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domenica 22 aprile 2012

Quelle verità inedite sul sofferto rapporto tra gli ebrei e il fascismo.



di Adriano Scianca

I censori di una volta avevano almeno un pregio: nel dichiarare questo o quel libro come “eretico”, se non altro si poteva star certi che prima se lo fossero letto. Sarebbe difficile, per esempio, dare dell’ignorante a György Lukács, grande epuratore della cultura nel periodo in cui fu consulente della commissione incaricata di compilare il Catalogo della stampa fascista e antidemocratica per il governo ungherese nel biennio 1945-46. Coloro che si sono stracciati le vesti contro il libro di Andrea Giacobazzi, Il fez e la kippah (All’insegna del Veltro, pp. 318, € 25,00), invece, confessano candidamente di essersi fermati alla copertina. Vedendo i manifesti della presentazione del saggio,  hanno invocato lo spettro dell’antisemitismo e invocato la legge Mancino. La copertina del testo riporta immagini antisemite, dicono. Vero. Quel che non si dice è che quella immagine è sì antisemita, ma anche... antifascista. Si tratta, infatti, di una vignetta satirica prodotta dell’Imperial Fascist League britannica, in realtà molto più nazionalsocialista che fascista, tanto da polemizzare con Mussolini raffigurandolo con un ebreo stereotipato che gli sussurra all’orecchio sotto la scritta “The Duce and the Deuce!”, “il Duce e il Diavolo!”. Un aneddoto, questo, che già scompagina un bel po’ di etichette preconfezionate. C’è da chiedersi, poi, perché nessuno abbia protestato, ad esempio, contro la copertina dell’antologia critica de La difesa della razza curata da Valentina Pisanty per Bompiani, che riporta analoghi documenti d’epoca senza che nessuno possa scambiare il volume per un testo razzista. La verità è che il saggio di Giacobazzi è uno studio perfettamente scientifico, che raccoglie 150 documenti ufficiali sul contraddittorio, schizofrenico e sofferto rapporto tra il regime fascista e il mondo ebraico. Il testo andrebbe letto in parallelo con l’altro saggio dell’autore, L’asse Roma-Berlino-Tel Aviv (Il Cerchio), dedicato allo stesso tema con non poche notizie inedite o quanto meno sconosciute al grande pubblico. Insomma, niente negazionismo, niente razzismo, niente becerume: solo uno sforzo filologicamente accuratissimo per illuminare un capitolo della nostra storia fra i meno conosciuti. Va detto, in realtà, che già Renzo De Felice, nella sua pionieristica Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, aveva mostrato quanto buoni fossero i rapporti tra ebraismo italiano e fascismo prima della metà degli anni Trenta. Su quella stessa linea, Giacobazzi approfondisce l’argomento e, scavando negli archivi, trova materiale di sicuro interesse. La gran parte degli scambi, ovviamente, è anteriore al 1938, ma non mancano testi sorprendenti, come un rapporto del consolato italiano a Gerusalemme risalente all’agosto del 1940, nel quale si dice che «nel bacino del Mediterraneo l’elemento ebraico deve diventare nostro alleato». Quanto alle leggi razziali, vi si dice che «quanto è stato fatto in Italia, e che deve restare, è cosa ormai sorpassata alla quale pochi pensano ancora». Tutto questo modifica nulla nella drammaticità delle grandi tragedie del Novecento? Assolutamente no. Ma il compito dello storico non dovrebbe essere, comunque, quello di agire con preoccupazioni morali e/o politiche, quanto piuttosto quello di ricercare la verità, sempre e comunque. Elementare. Ma, a quanto pare, non per tutti.

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