizione di operazioni segrete e azioni militari di piccola scala.

Dal punto di vista di Israele e degli stati occidentali, USA in primis, un Iran nucleare costituirebbe una minaccia e un pericolo serio per il fragile equilibrio mediorientale e favorirebbe un effetto domino di nuclearizzazione della zona.

Inoltre, in Iran, è al governo un regime ultraconservatore sgradito agli USA, che ha violato i diritti umani della popolazione in diverse occasioni, soprattutto nei confronti di studenti e membri dell’opposizione, utilizzando qualunque metodo di repressivo al fine di conservare il potere del regime.

L’Iran, dal canto suo, lamenta il mancato rispetto della propria sovranità nazionale e fa notare come gli Stati Uniti non avessero in alcun modo osteggiato il programma nucleare quando al governo c’era un leader a loro gradito, ovvero lo Scià Reza Pahlavi. Sembra che l’interferenza statunitense si presenti ogniqualvolta siano in ballo fonti energetiche, ieri il petrolio oggi il nucleare, e cresce il sospetto che gli Stati Uniti agiscano con l’intento di mettere con le spalle al muro un regime scomodo, quello degli Ayatollah appunto.

Perché l’Iran dovrebbe volersi dotare dell’arma nucleare? Domanda a cui è difficile dare una risposta univoca in quanto le variabili da tenere in considerazione sono molteplici. Lo potrebbe volere l’orgoglio patriottico della nazione e della popolazione oppure, può darsi, come sostiene Hans Blix, che dal gennaio del 2000 al giugno del 2003 ha guidato la commissione di controllo, verifica e ispezione delle Nazioni Unite, che l’Iran non miri ad allargare il proprio territorio, come fece a suo tempo l’Iraq, ma che voglia soltanto farsi rispettare.

Stanno cambiando gli interessi della nazione, che desidera diventare una nuova potenza regionale. Il petrolio di cui dispone non durerà per sempre e il fabbisogno della popolazione cresce. Questo problema potrebbe, in parte, essere risolto con un utilizzo pacifico del nucleare, inoltre, in questo modo, una percentuale del petrolio iraniano potrebbe essere risparmiata e destinata all’esportazione.

E sul piano internazionale, qual è la posizione degli altri stati sul tema?

Lo scorso 14 aprile, ad Istanbul, si è tenuto un incontro tra i “sei mediatori”, ovvero USA, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania con l’Iran. I negoziati sono terminati con un nulla di fatto ed è stato fissato un nuovo appuntamento per il prossimo 23 maggio a Baghdad.

Attualmente, l’Iran è stretto tra la quasi totale esclusione dal sistema bancario internazionale, un imminente embargo petrolifero e la minaccia di attacchi preventivi israeliani.

In questo scenario, la Russia, tradizionale partner economico e militare di Teheran, ha assunto una posizione severa e prudente al fine di ammorbidire l’atteggiamento iraniano per evitare situazioni di isolamento. A causa delle sanzioni economiche imposte, infatti, gli affari russi in Iran sono diventati meno proficui, le compagnie che continuano ad operare nel mercato iraniano rischiano di essere escluse dai mercati europei e nordamericani e Mosca non è disposta a rischiare una situazione di questo tipo proprio ora che si appresta ad entrare a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

La posizione russa è certamente contraria ad un intervento armato contro il proprio partner commerciale e militare, tuttavia, per raggiungere tale obbiettivo, non è disposta ad isolarsi sul piano internazionale.

Nello scenario mediorientale, fondamentale è l’evoluzione dei rapporti tra Ankara e Teheran che finirebbe inevitabilmente per influenzare il fragile equilibrio nella regione. Anche la Turchia ha mostrato la volontà di giungere ad una soluzione basata più sul dialogo e sul negoziato che sulle sanzioni, ribadendo la propria autonomia decisionale rispetto a Washington. Tuttavia, la Turchia è, e rimarrà, un membro strategico della NATO che, nel settembre 2011, ha dato il proprio consenso ad ospitare il sistema radar cardine dello scudo anti-missilistico dell’Alleanza Atlantica. Con la propria posizione, la nazione turca dimostra l’impossibilità, per ogni rilevante attore nel contesto mediorientale, di fare a meno della sua collaborazione, sia dal punto di vista occidentale che iraniano. Da non sottovalutare, inoltre, la dimensione politica e religiosa che si concretizza, in particolare, con la questione curda e con la disputa fra sciiti e sunniti in Iraq.

L’Unione Europea dimostra ancora una volta di essere condannata ad una posizione di sostanziale irrilevanza sul piano internazionale. Gli interessi economici di alcuni paesi membri in Iran sono addirittura più grandi di quelli statunitensi: Roma, Berlino e Parigi hanno un interscambio con l’Iran stimato attorno ai 15 miliardi di euro, circa il 60% di tutti i rapporti commerciali tra Teheran e Unione Europea e l’Italia stessa è il primo partner europeo nella zona.

Nonostante ciò, tuttavia, appare chiaro come, nel lungo periodo, Washington debba essere l’interlocutore principale con cui l’Iran dovrà scendere a compromessi per una eventuale risoluzione della controversia.

Nella sua visita in Israele e nei territori palestinesi di domenica 8 aprile, il Presidente del consiglio Mario Monti ha ribadito come l’Italia condivida con Israele la preoccupazione per il programma nucleare iraniano e ha ricordato che l’Italia, d’intesa con l’UE, ha deciso per un rafforzamento delle sanzioni nel settore petrolifero e finanziario, posizione che rappresenta un segnale di forte vicinanza ad Israele.

Nel suo discorso del 22 febbraio scorso, l’Imam Khamenei ha sostenuto che l’Iran non ha mai tentato di dotarsi di armi nucleari, vista l’incompatibilità ideologica fra Islam e armi di questo tipo, considerate distruttive e pericolose.

Khamenei conclude il suo discorso rivolgendo all’occidente queste parole: “Their real problem is with a nation that has decided to be indipendent.”

Difficile prevedere come potrà evolvere la situazione in quanto gli attori e gli interessi in gioco sono molteplici, in uno scenario già fragile e spesso mosso da conflitti interni come quello mediorientale. Fino a che punto la comunità internazionale avrà interesse a cercare una soluzione diplomatica della controversia? Le parti coinvolte saranno disposte a scendere a compromessi pur di evitare lo scontro armato?

E se, mentre noi siamo impegnati a fronteggiare la crisi economica e finanziaria che ha stravolto l’Europa e l’occidente in genere, poteri occulti, rappresentati da lobby finanziarie, multinazionali e apparati militari strategici, stessero preparando il terreno per un nuovo conflitto armato su scala internazionale?


Fone: La Testata.

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