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domenica 15 aprile 2012

In Ricordo di Giovanni Gentile.


Nacque a Castelvetrano, in provincia di Trapani, il 30 maggio del 1875 da Giovanni, farmacista, e Teresa Curti, figlia di un notaio. Visse la sua infanzia a Campobello di Mazara e frequentò il Ginnasio e il Liceo Ximenes di Trapani. Vinse il concorso per quattro posti di interno della Scuola Normale Superiore di Pisa, dove si iscrisse alla facoltà di Lettere e Filosofia. Dopo la laurea nel 1897 ed un corso di perfezionamento a Firenze, Giovanni Gentile ottenne una cattedra in filosofia presso il Convitto Nazionale Mario Pagano di Campobasso. Nel 1900 si spostò al Liceo Vittorio Emanuele di Napoli. Nel 1901 sposò Erminia Nudi, conosciuta a Campobasso. Dal loro matrimonio nacque Teresa nel 1902, Federico nel 1904, i gemelli Gaetano e Giovanni junior nel 1906, Benedetto nel 1908 e Fortunato nel 1910. Nel 1902 ottenne la libera docenza in filosofia teoretica e l'anno successivo quella in pedagogia. Dopo poco ottenne la cattedra universitaria, prima all'Università di Palermo, dove frequentò il circolo Giuseppe Amato Pojero, poi all'Università di Pisa ed infine alla Sapienza di Roma. All'inizio della Prima Guerra Mondiale, tra i dubbi della non belligeranza, Giovanni Gentile si schierò a favore della guerra come conclusione del Risorgimento italiano. Nel 1920 fondò il “Giornale critico della filosofia italiana”. Nel 1922 divenne socio dell'Accademia dei Lincei. Fino al 1922 Giovanni Gentile non mostrò particolare interesse nei confronti del fascismo. Il 31 ottobre, all'insediamento del Regime Fascista fu nominato da Benito Mussolini Ministro della Pubblica Istruzione, attuando nel 1923 la cosiddetta riforma Gentile, fortemente innovativa rispetto alla precedente riforma basata sulla legge Casati attuata sessant'anni prima. Il 5 novembre del 1922 divenne Senatore del Regno d’Italia. Nel 1923 Giovanni Gentile si iscrisse al Partito Nazionale Fascista con l'intento di fornire un programma ideologico e culturale. Dopo la crisi Matteotti, date le dimissioni da Ministro, Giovanni Gentile fu chiamato a presiedere la Commissione dei Quindici per il progetto di riforma dello Statuto Albertino. Nel 1925 pubblicò il Manifesto degli intellettuali fascisti, in cui si vedeva il fascismo come un possibile motore della rigenerazione morale e religiosa degli italiani e tentò di collegarlo direttamente al Risorgimento. Il manifesto sancì l'allontanamento definitivo di Giovanni Gentile da Benedetto Croce, che gli rispose con un contro manifesto. Sempre nel 1925 promosse la nascita dell'Istituto Nazionale di Cultura Fascista, di cui fu Presidente fino al 1937. Per le numerose cariche culturali e politiche, Giovanni gentile esercitò durante tutto il ventennio fascista un forte influsso sulla cultura italiana, specialmente nel settore amministrativo e scolastico. Fu il Direttore Scientifico dell'Enciclopedia Italiana dell'Istituto Treccani dal 1925 al 1938 e vicepresidente dell'istituto dal 1933 al 1938. Nel 1928 diventò regio Commissario della Scuola Normale Superiore di Pisa, e nel 1932 Direttore. Nel 1930 diventò vicepresidente dell'Università Bocconi. Nel 1932 diventò Socio Nazionale della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Lo stesso anno inaugurò l'Istituto Italiano di Studi Germanici, di cui fu Presidente nel 1934. Nel 1933 inaugurò e diviene Presidente dell'Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente. Nel 1934 inaugurò a Genova l'Istituto mazziniano. Nel 1937 diventò regio Commissario, nel 1938 Presidente del Centro Nazionale di Studi Manzoniani e nel 1941 fu Presidente della Domus Galileana a Pisa. Non mancarono comunque i dissensi con il Regime fascista. In particolare il suo pensiero subì un duro colpo nel 1929, alla firma dei Patti Lateranensi tra la Chiesa cattolica e lo Stato Italiano. Anche se Giovanni Gentile riconosceva il cattolicesimo come forma storica della spiritualità italiana, ritenne di non poter accettare uno Stato non laico. Questo evento segnò una svolta nel suo impegno politico militante. Nel 1934 il Sant'Uffizio mise all'indice le opere di Giovanni Gentile e di Benedetto Croce. Nel 1936 cominciò una lunga polemica contro il Ministro dell'Educazione Nazionale Cesare Maria De Vecchi. Gli ultimi interventi politici furono rappresentati da due conferenze nel 1943. Nella prima, tenuta il 9 febbraio a Firenze, dal titolo “La mia religione”, dichiarò di essere cristiano e cattolico anche se credeva nello Stato laico. Nella seconda, tenuta il 24 giugno al Campidoglio a Roma, dal titolo “Discorso agli italiani”, nel quale esortò all'unità nazionale, in un momento difficile della guerra. Dopo questi interventi si trasferì in Toscana trovando dimora prima a Troghi e poi nella Villa Montalto al Salviatino, ai piedi della collina di Fiesole, dove scrisse la sua ultima opera, uscita postuma, “Genesi e struttura della società”, nella quale recuperò l'antico interesse per la filosofia marxiana. Durante la sua permanenza a Firenze, Giovanni Gentile, su insistenza del Ministro Carlo Alberto Biggini, fu nominato Presidente dell'Accademia d'Italia da Benito Mussolini e si schierò apertamente in favore del nuovo governo della Repubblica Sociale Italiana, della prosecuzione della guerra a fianco dell'alleato tedesco, sostenne la chiamata alle armi e la coscrizione militare dei giovani della Repubblica Sociale Italiana, auspicando il ripristino dell’unità nazionale sotto la guida, ancora una volta, di Benito Mussolini. Giovanni Gentile disapprovò gli eccessi criminali del Reparto Servizi Speciali di Polizia di Carità che allora operava a Firenze minacciando di denunciarlo. Il Primo dicembre del 1943 i gappisti, nella loro prima azione, uccisero il Tenente Colonnello Gino Gobbi Comandante del distretto militare. Per rappresaglia furono uccisi cinque comunisti già detenuti nelle carceri. L’ex Ministro Giovanni Gentile scrisse il 28 dicembre del 1943 sul Corriere della Sera un articolo intitolato “Ricostruire” su alcune considerazioni circa l’esecuzione. Come risposta, invece, sul foglio comunista “La nostra lotta” a metà febbraio fu pubblicato l’articolo scritto da Concetto Marchesi, in cui si rivolgeva al filosofo e condannava a morte tutti gli aderenti al fascismo. Il 30 marzo del 1944 Giovanni Gentile ricevette una missiva, con timbro postale di Firenze, contenenti minacce di morte. L’accusa era chiaramente riferita alla fucilazione dei cinque giovani avvenuta a Campo Marte. Il 15 aprile due gappisti fiorentini di ispirazione comunista, Bruno Fanciullacci e Antonio Ignesti, dopo attenti studi degli orari della vittima, si appostarono verso le tredici e trenta nei pressi della Villa Montalto al Salviatino, dove il filosofo dimorava con la famiglia, e appena sopraggiunta l'auto, mentre l'autista era intento ad aprire il cancello, gli si avvicinarono tenendo sotto braccio dei libri per nascondere le armi e farsi credere studenti. Il filosofo settantenne abbassò il vetro per prestare ascolto ma fu subito investito dai colpi di una rivoltella. Mentre i due gappisti fuggirono in bicicletta, l'autista si diresse immediatamente all'ospedale di Careggi trasportando il filosofo in gravissime condizioni. I tentativi di rianimare Giovanni Gentile si rivelarono inutili. I colpi di pistola, esplosi quasi a bruciapelo, lo colpirono in pieno petto, uno al cuore. Tra i primi a vedere il filosofo in quello stato fu il figlio Gaetano, che prestava servizio in ospedale presso il reparto chirurgico. Immediatamente accorse anche Benedetto, un altro figlio, che dirigeva la Casa Editrice Sansoni. L’assassino, Bruno Fanciullacci, era originario di Pieve a Nievole, in provincia di Pistoia. Da bambino si era trasferito a Firenze al seguito della famiglia. Nel 1938 fu arrestato per propaganda sovversiva. In carcere aveva aderito al Partito Comunista clandestino. Scarcerato il 12 luglio del 1943, dopo l'8 settembre militò nei Gap, Gruppi di azione patriottica fiorentini. Arrestato nuovamente, rimase ucciso nel luglio del 1944 mentre tentava di evadere da Villa Triste. Durante una pausa dell’interrogatorio, si lanciò dalla finestra con le mani legate dietro alla schiena. L’uccisione del Filosofo Giovanni Gentile fu un episodio che divise lo stesso fronte antifascista, disapprovato del Comitato di Liberazione Nazionale toscano con la sola esclusione del Partito Comunista che, invece, rivendicò l’esecuzione. Prese di posizione furono prese da Benito Mussolini e dalla Guardia Nazionale Repubblicana, dal Rettore dell’Università Cattolica, padre Agostino Gemelli, dal rappresentante del Partito di Azione, Tristano Codignola, e dallo storico giornalista Indro Montanelli. I solenni funerali furono celebrati, il 18 aprile, nella Basilica di Santa Croce a Firenze e per iniziativa del Ministro Carlo Alberto Biggini la salma fu tumulata nella cappella a sinistra dell’altare maggiore.

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