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mercoledì 4 aprile 2012

L'ITALIA PIANGE LA SCOMPARSA DELLA PAROLA "SOCIALE".



Parliamoci chiaro: in Italia è scomparsa la parola "sociale". Molto più di un aggettivo qualunque, dato che esprime un rapporto tra il singolo e la comunità che lo circonda; una partecipazione diretta ed attiva dell'individuo in quel sistema complesso che si è soliti chiamare "società". Volendo ricorrere ad una metafora, si potrebbe paragonare la società ad un organismo vivente ed il singolo ad un organo. Un'immagine cui hanno fatto ricorso in tanti e ben più titolati di me, per parlare di "stato organico".
Se poi l'aggettivo "sociale" assume un'accezione politica, allora, il suo significato e la sua importanza crescono ulteriormente: si passa dalla partecipazione-appartenenza del singolo al ruolo dello Stato nello svolgere attività  in favore degli strati meno abbienti, al fine di realizzare una migliore perequazione tra le varie componenti sociali. Una politica orientata verso questi obiettivi ha sempre contraddistinto, (almeno sulla carta!), tutte quelle correnti di pensiero che trovano la propria origine nel socialismo: Comunismo, Fascismo, Nazismo, Socialismo reale ecc. hanno cercato di affrontare la questione in maniera diretta, con un'azione politica mirata verso le classi sociali più disagiate. Il capitalismo di matrice liberale, invece, approccia alla questione in maniera mediata: sono i singoli che, crescendo, (ossia facendo profitti), creano ricchezza intorno ad essi, stimolando la crescita degli altri individui. Questioni teoriche, se vogliamo, che vanno prese direttamente dall'iperuranio in cui vivono e calate nel mondo reale. Un'operazione difficoltosa, perché mostra in maniera impietosa i fallimenti di decenni di teorizzazioni e politiche sociali. Sappiamo tutti che l'azione sociale di Nazismo e Fascismo è stata spazzata via dalla guerra, (sebbene i loro successi siano sopravvissuti ad essa); quella dei Paesi comunisti o del cd. "socialismo reale" è crollata insieme all'economia di quegli stessi Paesi; quella liberal-capitalistica, semplicemente, si è rivelata una giungla, dove il singolo individuo, più che "contagiare" gli altri, li elimina dal mercato, in una continua lotta per la sopravvivenza.
In Italia, dal dopoguerra ad oggi, le politiche sociali sono state uno dei più colossali fallimenti della repubblichetta "nata dalla resistenza". Il Paese precipita verso una povertà incontrollabile. Sempre più imprenditori medio-piccoli chiudono i battenti. Alcuni, addirittura, arrivano a gettarsi in mezzo alle fiamme; altri ad impiccarsi o, comunque, a togliersi la vita, perché sommersi da debiti che non possono pagare o da crediti che non riescono a riscuotere. Le industrie medio-grandi scappano all'estero. Ha cominciato la FIAT, andando a produrre in Serbia, Polonia e Brasile; ha continuato la OMSA che, ormai, produce stabilmente nei Paesi della Ex-Yugoslavia; tante altre hanno seguito l'esempio. I lavoratori, dal canto loro, passano sempre più tempo con le mani in mano, in attesa di un'occupazione che forse non verrà mai e di una pensione che è giusto un miraggio. I giovani o sono disoccupati oppure abbandonano il Paese, magari cercando di coronare l'ormai classico "sogno americano". Le famiglie sono ridotte sul lastrico: fanno una fatica bestiale ad arrivare a fine mese, a portare il pane in tavola. Di conseguenza, fanno sempre meno figli, anche a causa dell'impossibilità di far fronte alle spese che i pargoli solitamente comportano: pappe, passeggini, pannolini, asilo, scuola, libri eccetera. E' un Paese che muore, perché privato del proprio futuro. Non stanno messi meglio gli anziani, che vedono sparire la loro pensione tra affitto e bollette. Mangiare? Una necessità che si soddisfa magari una volta al giorno. Comprare un vestito nuovo? Un lusso insostenibile. Regalare 50 euro ai nipoti? Un ricordo d'altri tempi. La casa? Una vera e propria emergenza sociale, dato che la prima abitazione è iper-tassata e che le case popolari non vengono più costruite e, quando ci sono, vengono assegnate ai nuovi immigrati. Risultato: cresce il numero dei poveri; diminuiscono il numero e la qualità dei servizi d'assistenza.
Se dal privato, poi, ci si sposta al pubblico, non è che la situazione migliori. La sanità è al collasso, oberata come è da costi di strutture poco funzionali, ricoveri spesso inutili e dirigenti, nominati direttamente dalla politica, con stipendi principeschi. Stendiamo un velo pietoso sulla scuola. Vi dico solo che i genitori degli alunni sono costretti a fare la colletta per comprare i gessetti e la carta igienica, (non sto scherzando: è ciò che avviene, per esempio, nel mio paesuncolo, un tempo centro del famoso "triangolo d'oro della calzatura"). Vogliamo parlare delle strutture di ricovero per anziani, malati mentali e tossicodipendenti? Quasi tutte strutture private. Ammortizzatori sociali? E chi se li ricorda più! Ormai, insomma, non resta che affidarsi alle ONLUS e alle associazioni di carità cristiana o private che, nel bene o nel male, cercano di dare aiuto per le strade e nei quartieri più disagiati d'Italia, spesso distribuendo pane, pasta, latte e biscotti. Pensate come siamo messi!
Tuttavia, non è questa la cosa più deprimente, ciò che fa più male. E' ancora più doloroso e, per certi versi, irritante, notare il più completo disinteresse delle istituzioni, dei partiti politici e dei sindacati. Napolitano ha detto che "gli italiani non sono esasperati dalla crisi". Monti, invece, ha dichiarato che " il suo governo gode di ampi consensi", precisando che lo dicono i sondaggi (quali?). I partiti politici, per non sapere né leggere né scrivere, non trovano niente di meglio da fare che sedersi a banchettare con i tecnici "illuminati"; i sindacati, invece, giusto per non perdere il vizio, proclamano qualche sciopero a casaccio: quanto basta per lavarsi la coscienza.
Mi domando: ma quanto ancora deve durare questa farsa? Possibile che siamo tutti così idioti da subire passivamente quanto sta avvenendo? Vogliamo davvero morire con questa lenta agonia, giorno dopo giorno, magari di fame e stenti?
La mia paura è che il risveglio ci sarà, ma fuori tempo massimo. Rovesceremo il tavolo quando i giochi saranno già compiuti, quando i lorsignori si saranno già spartiti il bottino, e noi resteremo lì a rosicchiare le briciole. No? Dimostratemi il contrario, almeno una buona volta. 

Roberto Marzola.

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