“Forse è destino che gli Uomini di Coraggio
vengano uccisi dai vili”
Sergio Ramelli |
Tutto ebbe inizio per un banale compito in classe. Sergio Ramelli, diciottenne, studente dell’Istituto Tecnico “Molinari” di Milano, militante e fiduciario del Fronte della Gioventù, svolse un normalissimo compito di italiano assegnato dal suo professore. La nascita della “Brigate Rosse”. Nel compito, Sergio Ramelli, sottolineava che il battesimo di sangue delle Brigate Rosse avvenne proprio nel giugno 1974 con l’attentato alla sede del Movimento Sociale Italiano a Padova e l’uccisione di due militanti, Gianluca Giralucci e Giuseppe Mazzola. Erano gli anni settanta, in cui vigeva la barbara legge dell’antifascismo militante. Al Molinari, il collettivo studentesco, formato soprattutto da militanti di Avanguardia Operaia, riuscì a sequestrare il compito e immediatamente esposto in bacheca. Fotografato, condannato dai suoi stessi compagni di classe e bollato con il marchio “Fascista” fu l’inizio di una vera e propria persecuzione. Due aggressioni nel giro di poco tempo indussero Sergio Ramelli a proseguire gli studi in un istituto privato ma non ad abbandonare la sua militanza al Fronte della Gioventù. Fu proprio per la sua coerenza e per il suo coraggio che Avanguardia Operaia decise di eseguire un’azione punitiva nei suoi confronti. Il 13 marzo 1975, verso le ore tredici, Sergio Ramelli, mentre parcheggiava il motorino sotto casa, in via Amadeo, fu assalito da un commando di dieci persone armate di chiave inglese, hazet 36, e colpito ripetutamente al capo, perse i sensi e cadde esamine al suolo. Trasportato d’urgenza in ospedale e ricoverato presso il reparto Beretta del policlinico Maggiore, fu sottoposto ad un intervento chirurgico della durata di cinque ore con l’obiettivo di ridurre i danni subiti alla calotta cranica. Tale violenza e accanimento, lasciarono i sanitari dubbiosi sul recupero delle piene funzionalità fisiche, segnatamente l’uso della parola. Il decorso post - operatorio fu caratterizzato da periodi di coma e periodi di lucidità. Alle ore dieci del 29 aprile, esattamente dopo quarantasette giorni di agonia, per sopravvenute complicanze respiratorie, il cuore di cessò di battere. Durante il Consiglio Comunale, la notizia fu accolta da un lungo applauso, una esultanza per salutare la morte di un Fascista. I funerali furono quasi vietati. Nessun uomo delle istituzioni, tranne il segretario del Movimento Sociale Italiano, Giorgio Almirante, a presenziare il rito funebre. Solo una corona di fiori da parte della Presidenza della Repubblica. Gli amici di Sergio Ramelli furono costretti ad arrivare alla spicciolata, tutti schedati e fotografati dai militanti di Avanguardia Operaia. Durante la cerimonia funebre numerose cariche da parte delle Forze dell’Ordine con l’arresto di alcuni giovani e consiglieri missini. Le indagini, come al solito, da parte della Magistratura milanese non portarono a nessun risultato. Nel corso degli anni, nessuno degli aggressori di Sergio Ramelli provò senso di orrore, di smarrimento, di pentimento. Anzi continuarono azioni criminali contro giovani missini e ad un anno dalla sua scomparsa assaltarono il bar Largo Porto di Classe dove ferirono decine di persone una delle quali rimase paralizzata. Solo dieci anni dopo, quasi per caso, durante il processo a “Prima Linea”, tre pentiti bergamaschi accusarono il servizio d’ordine di Avanguardia Operaia presso la Facoltà di Medicina dell’omicidio di Sergio Ramelli. Il 14 settembre del 1985 i primi arresti. Alle sbarre finirono: Brunella Colombelli con il compito di pedinare Sergio Ramelli, Roberto Grassi con il compito di fornire, distribuire e ripulire le chiavi inglesi, Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo con il compito di colpire materialmente Sergio Ramelli e infine Franco Castelli, Luigi Montinari, Claudio Scazza, Gianmaria Costantino, Claudio Colosio, Antonio Belpiede con il compito di presidiare le strade durante l’aggressione per evitare la fuga di Sergio Ramelli o l’intervento di militanti missini o passanti. Nel maggio del 1987 con la sentenza di primo grado tutti gli imputati furono dichiarati colpevoli di omicidio preterintenzionale con pene che andavano da undici a quindici anni di reclusione. Nel marzo del 1989 con la sentenza di secondo grado, invece, gli imputati furono dichiarati colpevoli di omicidio volontario con l'attenuante del concorso anomalo, che ridusse sensibilmente le pene. Non soddisfatta, la Parte Civile ricorse in Cassazione per ottenere il riconoscimento della premeditazione e quindi un aggravio delle pene. Ma nel gennaio del 1990 la Prima sezione della Corte di Cassazione respinse la richiesta confermando definitivamente la sentenza di secondo grado. Durante il processo, alcuni degli imputati, si pentirono scrivendo alcune lettere alla madre di Sergio Ramelli e depositarono presso un notaio un risarcimento di duecento milioni di lire. Ovviamente il risarcimento non fu mai riscosso dalla famiglia Ramelli. Oggi molti esecutori di quella aggressione rivestono ruoli importanti nella nostra società, uno per tutti Antonio Belpiede, diventato primario di ginecologia in una azienda sanitaria pubblica pugliese. Ci chiediamo: come è possibile che studenti prossimi alla laurea non sapevano che colpire alla testa poteva determinare la morte? L’odio comunista si impossessò anche di loro.
Come molti giovani del tempo,
Sergio Ramelli fu costretto
a pagare con la propria vita
l’odio politico fomentato da altri.
Noi non dimenticheremo il sacrificio di Sergio,
la sua sincera passione politica, la fierezza
e il coraggio con cui mostrava le sue idee.
SERGIO RAMELLI
PRESENTE!
PRESENTE!
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